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L’epistemologia nel Novecento

Giuseppe Licandro by Giuseppe Licandro
15 Luglio 2007
in IL PIACERE DELLA CULTURA
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TractatusLa riflessione epistemologica ebbe inizio, in forma sistematica, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando molti pensatori iniziarono a ragionare sui fondamenti, le metodologie e le implicazioni della scienza. Tra gli antesignani di questa importante corrente filosofica vanno menzionati: John Stuart Mill, che ripropose l’induttivismo contro la visione aprioristica della scienza; Ernst Mach, con la sua dottrina empiriocriticista; Pierre Duhem e Jules-Henri Poincaré, che fondarono il convenzionalismo; Georg Cantor, Friedrich Gottlob Frege e Giuseppe Peano, i quali riformularono su nuove basi la logica matematica. E non vanno nemmeno dimenticati Albert Einstein, Werner Heisemberg e Max Planck, i cui geniali contributi teorici rivoluzionarono la fisica classica.

Russell e Wittgenstein – Riferendoci a un ambito più strettamente epistemologico, occorre ricordare che – all’inizio del Novecento – è stato Bertrand Russell ad analizzare con estremo rigore la struttura della conoscenza scientifica. Abbandonando l’iniziale realismo logico, egli ha aderito a una visione empirista della scienza, che ha esposto nel saggio La filosofia dell’atomismo logico (1918). Negando che il sapere umano derivi da idee universali, Russell ha posto alla base delle operazioni mentali i cosiddetti “atomi logici”, che così egli stesso ha definito: “Alcuni di essi saranno ciò che io chiamo “particolari” – cose come piccole macchie di colori, e suoni, cose momentanee – ed alcuni saranno predicati e relazioni e così via”. Dagli atomi logici, a suo avviso, derivano gli “enunciati atomici”, ossia le proposizioni elementari riferite ai fatti, su cui si impiantano, poi, le proposizioni più complesse (dette “enunciati molecolari”). Anche Ludwig Wittgenstein è giunto – nel celebre Tractatus logicus-philosphicus (1918) – ad analoghe conclusioni, ma, in seguito, si è allontanato dall’atomismo logico, diventando il capostipite dei pensatori “analitici” che hanno operato nell’ambito delle università di Cambridge e Oxford studiando, soprattutto, la struttura grammaticale dei vari tipi di discorso (etico, estetico, religioso, ecc.).

Il neopositivismo – Il dibattito epistemologico ha subito un impulso notevole nel periodo fra le due guerre mondiali, grazie soprattutto all’attività dei filosofi neopositivisti (tra cui ricordiamo Rudolph Carnap, Hans Hahn, Otto Neurath e Moritz Schlick) e alla nascita dell’Associazione Ernst Mach – meglio nota come Circolo di Vienna. Fondata nel 1925 da Schlick, la società filosofica ha svolto un’assidua attività intellettuale, impegnando i suo adepti in lezioni, convegni e pubblicazioni, dapprima presso l’Università di Vienna, poi negli Usa. Nel 1928 è sorto anche il Circolo di Berlino (Società per la filosofia empirica), costituito da Hans Reichenbach, che ha stretto fitti rapporti di collaborazione con i filosofi viennesi, culminati nella pubblicazione della rivista Erkenntnis. Il volume collettivo La concezione scientifica del mondo (1929) può essere considerato il manifesto programmatico dei neopositivisti, nel quale si auspicava: la formulazione di una scienza unificata, comprensiva di tutte le conoscenze verificabili; la chiarificazione dei concetti e delle teorie delle scienze empiriche e dei fondamenti logici della matematica; la riproposizione della filosofia positivista e della tradizione empirista; la critica a ogni forma di metafisica e di religione.

Il principio di verificazione – Il principio metodologico più importante proposto dal neopositivismo è stato quello di “verificazione”, formulato compiutamente da Schlick nello scritto del 1936 Significato e verificazione. In base ad esso, hanno senso solo le proposizioni verificabili empiricamente, cioè traducibili nel linguaggio della scienza: le teorie metafisiche, etiche e religiose, pertanto, devono essere escluse da ogni considerazione scientifica. Per rendere possibile la “comunicazione universale” tra tutte le scienze e favorire l’adozione di un corretto lessico, Neurath ha consigliato di adoperare il modello linguistico della fisica, sostenendo, inoltre, che la validità di un enunciato dipende soprattutto dalla sua coerenza logico-linguistica. È questa, in sintesi, la “teoria fisicalista”, ripresa anche da Carnap, che ne ha esposto l’assunto fondamentale nello scritto La sintassi logica del linguaggio (1934): “Ogni enunciato scientifico è traducibile nel linguaggio della fisica”. In seguito, i neopositivisti hanno finito col rivedere il principio di verificazione, sostituendolo con quello di “controllabilità”, secondo il quale è possibile confermare anche solo parzialmente una teoria scientifica, limitandone, però, l’ambito di applicabilità.

Il falsificazionismo di Popper – Verso la fine degli anni Venti, il Circolo di Vienna ha subito le prime contestazioni da parte di Wittgenstein, che ha accusato i suoi membri di non saper cogliere i valori esistenti al di fuori della scienza e di misconoscere il carattere multiforme dell’espressività umana. Successivamente, anche Karl Popper ha sottoposto a critica radicale l’empirismo neopositivista, attaccandone l’induttivismo e il principio di verificazione. Nell’opera del 1934, Logica della scoperta scientifica, egli ha suggerito un diverso metodo per demarcare la scienza dalla metafisica, proponendo il “principio di falsificazione”, secondo cui le teorie scientificamente attendibili – a differenza delle dottrine metafisiche – devono essere sempre potenzialmente confutabili. Ciò comporta che una proposizione scientifica non può mai essere formulata in termini categorici e deve sempre mantenere un carattere congetturale e fallibilista: la scienza non deriva dall’esperienza, ma si avvale soltanto di argute ipotesi, che vanno controllate continuamente. Popper ha così prospettato – soprattutto nel saggio Congetture e confutazioni del 1969 – un’immagine antidogmatica e “discontinuista” dell’evoluzione del pensiero scientifico: ogni ipotesi, appena è contraddetta da un fatto, va immediatamente riformulata e sostituita da una nuova, transitoria, congettura!

L’epistemologia di Kuhn – Dagli anni Cinquanta in poi, si è sviluppato un approfondito dibattito tra scienziati e filosofi della scienza, lungo il solco tracciato da Popper. La maggior parte degli studiosi ha respinto l’idea che la scienza si sviluppi per progressive accumulazioni di dati, proponendone un’interpretazione storicamente più complessa. Thomas Kuhn, autore nel 1962 de La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ha cercato di spiegare l’evoluzione della scienza e le ragioni che ne determinano il mutamento, facendo ricorso alla nozione di “paradigma scientifico”. Il “paradigma” consiste in una teoria complessa e ben strutturata, che orienta la comunità scientifica in una determinata epoca storica: talvolta, però, si assiste alla comparsa di più “paradigmi” rivali, che si contendono l’egemonia tra gli scienziati (ad esempio, la teoria geocentrica e quella eliocentrica nel Cinquecento), finché uno di essi non prevale. La ricerca scientifica, quindi, procede attraverso fasi di crescita regolare (e, in questo caso, si parla di “scienza normale” ), alternate con periodi di rivoluzione teorica.

Il dibattito più recente – Sulla scia di Kuhn si è aperto un ampio confronto di opinioni, che ha coinvolto – tra gli altri – Gaston Bachelard (sostenitore del valore essenzialmente storico della scienza e famoso per aver introdotto il concetto di “rottura epistemologica”, quale fattore dirimente nell’evoluzione delle teorie scientifiche), Paul Feyerabend (critico radicale di ogni metodologia assiomatica e assertore dell'”anarchismo metodologico”) e Imre Lakatos. Quest’ultimo ha tentato di superare il falsificazionismo popperiano attraverso la teoria dei “programmi di ricerca scientifici”: a suo parere, infatti, un paradigma sopravvive anche a ripetute falsificazioni, venendo abbandonato solo di fronte a un nuovo programma di ricerca ben articolato. Tra i numerosi filosofi della scienza dell’ultimo scorcio del Novecento, ricordiamo, infine, Willard Van Orman Quine, che ha criticato il riduzionismo empirista, aderendo ad una visione olistica del sapere scientifico, secondo cui “l’unità di significanza empirica è tutta la scienza nella sua globalità”. L’epistemologia viene posta in relazione con il pragmatismo, perdendo ogni pretesa euristica e riducendosi a “un capitolo della psicologia e quindi della scienza naturale”.

L’immagine: copertina dell’edizione Dover del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein.

Giuseppe Licandro

(LucidaMente, anno III, n. 25, gennaio 2008)

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Tags: Albert Einsteinanarchismo metodologicoBertrand RussellCircolo di BerlinoCircolo di ViennaCongetture e confutazioniErkenntnisErnst Machfalsificazionismofilosofi neopositivistiFriedrich Gottlob FregeGaston BachelardGeorg CantorGiuseppe PeanoHans HahnHans ReichenbachImre LakatosJohn Stuart MillJules-Henri PoincaréKarl PopperL'epistemologiaL'epistemologia nel NovecentoLa concezione scientifica del mondoLa filosofia dell'atomismo logicoLa sintassi logica del linguaggioLa struttura delle rivoluzioni scientifichelicandroLogica della scoperta scientificaLudwig WittgensteinMax PlanckMoritz SchlickneopositivismoneopositivistiOtto NeurathPaul FeyerabendPierre Duhemprincipio di verificazioneRudolph CarnapSignificato e verificazioneSocietà per la filosofia empiricateoria fisicalistaThomas KuhnTractatus logicus-philosphicusWerner HeisembergWillard Van Orman Quine
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