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Home VECCHI ARTICOLI LA CITAZIONE

La strage rimossa del 14 agosto 1861

Giuseppe Licandro by Giuseppe Licandro
19 Gennaio 2011
in LA CITAZIONE, STORIA
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La strage rimossa del 14 agosto 1861
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Nell’album “L’unità” (First) del 1972 gli Stormy Six riportarono alla memoria l’eccidio di Pontelandolfo

«Era il giorno della festa del patrono / e la gente se ne andava in processione / l’arciprete in testa ai suoi fedeli / predicava che il governo italiano era senza religione / ed ecco da lontano / un manipolo con la bandiera bianca / intima ad inneggiare a re Francesco / ed ecco tutti quanti lì a gridare / poi si corre furibondi al municipio / e si bruciano gli archivi / e gli stemmi dei Savoia. // Pontelandolfo la campana suona per te / per tutta la tua gente / per i vivi e gli ammazzati / per le donne ed i soldati / per l’Italia e per il re. // Per sedare i disordini nel paese / arrivano quarantacinque soldati / sventolando fazzoletti bianchi / in segno di pace, ma non trovano nessuno / poi mentre si preparano a mangiare / il rumore di colpi di fucile / li spinge ad uscire allo scoperto / e son presi tutti quanti prigionieri / poi li portano legati sulla piazza / e li ammazzano a sassate, / bastonate e fucilate. // Pontelandolfo la campana suona per te / per tutta la tua gente / per i vivi e gli ammazzati / per le donne ed i soldati / per l’Italia e per il re. // La notizia arriva al comando / e immediatamente il generale Cialdini / ordina che di Pontelandolfo / non rimanga pietra su pietra / arrivano all’alba i bersaglieri / e le case sono tutte incendiate / le dispense saccheggiate, le donne violentate, / le porte della chiesa strappate, bruciate / ma prima che un infame piemontese / rimetta piede qui, lo giuro su mia madre, / dovrà passare sul mio corpo. // Pontelandolfo la campana suona per te / per tutta la tua gente / per i vivi e gli ammazzati / per le donne ed i soldati / per l’Italia e per il re».

(Pontelandolfo, da L’unità, First, 1972)

Stormy Six

STORMY SIXLA RILETTURA

Nel 1965, Maurizio Cesana, Giovanni Fabbri, Mario Geronazzo, Maurizio Masla, Alberto e Giorgio Santagostino fondarono a Milano il complesso musicale degli Stormy Six. A loro si unì, l’anno seguente, Franco Fabbri, che ne divenne ben presto il leader, firmandone le canzoni più famose.
Gli Stormy Six divennero in breve tempo una tra le band italiane più valide di progressive rock e, nel corso di diciotto anni di attività, incisero otto album, sciogliendosi nel 1983, dopo vari cambiamenti intervenuti nell’organico.
Il gruppo rock raggiunse l’apice del successo nel 1975, grazie allo splendido long-playing Un biglietto del tram (L’Orchestra), nel quale furono incluse due canzoni assurte, negli anni Settanta, a icona musicale dell’antifascismo: Stalingrado e La fabbrica.
Dopo un’iniziale adesione al genere beat, il complesso milanese si convertì al “rock politico” intorno al 1969, registrando nel 1972 per la casa discografica First il secondo long-playing, L’unità, un concept album, nel quale si rileggeva in chiave critica il Risorgimento.

La storia d’Italia secondo gli Stormy Six – In questo disco, il gruppo rock milanese pone l’accento sulla continuità esistente tra le rivendicazioni popolari dell’Ottocento e quelle del Novecento. Il lato uno si compone di quattro brani, che rievocano alcuni episodi della storia italiana risorgimentale: l’ironica e polemica ricostruzione dell’impresa dei Mille (Garibaldi), la rivolta postunitaria dei briganti meridionali (Tre fratelli contadini di Venosa, Pontelandolfo), il ricordo dell’eccidio di cinque salariati di Portici nel 1863, durante le proteste innescate dal ridimensionamento delle industrie siderurgiche del Mezzogiorno (Sciopero!). Il lato due è dedicato, invece, alle agitazioni giovanili e operaie degli anni immediatamente posteriori al 1968 (Suite per F. & F., La manifestazione), che vengono presentate come l’ideale continuazione dei conflitti politico-sociali iniziatisi nel secolo precedente, mentre il brano conclusivo (Fratello) è una sorta di bonaria invettiva contro Claudio Rocchi, il musicista che aveva da poco lasciato il gruppo per divergenze artistiche. Pontelandolfo è una struggente canzone che commemora una pagina assai triste della storia nazionale, spesso rimossa da chi tenta di divulgare una visione edulcorata del processo di unificazione nazionale, dimenticando i torti subiti da coloro che si opposero all’annessione del Sud da parte dei Savoia (per ascoltare il brano, cliccate su http://www.youtube.com/watch?v=voNLhO3Z120).

I fatti di Casalduni e Pontelandolfo – Il 7 agosto 1861 una banda di briganti, capeggiata da Cosimo Giordano, occupò il paese di Pontelandolfo, in provincia di Benevento, esponendo nel palazzo del Comune la bandiera borbonica e nominando un governo provvisorio. Quarantacinque soldati e carabinieri dell’esercito del neonato Regno d’Italia si recarono in perlustrazione nel paese sannitico, ma vennero presi prigionieri dai banditi, portati a Casalduni e ivi trucidati. La ritorsione delle truppe italiane non si fece attendere e fu tremenda: il generale Enrico Cialdini inviò un contingente di cinquecento bersaglieri, comandato dal colonnello Pier Eleonoro Negri e dal maggiore Carlo Magno Melegari, ordinando ai suoi subalterni: «Desidero vivamente che di questi due paesi non rimanga più pietra su pietra». Il 14 agosto i bersaglieri misero a ferro e a fuoco i due borghi, massacrando soprattutto gli abitanti di Pontelandolfo (molti casaldunesi ebbero il tempo di fuggire, prima dell’arrivo dei soldati), senza rispettare nemmeno le donne e gli anziani. Alla fine, secondo le stime proposte da Antonio Pagano nel libro Due Sicilie 1830/1880 (Capone), «i morti superano sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non sono mai svelate dal governo piemontese» (Paolo Rumiz, invece, parla di quattrocento persone uccise: cfr. http://www.pontelandolfonews.com/index.php?id=1666).

Una mancata rivoluzione agraria – Si trattò, quindi, di un episodio assai cruento della sanguinosa guerra civile che per circa un decennio funestò le regioni meridionali e che vide contrapposte le bande dei fuorilegge all’esercito italiano. I briganti, sostenuti da papa Pio IX e dall’ex sovrano borbonico Francesco II, conquistarono un largo consenso tra i contadini meridionali, i quali spesso andarono a ingrossarne le fila, sia per sottrarsi al servizio militare obbligatorio, sia per ribellarsi contro l’inasprimento fiscale e la perdita degli usi civici delle terre demaniali, che avevano fatto seguito alla nascita del Regno d’Italia. Il brigantaggio – efficacemente definito da Rosario Villari nella Storia dell’Europa contemporanea (Laterza) «esito disperato e anarchico di una mancata rivoluzione agraria» – fu soprattutto una jacquerie, condotta dai “cafoni” contro i secolari soprusi subiti da parte dei “signori”. Per difendere i propri privilegi, questi ultimi si schierarono dapprima con i garibaldini e, in seguito, con le truppe sabaude, come ha saputo mirabilmente rilevare Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo (Feltrinelli), facendo esclamare al protagonista Tancredi la celebre frase: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Lo stesso concetto è espresso, in altri termini, anche nella canzone Garibaldi degli Stormy Six, in cui sarcasticamente si afferma: «E il notaro Rosolino / all’uscita del paese / ha brindato a Garibaldi / col buon vino piemontese».

Per chi suona la campana? – Gli Stormy Six, pur sposando il punto di vista dei ribelli che si opposero all’annessione del Regno delle Due Sicilie, non sottacciono le crudeltà perpetrate dai briganti, i quali talvolta commisero degli inutili e immotivati eccidi, come l’uccisione dei quarantacinque soldati italiani a Casalduni. Questo misfatto fornì il pretesto a Cialdini per scatenare una terribile ritorsione contro la popolazione civile, azione militare che, andando ben oltre l’ordinaria repressione del brigantaggio, assunse i contorni di una strage premeditata. Il refrain della canzone, pertanto, si sofferma a descrivere il lugubre suono della campana a morto e, riprendendo le parole di John Donne e di Ernest Hemingway, chiosa così la tragica vicenda: «Pontelandolfo la campana suona per te / per tutta la tua gente / per i vivi e gli ammazzati / per le donne ed i soldati / per l’Italia e per il re». Vinti e vincitori vengono accomunati nello stesso tragico destino: a uscirne malconcia è l’immagine dell’Italia risorgimentale, divisa al suo interno e incapace di diventare una “nazione”. La resistenza opposta dai briganti all’invasione sabauda è stata successivamente riproposta anche dal gruppo folk Musicanova, diretto da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò, che nel 1980 ha inciso un album di successo, dal titolo Brigante se more (Phillips), colonna sonora dello sceneggiato televisivo L’eredità della priora, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Alianello.

Le alternative a Cavour – Riteniamo che, al giorno d’oggi, non abbia molto senso auspicare la restaurazione degli stati regionali dell’Italia preunitaria, come da troppe parti si tende a reclamare, da Nord a Sud. La frammentazione politica porterebbe il Belpaese, inevitabilmente, a diventare di nuovo “un’entità geografica” debole e insignificante, più di quanto non lo sia già ora. Una nazione ridotta a brandelli, infatti, è destinata a soccombere di fronte alle grandi potenze che le gravitano intorno, come già aveva compreso nel Cinquecento Niccolò Machiavelli e come giustamente fece notare anche Goffredo Mameli, nella seconda parte di Fratelli d’Italia: «Noi siamo da secoli / calpesti, derisi, / perché non siam popolo, / perché siam divisi». Non per questo, tuttavia, bisogna esaltare dogmaticamente il Risorgimento, rinunciando a sollevare le opportune obiezioni alla politica di “piemontesizzazione” dell’Italia voluta da Cavour e dai suoi seguaci. Le alternative erano molteplici e andavano nelle direzioni indicate da Giuseppe Mazzini e dai federalisti repubblicani Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane. Gli ultimi due furono gli unici a porsi chiaramente l’obiettivo della riforma agraria come strumento per emancipare i contadini meridionali e collegarli alla lotta per l’indipendenza nazionale. Purtroppo, però, il Partito di azione mazziniano fallì nel suo progetto di unificazione nazionale dal basso e finì per diventare, come acutamente sostenuto da Antonio Gramsci, «un organismo di agitazione e propaganda al servizio dei moderati», determinando così il tramonto del Meridione.

L’immagine: la copertina dell’album L’unità (First) degli Stormy Six.

Giuseppe Licandro

(LM MAGAZINE n. 15, 15 marzo 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 63, marzo 2011)

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Tags: Garibaldigoffredo mameliitaliamario geronazzomaurizio cesanamaurizio maslameridionalimeridionemillenovecentoottocentoporticiRisorgimentosettantastormy six
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