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La rivolta che segnò la fine delle illusioni

Giuseppe Licandro by Giuseppe Licandro
25 Febbraio 2011
in IL PIACERE DELLA CULTURA
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La rivolta che segnò la fine delle illusioni
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Se il Sessantotto diede inizio a un’intensa fase di lotte, il Settantasette ne rappresentò l’epilogo

Claudio Lolli, noto cantautore italiano, pubblicò nel settembre del 1977 l’album Disoccupate le strade dei sogni (Ultima spiaggia), nel quale espresse la rabbia e lo sconforto di una generazione illusasi di poter cambiare l’Italia e che, invece, fu travolta dagli eventi. Nella canzone Incubo numero zero, Lolli enunciò con le seguenti parole il convincimento che fosse ormai svanita la prospettiva di trasformare la società italiana: «Disoccupate le strade dai sogni, / ed arruolatevi nella polizia, / ci sarà bisogno di partecipare / ed è questo il modo / al nostro progetto di democrazia».
A distanza di trent’anni, Lucia Annunziata, nel saggio 1977. L’ultima foto di famiglia (Einaudi), ha formulato un giudizio analogo intorno al significato del movimento del 1977, distinguendolo nettamente da quello del 1968: «Il ’68 aveva la missione di cambiare il mondo ed era dunque impegnato a infiltrarsi nei media per cambiarli […]. Il ’77, che non crede nelle istituzioni e dunque nel cambiamento, è invece impegnato soprattutto a raccontarsi, come atto di affermazione di indipendenza dalle convenzioni di cui le istituzioni rappresentano l’organizzazione finale».

1977Le elezioni politiche del 1976 – Tra gennaio e dicembre del 1977, una marea di giovani invase le strade e occupò le principali università italiane, manifestando una collera e un livore per certi versi inusitati. L’esito insoddisfacente delle elezioni politiche dell’anno precedente e il successivo ingresso del Partito comunista italiano e del Partito socialista italiano nei governi di “unità nazionale” avevano posto fine alla speranza, alimentata dopo il 1974, di modificare il sistema di potere gravitante sin dal 1948 attorno alla Democrazia cristiana. Nelle consultazioni elettorali del 1976, infatti, i partiti di sinistra – allora costituiti, oltre che dal Pci e dal Psi, anche dal Partito radicale e dal cartello elettorale denominato Democrazia proletaria (che raggruppava Avanguardia operaia, Lotta continua, il Movimento dei lavoratori per il socialismo e il Partito di unità proletaria) – non riuscirono a ottenere la maggioranza relativa, pur raggiungendo il 46,62 per cento dei consensi alla Camera. Il risultato – comunque apprezzabile, se rapportato ai giorni nostri – fu merito soprattutto del Pci, il quale ottenne il 34,37 per cento dei voti, ma non riuscì a superare la Dc, che conseguì il 38,71 per cento dei suffragi.

Le cause scatenanti della rivolta – L’equilibrio tra gli schieramenti politici favorì la strategia del “compromesso storico”, voluta dal presidente della Dc Aldo Moro e dal segretario comunista Enrico Berlinguer, determinando la nascita di un governo di coalizione Dc-Pli-Psdi-Psi-Pri (presieduto da Giulio Andreotti) che ottenne l’astensione del Pci, tramutatasi in appoggio diretto nel 1978. Il nuovo governo varò una serie di misure legislative contro l’inflazione, che tendevano a contrarre i salari e a limitare la spesa pubblica, suscitando il malcontento di ampi settori della popolazione, in particolare dei giovani operai, degli studenti e dei disoccupati. L’insoddisfazione si tramutò in protesta di massa allorché il ministro della Pubblica istruzione, Franco Maria Malfatti, presentò una proposte di legge per riformare l’università, la quale, tra l’altro, prevedeva l’introduzione di due distinti livelli di laurea, l’aumento delle tasse scolastiche, l’abolizione degli appelli mensili e l’impossibilità di reiterare nei piani di studi una stessa materia. Ciò rendeva più selettivi gli esami, vanificando le conquiste del movimento del 1968 e conferendo, nel contempo, maggiori poteri ai professori ordinari nella gestione degli atenei.

La leadership del movimento – Una rivolta spontanea partì all’inizio del 1977 in varie facoltà universitarie e venne coordinata, almeno nella prima fase, dai militanti di Ao, Lc, Mls e Pdup. Ben presto, però, all’interno delle assemblee e dei cortei si affermò la presenza di Autonomia operaia, un’aggregazione politica eterogenea che riuniva al suo interno studenti e operai particolarmente “arrabbiati”, alla cui guida si posero Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone, ex dirigenti di Potere operaio. Gli autonomi si opponevano con fermezza al “compromesso storico” e si battevano per innescare una rivoluzione anticapitalistica, guardando con simpatia – senza però condividerne totalmente i metodi – alle Brigate rosse e agli altri gruppi armati del terrorismo di sinistra. La maggior parte dei lavoratori, tuttavia, si dimostrò poco sensibile alle istanze insurrezionali e il movimento studentesco finì per incanalarsi lungo una strada senza uscita, isterilendosi in gesti ribellistici privi di sbocchi, che lo portarono a scontrarsi duramente non solo con i poliziotti, ma anche con i militanti del Pci.

Le provocazioni della polizia – Fu per spiegare le cause del dissidio insorto all’interno della sinistra comunista che Alberto Asor Rosa, noto letterato ed ex sessantottino, pubblicò in quei mesi Le due società (Einaudi), un pamphlet di largo successo nel quale descrisse dettagliatamente la spaccatura esistente tra i lavoratori garantiti, da un lato, e gli studenti e i disoccupati, dall’altro. A scatenare le reazioni veementi dei giovani contestatori furono, in talune circostanze, gli atteggiamenti poco ortodossi di alcuni agenti delle squadre speciali della polizia, che spararono addosso ai dimostranti e giunsero addirittura, alle volte, a indossare l’abbigliamento tipico degli studenti di quegli anni per meglio mimetizzarsi in mezzo a loro (come fu ampiamente dimostrato dalle fotografie scattate da Tano D’Amico e come venne impudentemente ammesso, a distanza di anni, da Francesco Cossiga, ministro degli Interni tra il 1976 e il 1978). Per certi versi, quindi, i gravi incidenti verificatisi nel 1977 rappresentarono l’ennesimo tassello della “strategia della tensione”, funzionale al mantenimento del sistema di potere democristiano!

Le varie componenti del Settantasette – Il movimento del 1977 presentò al suo interno molteplici componenti, che lo differenziarono parecchio da quello del 1968. Oltre agli autonomi e ai militanti dei gruppi della Nuova sinistra, infatti, si evidenziarono almeno altre tre “anime”: i collettivi femministi, impegnati allora nell’elaborazione del “pensiero della differenza” e pervasi da un accentuato spirito polemico nei confronti della supremazia maschile; i “cani sciolti”, soggetti senza una precisa appartenenza politica, che costituivano la parte anarcoide del movimento e portavano avanti istanze libertarie e individualistiche; gli “indiani metropolitani” o “fricchettoni”, che ricorsero all’arma dell’ironia per denigrare i partiti e le istituzioni, decostruendo linguisticamente gli slogan politici e riproponendoli in forma provocatoriamente deformata (ad esempio: “L’ama o non Lama? Non Lama nessuno”, “Più lavoro, meno salario”, “Più baracche, meno case”, “È ora, è ora, miseria a chi lavora”, “Potere padronale”, ecc.).

Il vitalismo estetico dell'”ala creativa” – Fu soprattutto quest’ultima componente a incuriosire gli studiosi di semiologia del tempo: sul Corriere della Sera, Umberto Eco dedicò diversi articoli all'”ala creativa del movimento”, provando a decodificarne il linguaggio, a captarne i messaggi reconditi e a far emergere il significato filosofico sotteso al suo sarcasmo dissacrante. Il semiologo alessandrino vi colse tracce delle avanguardie letterarie novecentesche e, persino, «la presenza di una forma di vitalismo estetico che presenta curiose analogie col futurismo e altri fenomeni dell’Italia inizio secolo, non escluso il richiamo a Nietzsche». Dello stesso avviso è stata la studiosa Claudia Salaris, la quale, nel saggio Il movimento del Settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa (AAA Edizioni), riprende il concetto situazionista di détournement, sostenendo che «oggetti o immagini strettamente connessi alla società […] vennero sottratti alla loro destinazione e posti in un ambito diverso, laddove il significato originario si perdeva nella costruzione di un nuovo insieme significante (a volte senza significato)».

Gli inizi della rivolta… – Le occupazioni universitarie cominciarono alla fine di gennaio del 1977, ma l’avvenimento che inasprì gli animi degli studenti fu il comizio che il 17 febbraio Luciano Lama, segretario della Cgil, volle tenere all’Università La Sapienza di Roma. Durante il discorso di Lama prese il via una decisa contestazione da parte di un nutrito gruppo di astanti, che finì per scontrarsi col servizio d’ordine del sindacato, inducendo il leader ad abbandonare la piazza. In conseguenza di questo avvenimento, Berlinguer criticò aspramente i contestatori definendoli, dapprima, “diciannovisti” e, mesi dopo, “untorelli”. La protesta fu segnata da un luttuoso evento l’11 marzo, quando all’Università di Bologna si scatenarono durissimi combattimenti tra i collettivi studenteschi e la polizia, che costarono la vita allo studente Francesco Lorusso, simpatizzante di Lotta continua, colpito a morte da un colpo di rivoltella. Il 21 aprile, durante ennesimi incidenti tra dimostranti e forze dell’ordine, venne ucciso a Roma il poliziotto Settimio Passamonti.

…il suo culmine… – Il 12 maggio, sempre a Roma, avvenne un altro episodio increscioso: circa cinquemila persone stavano partecipando a un sit-in pacifico indetto dal Partito radicale per ricordare la vittoria nel referendum sul divorzio e sostenere otto nuove proposte referendarie (tra cui l’abrogazione delle leggi speciali antisommossa approvate dal Parlamento), quando iniziarono improvvisamente le cariche della polizia e furono sparati (da ignoti) dei colpi di arma da fuoco, che colpirono a morte la studentessa liceale Giorgiana Masi e ferirono una decina di persone. Il 14 maggio si verificarono altri gravi incidenti a Milano, duranti i quali morì l’agente Antonio Custrà, dopodiché il movimento si arrestò per qualche mese, riprendendo vigore a Bologna con il Convegno sulla repressione (svoltosi tra il 25 e il 27 settembre in un clima di relativa calma) che rappresentò l’atto culminante della mobilitazione studentesca

…e la sua fase terminale – Altri momenti di grave tensione si registrarono nei mesi seguenti a causa degli omicidi di Walter Rossi (ucciso a Roma il 30 settembre da un gruppo di neofascisti), Roberto Crescenzio (morto per le ustioni riportate nel rogo di un bar torinese, assaltato da estremisti di sinistra, l’1 ottobre) e Benedetto Petrone (ucciso a Bari il 28 novembre da alcuni militanti di estrema destra). Il tormentato 1977 si concluse, in senso politico, il 2 dicembre, quando a Roma si tenne una grande manifestazione nazionale dei metalmeccanici, impegnati nel rinnovo del contratto di lavoro, cui presero parte migliaia di studenti. Nei mesi seguenti cominciò il distacco dei giovani dall’attività politica, che fu accelerato dall’avvio degli “anni di piombo”, con l’uccisione di Moro, l’intensificazione degli attentati da parte delle Br e l’adesione al terrorismo di una parte degli autonomi, che diedero vita ad alcune organizzazioni clandestine, tra cui i Proletari armati per il comunismo (dove militò Cesare Battisti). Dalla ricomposizione dei gruppi della Nuova sinistra nacque nel 1978 Democrazia proletaria, un piccolo partito che perpetuò, fino alla fine degli anni Ottanta, il progetto dell'”alternativa di sinistra”, rifiutando sia la lotta armata, sia il “compromesso storico”.

Il riflusso del movimento – Il clima politico mutò rapidamente nel biennio successivo, lasciandosi alle spalle in fretta la stagione delle conquiste operaie e studentesche e dell’irresistibile ascesa elettorale del Pci. La Dc riuscì a ricompattare la maggioranza centrista, grazie al sostegno del nuovo leader socialista Bettino Craxi, isolando politicamente i comunisti, che finirono per tornare all’opposizione nel 1979, dopo essere stati ridimensionati alle elezioni politiche anticipate svoltesi in quell’anno. L’avvento delle tv private e la creazione negli anni Ottanta del network televisivo di proprietà del tycoon Silvio Berlusconi innescarono una profonda trasformazione culturale, che indusse molte persone al disimpegno politico, diffondendo stili di vita e modelli di comportamento fino ad allora inusitati: iniziarono a dilagare, infatti, il consumismo più sfrenato e la ricerca del successo individuale. Si ebbe così anche in Italia il trionfo dell’ideologia neoliberista – incarnata dagli yuppies -, che s’impose prepotentemente negli anni Novanta.

Le conseguenze del 1977 – Il movimento del 1977 lasciò poche tracce e si esaurì ben presto anche la tragica esperienza della lotta armata, sapientemente disarticolata dalle forze speciali antiterrorismo, dirette dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Maturarono, inoltre, anche le condizioni per la definitiva trasformazione in senso socialdemocratico del Pci, la cui maggioranza diede vita, nel 1991, al Partito democratico della sinistra. Riteniamo di poter affermare che il 1977, nonostante il suo sostanziale fallimento, fece comunque emergere i sintomi incipienti della crisi della Prima Repubblica, esplosa compiutamente un quindicennio dopo, mettendo a nudo le contraddizioni esistenti all’interno della sinistra italiana. La sconfitta patita dai metalmeccanici nella vertenza sindacale con i vertici della Fiat, segnò nel 1980 la fine di un’epoca di conquiste sociali da parte del movimento operaio, avviando un lungo periodo di ristrutturazione neoliberista dell’economia nazionale, che dura ancora.

L’eredità politica degli anni Settanta – Le istanze antiautoritarie ed egalitarie, presenti nelle proteste del 1977, sopravvissero in parte nei gruppi ambientalisti e pacifisti dei primi anni Ottanta, trovando ancora qualche eco nelle lotte “non violente” degli studenti del 1995 e del 1990 e negli scioperi degli insegnanti del biennio 1987-88. A queste mobilitazioni – lontane comunque anni luce dal verbalismo rivoluzionario che aveva contrassegnato i cortei e le assemblee degli anni Settanta – parteciparono, infatti, alcuni dei protagonisti dei moti del 1977 che non scelsero il disimpegno e il ripiegamento individualistico, tentando invece di percorrere nuove strade per liberare l’umanità dai molteplici mali che l’affliggono. Eredi, in qualche misura, della cultura politica degli anni Settanta furono, negli anni Novanta, i “centri sociali”, al cui interno si formarono i gruppi “antagonisti”, i quali, in tempi più recenti, hanno preso parte al variegato mondo dei movimenti No global.

L’immagine: la protesta contro il comizio di Luciano Lama, svoltosi all’Università La Sapienza di Roma il 17 febbraio 1977.

Giuseppe Licandro

(LucidaMente, anno VI, n. 63, marzo 2011)

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Tags: aldo moroclaudio lollidcenrico berlingueritalialaurealotta continualucia annunziatamalfattinovantaottantapcpsisilvio berlusconisocietàuniversità
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