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Home IL PIACERE DELLA CULTURA

Il “caso Eben Alexander”: viaggio nell’aldilà o suggestioni oniriche?

Marco Cappadonia Matrolorenzi by Marco Cappadonia Matrolorenzi
9 Dicembre 2012
in IL PIACERE DELLA CULTURA, INTERVISTE, LIBRI, NONCREDO, SALUTE-MEDICINA, SCIENZA-AMBIENTE-ECOLOGIA-CAMBIAMENTI CLIMATICI-INQUINAMENTO
8
Il “caso Eben Alexander”: viaggio nell’aldilà o suggestioni oniriche?
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Le “esperienze Nde e Obe”, vissute dal neurochirurgo di Harvard, sono prodotte da particolari meccanismi neurofisiologici e non stanno a testimoniare l’esistenza della vita ultraterrena

Il 10 ottobre 2012 Emanuela Di Pasqua ha raccontato, in «L’aldilà esiste»: parola di neurochirurgo, pubblicato su www.corriere.it, l’“esperienza Nde” (Near Death Experience = esperienza vicina alla morte) vissuta dal neurochirurgo di Harvard Eben Alexander. Stando a quanto riportato nell’articolo, il medico si era sempre confessato scettico e poco incline a credere ai racconti di esperienze extracorporee come segno della presenza della vita ultraterrena. Nell’autunno del 2008, però, rimase in coma sette giorni a causa di una meningite batterica da Escherichia Coli che, in poche ore, lo condusse a perdere del tutto la coscienza. Esami strumentali e visite neurologiche dimostrarono la totale inattività della corteccia cerebrale (non si può escludere, però, una “attività corticale spontanea”), sede, tra l’altro, delle funzioni mnemoniche, linguistiche e di apprendimento.

Al risveglio dal coma, Eben Alexander, ha raccontato di «un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte» e di essersi trovato in compagnia di «esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia luminosa». Queste figure, definite «forme di vita superiore», erano accompagnate da canti melodiosi. Il neurochirurgo ha detto ancora di aver camminato su un tappeto di farfalle colorato e di aver incontrato una sorta di guida, una figura femminile dai capelli biondi e gli occhi azzurri che gli ha comunicato, telepaticamente, quattro messaggi: 1) «Tu sei amato e accudito»; 2) «Non c’è niente di cui avere paura»; 3) «Non c’è niente che tu possa sbagliare»; 4) «Ti faremo vedere molte cose qui. Ma alla fine tornerai indietro». Queste presunte “esperienze ai confini della morte” sono state raccontate da Eben Alexander in un libro dal titolo Proof of Heaven (La prova del Paradiso, Simon & Schuster), uscito il 23 ottobre scorso.

Dal punto di vista medico-scientifico, come si possono spiegare episodi del genere, di cui parlano anche altri pazienti usciti dal coma a causa di un trauma cranico o dopo una malattia? Possono essere spiegati con argomentazioni scientifiche l’“effetto tunnel” e le luci particolari (come quelle narrate da Alexander) che si racconta di aver visto, una volta ritornati coscienti? Episodi di “Nde” o di “Obe” (Out of Body Experience) possono avere una spiegazione scientifica? Ascoltiamo lo psicopatologo e neuropsicologo (nonché consulente scientifico del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) Armando De Vincentiis: «Queste esperienze sono spiegabili mediante i normali processi neurofisiobiologici e psicologici. La “visione del tunnel” è prodotta da un naturale meccanismo neuropatologico in cui viene a trovarsi il cervello dopo un minor apporto di ossigeno, come può accadere in un trauma cranico che inibisce l’attività delle cellule nervose; ne consegue, quindi, un restringimento del campo visivo dando la sensazione di “vedere” attraverso un tunnel» (cfr. Armando De Vincentiis, Esperienze mistiche in prossimità della morte, in Estasi, Edizioni Avverbi; Idem, Esperienze di pre-morte. NDE, in www.cicap.org).

Per quanto riguarda la forte luce percepita in modo differente dal normale stato di sonno o nell’attività onirica, che taluni pazienti riferiscono all’uscita dal coma, si tratta di particolari scariche casuali prodotte dalle cellule cerebrali. «Chi viene da un’esperienza simile», aggiunge Mario Campli, specialista in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso, «riferisce di aver fluttuato in un’oscura galleria al termine della quale si intravedeva una brillante radiosità; di aver percorso un buio tunnel che si apriva verso un cielo chiaro o sereno, di aver visto la luce in lontananza». Anche nel buio più profondo, stando con gli occhi chiusi o durante il sonno (nei sogni percepiamo la luce in modo differente dallo stato di veglia), è possibile percepire uno scintillio diffuso, ovvero i fosfeni. Queste «immagini spurie», prosegue Mario Campli, «sono prodotte dalla scarica casuale e spontanea dei neuroni della corteccia visiva e dai fotorecettori della retina» (cfr. Mario Campli, Esperienze di pre-morte inwww.sci-med.it).

Durante lo stato di quiescenza in questo tipo di coma (generalmente di secondo grado), può essere attiva la percezione onirica di immagini ricostruite dal nostro cervello. I neuroni danneggiati e le parti cerebrali deputate alla registrazione della luce emettono disordinatamente delle scariche elettriche compulsive, dando la sensazione, al risveglio, di aver registrato immagini luminose mai viste prima. Dentro questi meccanismi di normale neurofisiologia (la concordanza delle testimonianze può essere letta come la conferma dell’esistenza di meccanismi cerebrali precisi, che si innescano in situazioni altamente emotive o traumatiche) si inserisce l’attività onirica del paziente, che arricchisce gli elementi di origine neurofisiologica (in comune) con immagini e ricordi personali e privati, legati alla sfera emotiva e affettiva (cfr. le interviste a Simone Angioni, consulente scientifico del Cicap, e a Dean Mobbs, neuroscienziato dell’Università di Cambridge, in www.queryonline.it/, rivista ufficiale del Cicap).

In una situazione di forte angoscia e di stress emotivo il paziente “stacca la spina” e il cervello si abbandona a sensazioni piacevoli (attraverso la noradrenalina, un ormone rilasciato quando si soffre), generando immagini che fanno parte di ricordi benevoli e rassicuranti, come può essere la memoria dei cari defunti, che ci riporta in un periodo sereno e luminoso del nostro passato. Immagini comuni di luce, musica, angeli, nuvole e cielo azzurro rappresentano icone e segni semiotici della cultura di appartenenza, come nelle raffigurazioni canoniche e letterarie del Paradiso cristiano (il cervello rielabora immagini note). È una reazione del nostro cervello all’angoscia e a una situazione di profondo malessere, fortemente emotiva e stressante (cfr. http://mysterium.blogosfere.it/).

Sentiamo ancora De Vincentiis sulle presunte “esperienze fuori dal corpo”: «LeObe sono spiegabili dal punto di vista psicofisiologico e psicopatologico. Tali disturbi fanno parte della letteratura medica e si distinguono in: 1) depersonalizzazione autopsichica = l’individuo percepisce le proprie azioni come estranee e non appartenenti a sé; 2) depersonalizzazione somatopsichica = un soggetto vive il proprio corpo come distaccato da sé; 3) depersonalizzazione allopsichica = un soggetto percepisce l’ambiente come estraneo. La sensazione di aver visitato un luogo sconosciuto e lontano dal corpo non è altro che l’espressione di quest’ultima forma. Tali disturbi possono manifestarsi in casi di trauma, come in casi di malattie batteriche e alterazioni organiche conseguenti a lesioni del lobo temporale, nei prodromi dell’epilessia, nelle intossicazioni da Lsd o mescalina, nelle psicosi schizofreniche o depressive e nelle nevrosi isteriche. Le esperienze Obe sono dovute ad alterazioni mentali e per la conseguenza di una temporanea iperattività anomala di alcune regioni del cervello» (cfr. Armando De Vincentiis, Esperienze mistiche in prossimità della morte, in Estasi, cit.; Idem, Viaggio fuori dal corpo, in www.cicap.org/).

Tra gli studi più recenti sull’argomento, ricordiamo: Elisabeth Bressler – Sharon Holloran, Orientamento nella realtà. Riorganizzazione cognitiva in persone con traumi cerebrali, Edizioni Erickson; Giacomo Rizzolatti – Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina; Costanza Papagno – Giuseppe Vallar (a cura di), Manuale di neuropsicologia, il Mulino; Massimiliano Prencipe, L’esame neurologico. Quadri normali e patologici, Piccin Nuova Libraria.

On line vedi anche, da Cronache laiche: Fuori dal corpo: l’illusione del paradiso.

Le immagini: Eben Alexander e il suo libro e il logo del Cicap. Il dipinto di apertura è tratto da www.centroisa.com.

Marco Cappadonia Mastrolorenzi

(LucidaMente, anno VII, n. 84, dicembre 2012)

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Tags: Armando De Vincentiiscorteccia cerebrale visivadepersonalizzazioneeben Alexanderesperienze ndeesperienze obefocusfotorecettorilesioni del lobo temporalemario camplineurofisiologianoradrenalina
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Comments 8

  1. Name (required) says:
    8 anni ago

    COME MAI NON VIENE CITATO IL LAVORO DI PIN VAN LOOMMEL PUBBLICATO SUL LANCET CHE COSTITUISCE UN VALIDO CONTRIBUTO SCIENTIFICO ALLA COMPRENZIONE DELLE NDE.O NON VI CONVIENE PERCHE NON CORRISPONDE ALLE VOSTRE IDEE O LO IGNORATE.

    Rispondi
  2. Name (required) says:
    8 anni ago

    ECCO UN RIFERIMENTO

    E’ STATO PUBBLICATO RIPETO SUL LANCET UNA DELLE RIVISTE PIU’ AUTOREVOLI SCIENTIFICHE.

    NDE nei sopravvissuti di arresto cardiaco: uno studio prospettico nei Paesi Bassi

    Dr van Lommel spola MD una , Ruud van Wees PhD b , Vincent Meyers PhD c , Ingrid Elfferich dottorato di ricerca d
    Riassunto

    Sfondo
    Alcune persone riferiscono di un esperienza di quasi morte (NDE), dopo una vita a rischio crisi. Abbiamo puntato a stabilire la causa di questa esperienza e di valutare i fattori che hanno influenzato la sua frequenza, la profondità e contenuti.
    Metodi
    In uno studio prospettico, abbiamo incluso 344 pazienti consecutivi che sono stati con successo cardiaci resuscitati dopo arresto cardiaco in dieci ospedali olandesi. Abbiamo confrontato i dati demografici, medici, farmacologici e psicologici tra i pazienti che hanno riportato NDE ed i pazienti che non hanno (controlli) dopo la rianimazione. In uno studio longitudinale di vita cambia dopo la NDE, abbiamo confrontato i gruppi 2 e 8 anni dopo.
    Giudizio
    62 pazienti (18%) hanno riferito NDE, di cui 41 (12%) ha descritto una esperienza di base. Il verificarsi di esperienza non è stata associata con la durata dell’arresto cardiaco o incoscienza, farmaci, o la paura della morte prima di arresto cardiaco. Frequenza delle NDE è stato influenzato dal modo in cui abbiamo definito NDE, la natura in prospettiva della ricerca nei pazienti più anziani cardiaci, età, sopravvissuti arresto cardiaco nel primo infarto miocardico, più di una rianimazione cardiopolmonare (RCP) durante la permanenza in ospedale, NDE precedente, e la memoria problemi dopo CPR prolungata. Profondità l’esperienza è stata influenzata da sesso, sopravvivendo CPR fuori dell’ospedale, e la paura prima di arresto cardiaco. Significativamente maggiore di pazienti che hanno avuto una NDE, in particolare una profonda esperienza, sono morti entro 30 giorni dalla CPR (p <0,0001). Il processo di trasformazione dopo NDE sono voluti diversi anni, e differivano da quelle dei pazienti che sono sopravvissuti arresto cardiaco senza NDE.
    Interpretazione
    Non sappiamo perché i pazienti cardiaci così pochi segnalare NDE dopo la RCP, anche se l'età gioca un ruolo. Con una spiegazione puramente fisiologica, come anossia cerebrale per l'esperienza, la maggior parte dei pazienti che sono stati clinicamente morto dovrebbe riferire uno.

    Rispondi
  3. Name (required) says:
    8 anni ago

    NDE nei sopravvissuti di arresto cardiaco: uno studio prospettico nei Paesi Bassi

    Dr van Lommel spola MD una , Ruud van Wees PhD b , Vincent Meyers PhD c , Ingrid Elfferich dottorato di ricerca d
    Riassunto

    Sfondo
    Alcune persone riferiscono di un esperienza di quasi morte (NDE), dopo una vita a rischio crisi. Abbiamo puntato a stabilire la causa di questa esperienza e di valutare i fattori che hanno influenzato la sua frequenza, la profondità e contenuti.
    Metodi
    In uno studio prospettico, abbiamo incluso 344 pazienti consecutivi che sono stati con successo cardiaci resuscitati dopo arresto cardiaco in dieci ospedali olandesi. Abbiamo confrontato i dati demografici, medici, farmacologici e psicologici tra i pazienti che hanno riportato NDE ed i pazienti che non hanno (controlli) dopo la rianimazione. In uno studio longitudinale di vita cambia dopo la NDE, abbiamo confrontato i gruppi 2 e 8 anni dopo.
    Giudizio
    62 pazienti (18%) hanno riferito NDE, di cui 41 (12%) ha descritto una esperienza di base. Il verificarsi di esperienza non è stata associata con la durata dell’arresto cardiaco o incoscienza, farmaci, o la paura della morte prima di arresto cardiaco. Frequenza delle NDE è stato influenzato dal modo in cui abbiamo definito NDE, la natura in prospettiva della ricerca nei pazienti più anziani cardiaci, età, sopravvissuti arresto cardiaco nel primo infarto miocardico, più di una rianimazione cardiopolmonare (RCP) durante la permanenza in ospedale, NDE precedente, e la memoria problemi dopo CPR prolungata. Profondità l’esperienza è stata influenzata da sesso, sopravvivendo CPR fuori dell’ospedale, e la paura prima di arresto cardiaco. Significativamente maggiore di pazienti che hanno avuto una NDE, in particolare una profonda esperienza, sono morti entro 30 giorni dalla CPR (p <0,0001). Il processo di trasformazione dopo NDE sono voluti diversi anni, e differivano da quelle dei pazienti che sono sopravvissuti arresto cardiaco senza NDE.
    Interpretazione
    Non sappiamo perché i pazienti cardiaci così pochi segnalare NDE dopo la RCP, anche se l'età gioca un ruolo. Con una spiegazione puramente fisiologica, come anossia cerebrale per l'esperienza, la maggior parte dei pazienti che sono stati clinicamente morto dovrebbe riferire uno.

    Rispondi
    • Marco Cappadonia Mastrolorenzi says:
      8 anni ago

      Gentile lettore,

      il nostro articolo rimanda anche a “queryonline.it” in cui ci sono delle interviste a degli specialisti del settore (cfr “Il neurochirurgo e l’aldilà: due interviste”). Dentro il “link” può trovare l’articolo dal titolo “Esperienze di pre-morte: il paranormale non c’entra” in cui si citano anche gli studi e i metodi di Van Loommel. Studi che, fin ora, non hanno convinto né sul metodo né sui risultati e di prove soddisfacenti, il metodo di Van Loommel, non mi pare ne abbia prodotte.

      Poi lei parla di 344 pazienti considerati, con successo, “cardiaci resuscitati”. Espressione non corretta, visto che nessuno è mai “resuscitato”. Non esistono casi scientifici e realmente documentati di persone morte e ritornate in vita. Non si può parlare, quindi, di “persone resuscitate”. Ci sono tanti casi di persone con arresto cardiaco considerate “morte”. Ma per parlare di morte occorre che passi un tempo sufficiente per provocare la necrosi del cervello. Se si accerta la morte cerebrale il processo è irreversibile. Nessun caso documentato scientificamente ha mai evidenziato una remissione dei danni cerebrali. Nessuno è mai “resuscitato” e tornato per narrarci le esperienze NDE, normalmente spiegabili attraverso i meccanismi neurofisiologici del nostro cervello.

      Distinti saluti

      Marco Cappadonia Mastrolorenzi

      Rispondi
  4. Name (required) says:
    8 anni ago

    il dott.pim van loomel non parla di resuscitati in senso tecnico ne lo fa nessuno studioso di nde tanto e’ vero che tali fenomeni vengono designati con l’acronimo nde(esperienze vicino alla morte e non di morte).Quello che rilevavo e’ il fatto che nel suo articolo non vengono citati studi effettuati da medici che dopo aver analizzato attraverso la raccolta di dati e confrontati gli stessi con le svariate ipotesi fisiologiche e neurologiche sono tutt’altro pervenuti a conclusioni definitive circa la spiegazione del fenomeno che lei indica come espressione di un disfunzionamento del cervello.se cosi’ fosse, nel senso se come dice lei tali fenomeni sono spiegabili normalmente attraverso meccanismi neurofisiologigi che bisogno c’era di mettere uno studio da parte di ben 25 ospedali sotto la direzione di sam parnia il quale assieme a tanti altri medici e’ convinto che la per le nde non sono sufficienti le spiegazioni fisiologiche.Sembra strano che tale studio che ripeto ha coinvolto svariate universita’ cliniche tutte rinomate( se vuole le mando documentazione)non sia minimamente accennato nel suo articolo specie se si considera che esso ha ricevuto ampia copertura mediatica e riconoscimento a pieno titolo in ambito scientifico tanto che svolto da universita’ di medicina ufficiali-ultima considerazione e che dean moobs non ha mai fatto rilievi empirici sul tema nel senso che non ha mai raccolto casistiche ne tantomeno seguite per anni come invece hanno fatto Sam Parnia Pim van Loommel peter Fenwik Mario bauregard(tutti medici e anche di una certa fama).nel ringraziarla per la sua risposta le sarei grato se lei mi richedesse documentazione scientifica esistente sul tema e la pubblicasse in un suo prossimo articolo consentendo ai suoi lettori una visione piu’ ampia e obbiettiva dell’argomento.

    cordialmente,

    Rispondi
  5. Name (required) says:
    8 anni ago

    tengo a precisare che le mie considerazioni non sono polemiche,pero’ ritengo giusto che siano riportate tutte le interpretazioni e tutti i punti di vista altrimenti una letture faziosa e riduttiva rischia di tenerci sempre piu’ lontani dalla comprensione della verita’; personalmente infatti pur non essendo minimamente d’accordo con nessuno degli autori da lei citati li prendo in considerazione e li ringrazio perche anche il loro contributo assieme a quello di tanti altri consente una indagine piu’ completa gettando un po’ di luce su un fenomeno che ripeto a mio avviso come ad avviso di molti altri e’ ben lungi dall’essere spiegato.

    grazie per la sua attenzione.

    Rispondi
    • Rino Tripodi says:
      8 anni ago

      Grazie a lei per i suoi interventi.

      Rispondi
  6. Name (required) says:
    8 anni ago

    grazie a voi e per qualsiasi richiesta di collaborazione sul tema sono a vostra completa e gratuita disposizione.

    Rispondi

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