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25 Aprile: antifascisti sì, sempre; “antifascismo” odierno no

Un fatto è lottare contro ogni forma di tirannide e oppressione, un altro è aderire a una ideologia funzionale alla lotta politica e, oggi, al regime imperante

Rino Tripodi by Rino Tripodi
3 Aprile 2022
in ATTACCO FRONTALE, STORIA, TEMATICHE CIVILI
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25 Aprile: antifascisti sì, sempre; “antifascismo” odierno no
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Un fatto è lottare contro ogni forma di tirannide e oppressione, un altro è aderire a una ideologia funzionale alla lotta politica e, oggi, al regime imperante

Non crediamo assolutamente che il totalitarismo fascista, fenomeno del XX secolo, potrà materializzarsi ancora, neanche in versioni aggiornate al nuovo millennio. I cittadini occidentali sono troppo abituati a libertà, benessere, costumi permissivi, per voler desiderare il ritorno di dittature rette da personaggi come Mussolini, Stalin, Hitler. In tal senso, siamo tutti antifascisti, antinazisti, antirazzisti, e fieri e convinti di esserlo. Semmai, le odierne popolazioni sembrano non accorgersi di nuovi tipi di totalitarismo e tirannide, definiti “dolci”, che assumono forme inedite, ma che pochi sembrano in grado di riconoscere (vedi Autoritarismo pandemico e Manganello, olio di ricino e confino… Anzi, randellate, idranti, “vaccino” ed esclusione sociale).

L’antifascismo storico, quello davvero “buono”, sorse negli anni Venti dello scorso secolo, allorquando prima in Italia, poi in molti altri paesi europei, si affermarono dittature fascisti o fascistoidi di destra: una forma di coraggiosa quanto spesso disperata e perdente opposizione, che, dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale e con l’appoggio degli eserciti alleati, assunse la forma della Resistenza. In particolare nella nostra nazione, si verificò l’orrore della guerra civile tra gli italiani. Nel Secondo dopoguerra, col ricordo ancora vivissimo del ventennio fascista, degli orrori bellici e dei genocidi razziali, l’antifascismo fu una reazione al cosiddetto complesso del tiranno. Dal quale furono comprensibilmente “affetti” anche i padri costituenti, che inserirono il divieto di ricostituzione del disciolto partito nazionale fascista tra le disposizioni transitorie e finali della carta della neonata repubblica, e una serie di pesi e contrappesi istituzionali che limitano il rischio di uno sbilanciamento dei poteri. Alla nuova repubblica democratica aderirono subito tutti o quasi.

Divennero antifascisti anche quelli che avevano appoggiato il vecchio regime. Tra i tanti esempi, lo storico Simon Levis Sullam in I fantasmi del fascismo. Le metamorfosi degli intellettuali italiani nel dopoguerra (Feltrinelli, Milano, 2021) parla dei casi di Piero Calamandrei, Federico Chabod, Alberto Moravia, Luigi Russo. Ma il loro reale numero è legione. E non pensate che fosse un fascismo di facciata o di necessità… Ma niente di male: solo gli stupidi non cambiano idea e non si rinnovano mai. Molto diverso è stato il nobile e coraggioso antifascismo del passato, manifestato in epoche durante le quali i fascismi dominavano in quasi tutta Europa o si era proprio nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, legato a sovrumani ideali e, vista la situazione politica o bellica, professato a rischio della propria pelle.

Ma cosa rischiano oggi gli irreggimentati “antifascisti” odierni, gli iscritti all’Anpi, sovvenzionatissima dallo Stato (quasi quattro milioni di euro elargiti tra Ministero degli Interni e quello della Difesa) e gli antifa di piazza? In cosa consiste il loro coraggio e la loro “resistenza” (“resilienza” nella neolingua)? Appoggiati da tutto l’establishment politico, economico, finanziario, massmediatico, culturale, il loro eroismo si basa sul cantare a squarciagola e fino alla noia e al tormento Bella ciao ogni 25 Aprile e quando possibile, anche senza che c’azzecchi alcunché, stordendo i malcapitati passanti o vicini di casa. Religione dogmatica, ennesima arma di distrazione di massa, l’“antifascismo” del XXI secolo non si occupa semplicemente di segnalare e denunciare eventuali rigurgiti fascistoidi, ma è un’ideologia, coi propri riti e parate, che divide il mondo in buoni (da esaltare) e cattivi (da eliminare): da una parte donne, single e coppie di fatto, giovani, neri, immigrati, gay; dall’altra uomini, famiglie tradizionali, anziani, bianchi, autoctoni, eterosessuali.

Esso serve altresì a mobilitare al voto gli indecisi di sinistra, a criminalizzare gli avversari politici (considerati “nemici”), che non sono assolutamente fascisti, a propagare la cultura conformista del pensiero unico politicamente corretto: una poco gioiosa macchina da guerra. Questo trascolorare dell’“antifascismo” in puntello dello status quo era stato denunciato più volte da Pier Paolo Pasolini: «Oggi buona parte dell’antifascismo è ingenuo, stupido o in malafede». E ancora prima, da un altro versante, Leo Longanesi aveva affermato: «La nostra democrazia ha un solo male, ha una sola tara: quella di esistere come avversaria del fascismo; essa per vivere non trova altra giustificazione che quella di combattere un fascismo morto con Mussolini. Così assistiamo a una lotta di cadaveri verticali contro un cadavere orizzontale».

Dopo quasi ottant’anni la democrazia italiana e soprattutto le sinistre non hanno fatto i conti con la storia passata del nostro Paese. È un orrore ripetere nelle piazze che essa abbia la propria migliore raffigurazione/incarnazione nella efferata macelleria di Piazzale Loreto. Tra i tre vecchi luoghi comuni, “si stava meglio sotto di ‘lui’”, “il fascismo non ha fatto nulla di buono” e “il fascismo qualcosa di buono l’ha fatto”, è senza dubbio valida la terza affermazione. La prima nasce dal fanatismo, la seconda dall’ignoranza della Storia italiana, la terza, contestualizzando il fenomeno, tiene conto delle azioni del regime mussoliniano nel campo delle arti, della cultura, dei lavori pubblici, dei diritti sociali, prima delle ignominie in Etiopia, in Spagna, delle leggi razziali, fino alla catastrofe dell’ingresso nella Seconda guerra mondiale. Sicché la nostra democrazia resta incompiuta e non inclusiva.

Le sinistre, infatti, non hanno accettato una visione della politica e delle elezioni come leale competizione tra avversari che condividono gli stessi princìpi e valori nazionali di fondo e non ha mai legittimato del tutto i partiti democratici dalle radici non comuniste (persino Amintore Fanfani, Bettino Craxi o Silvio Berlusconi sono stati etichettati come “fascisti”, fino agli odierni insulti a Giorgia Meloni e Matteo Salvini). E che dire delle posizioni guerrafondaie del Partito democratico e dei suoi alleati nei riguardi del conflitto Russia-Ucraina (vedi Un Governo antitaliano). E se il vero neofascismo fosse l’odierno “antifascismo”, spesso violento non solo a parole e squadristico? Se intendiamo come fascismo in senso esteso la mancanza di pluralismo, l’intolleranza verso chi dissente, la sopraffazione, la criminalizzazione degli anticonformisti, la repressione poliziesca, l’autoritarismo, la tirannide, c’è da chiedersi se siamo già entrati in un regime postdemocratico. Paradossalmente si potrebbe affermare che certo presunto “antifascismo” odierno non è antifascista, ma che, al pari del fascismo, è un’ideologia intollerante e violenta, discriminatoria, che non rispetta pluralismo e diversità di opinioni. E ricordiamoci che i veri fascisti non sono mai intorno a noi, o tra gli emarginati e gli oppressi, ma sempre sopra, al potere…

Rino Tripodi

(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 196, aprile 2022)

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Tags: 25 aprileantifascismoconformismodemocraziafascismopensiero unicoregime
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