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Home CINEMA-MUSICA

Un “Elixir” di buona musica: intervista a Scott Underwood

Dalla redazione by Dalla redazione
25 Maggio 2006
in CINEMA-MUSICA, INTERVISTE, SOTTO I RIFLETTORI
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Un “Elixir” di buona musica: intervista a Scott Underwood
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Il primo disco del batterista dei Train, insieme al bassista Charlie Colin: una «discesa nell’io profondo, alla ricerca di autocoscienza»

Il batterista Scott Underwood e il bassista Charlie Colin sono due strumentisti statunitensi ben noti nell’ambiente musicale internazionale. Entrambi, infatti, hanno suonato insieme nei Train, vincendo un premio Grammy per la canzone Drops of Jupiter.
Successivamente, sono tornati a collaborare in una nuova band, Food Pill, che ha realizzato Elixir. L’album è una raccolta di musica strumentale, originale e struggente, realizzata dai due in collaborazione con Gregory Butler e Mark Howard.
Inteso come un viaggio alla ricerca di se stessi, il cd rappresenta una importante tappa nella carriera dei due musicisti, che hanno pubblicato un lavoro totalmente svincolato dalle logiche commerciali imperanti oggi, realizzando un album dal quale traspare un sincero amore per la musica “pura”.
Abbiamo intervistato Underwood e gli abbiamo chiesto qualcosa in più su Elixir.

scott-underwoodPerché hai deciso di tornare a lavorare con Charlie Colin su un nuovo progetto musicale come Elixir?
Charlie e io abbiamo suonato insieme in un gruppo (i Train), scrivendo molte canzoni per questa band. Abbiamo scoperto che c’era una buona alchimia tra di noi, amiamo la stessa musica, le nostre vite e i nostri sogni sono gli stessi, e ciò ha reso semplice la nostra collaborazione artistica. Quando entrambi vivevamo a Los Angeles, io cominciai ad avere l’idea di sviluppare un tipo di musica “diversa” e, una sera, chiesi a Charlie di ascoltarla. Lui iniziò ad accompagnare le melodie con il suo basso e fu una sensazione fantastica per entrambi. Ci sentivamo come se avessimo scoperto un tesoro nascosto!

Cosa ha significato un album come Elixir per te?
Questo album è la più genuina espressione di me stesso. Ho provato ad essere musicalmente “egoista”, disinteressandomi del fatto che sarebbe potuto piacere o meno agli ascoltatori. Certamente è una sensazione meravigliosa quando si riesce ad incontrare i gusti del pubblico, ma non significa tutto. Ho visto molti musicisti cambiare il proprio stile musicale e le proprie idee per aumentare le possibilità di essere “accettati” dal pubblico: lo capisco, ma è altrettanto vero che deve esistere uno spazio per i musicisti che vogliano esprimere la parte più sincera di loro stessi. Io e Charlie ci abbiamo provato.

Potresti descrivere le musiche di questo album? Che tipo di ispirazione vi ha guidati? Ci sono storie particolari dietro ad ogni canzone?
Considerando che si tratta di musica strumentale, senza testi o cantanti, è veramente difficile riuscire a descrivere da quali esperienze nascono i brani. Abbiamo semplicemente iniziato a comporre ciascuna melodia e ci abbiamo lavorato fino a quando non sentivamo che era finita. Nel momento in cui completavamo le musiche, la sensazione era quella che esse avessero preso autonomamente una propria forma. Allora pensavamo a cosa rappresentassero per noi oppure alle esperienze che ci avevano ispirati. Si poteva trattare di una serata passata in un hotel o di qualche evento capitato durante il giorno.

Alcuni brani dell’album – A view from above, Metamorphosis, The rain song – sembrano diversi capitoli di una stessa storia. C’è un reale legame tra le varie melodie oppure è solo una sensazione?
L’intero disco tratta della discesa nell’io più profondo di ognuno, alla ricerca di autocoscienza e di pace. Ma, se lo si guarda da un’altra angolazione, esso descrive un’ascesa continua, sempre più in alto, verso il nirvana o il paradiso. Tutto inizia molto lontano dalla luce e termina all’interno della luce stessa. Mi rendo conto che è un concetto alquanto astratto da comprendere per l’ascoltatore, ma è ciò a cui stavamo pensando mentre realizzavamo il disco, ed è anche uno dei temi ricorrenti nelle nostre discussioni.

Sea, Sun, Stars e Daylight sembrano totalmente differenti rispetto al resto dell’album.
Ci sono due facce nel progetto Food Pill e questo disco le abbraccia entrambe. Certamente Charlie ha influenzato alcune musiche, mentre io ne ho ispirate altre. Ciò verrà fuori e si comprenderà meglio alla distanza. Ma non vogliamo ricondurre il progetto Food Pill ad un solo stile, noi non vogliamo limitare la nostra creatività. Lo abbiamo già fatto per anni nei Train. Food Pill è la nostra creazione artistica.

Avete mai pensato di proporre questo album come colonna sonora di un film?
Ci piacerebbe moltissimo comporre una colonna sonora, e, in parte, lo abbiamo già fatto. La canzone Metamorphosis è stata scritta per un film diretto da Shaun Peterson (Turning).

Sei, attualmente, il batterista di un gruppo rock (Train). Come è possibile conciliare l’esperienza con i Train con quella di Elixir?
Il mio legame con i Train è solido. Loro incoraggiano il mio progetto. Sono certo che sarebbe stato diverso se avessi fatto un disco in competizione con loro. I Train sanno che Elixir è semplicemente una forma d’arte per noi.

Dopo Elixir, hai intenzione di lavorare ancora con Charlie Colin?
Sicuramente. Io e Charlie abbiamo già composto moltissime melodie, e abbiamo intenzione di continuare a scrivere e a pubblicare insieme dischi con il progetto Food Pill (www.foodpill.net). Stiamo anche pensando di esibirci dal vivo, anche se organizzarci sarà un pochino difficile. Non impossibile, ma difficile…

L’immagine: dal video di una canzone dei Train (She’s on fire), fermo immagine di Scott Underwood.

Angela Luisa Garofalo

(LucidaMente, anno I, n. 11, novembre 2006)

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Tags: A view from aboveCharlie ColinDaylightDrops of JupiterElixirFood PillgarofalogrammyGregory ButlerintervistajazzLos AngelesMark HowardMetamorphosismusicaScott UnderwoodSea Sun StarsShaun PetersonShe's on fireThe rain songtrainTurning
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