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“L’attracco sulla luna” di Daniela Monreale

Dalla redazione by Dalla redazione
12 Novembre 2006
in RECENSIONI
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De L’attracco sulla luna (pp. 74, %u20AC 11,00) di Daniela Monreale, pubblicata presso la collana Le invetriate delle Edizioni Il crocicchio/inEdition editrice, ecco di seguito la Presentazione di Gabriela Fantato, dal titolo L’immergersi nella vita: poesia ed esperienza in L’attracco sulla luna di Daniela Monreale.

Quest’ultimo libro di Daniela Monreale è una sorta di canzoniere della gioia, nato da un incontro amoroso che svela però come per la poetessa toscana l’amore non sia solo incontro con l’amato, bensì condizione originaria dell’umano che, svelando il senso antico e ancestrale della vita, conduce a noi stessi e ci fa partecipi del mondo.
Leggiamo, infatti, in apertura di libro che le poesie sono dedicate “a S. che mi ha cambiato la vita”, ma i versi – sempre fortemente ritmici, allitteranti, con assonanze e a volte rime – si compongono in un viaggio iniziatico dove con lievità si intrecciano tensione erotica e slancio mistico.
Ed è come se i versi della Monreale scaturissero con potente naturalezza da una pratica di vita che li ha mischiati e dunque rivelati nel loro essere inseparabili facce della vita. Questa, infatti, per la poetessa, si svela a noi quando riusciamo a sentire che il nostro Essere più autentico è nel nostro “esser corpo”, nel nostro abitare il mondo come corpo e venire modificati dall’incontro con la concretezza delle cose, avvertendo però l’infinito dentro le pieghe della vita stessa, che è come un fuoco che arde e ci sfugge se la interroghiamo solo con la ragione. Ecco perché è dentro l’amore di un corpo amato che si apre la strada per la conoscenza di se stessi e del segreto della realtà intera, come leggiamo nei versi di Qui e tutto: “Sembra un cosmo tascabile / la mia stanza la mia testa / anche senza pace / sembra un %26%23257;shram con la luce sempre accesa / e l’attesa infinita il desiderio la paura / l’eterno sbigottimento / in un mini appartamento / mi perdo mi ritrovo / mi rotolo nel cerchio”.

Questo viaggio in poesia si attua in parte anche a tappe concrete, tanto che luoghi precisi sono nominati e individuati con chiarezza, come nei testi della sezione Arrivi e partenze, dove si legge di paesaggi toscani mischiati al volto amato: “Il gomito di strada scoperchia / una mancanza, gira l’altalena / dei riquadri, l’orizzonte a Monteriggioni / fissa il tuo sopracciglio, infaticabile, / che nelle immagini danza sicuro” (Vetro anteriore); o troviamo Braies, che “è una giostra di silenzio, la Croda del Becco / finge una risposta ortogonale, / ma si perde nell’acqua, inutile provare faticare, / la grandiosa geometria delle montagne / dà il segnale di questo assaporarti”; in Brixen, sei anni dopo Daniela scrive che la “friabile bellezza” del luogo “Mi suggerisce che tu stai vicino a questo / morso di gioia, lo mangi d’amore insieme a me / che divoro”. Tuttavia la gran parte dei testi segnano tappe interiori, indicando il cammino dell’anima che si scopre nuova grazie all’incontro con la sapienza del corpo che è indicibile e terrestre, potente e fragile insieme, per cui va conosciuta dalla parola di poesia con pazienza e attenzione.
Ci accompagnano nelle tappe di questo viaggio alcuni poeti e filosofi cari all’autrice le cui parole sono evocate in apertura delle varie sezioni: partiamo dalla prima sezione, Assaporare, preceduta da un motto di Boris Pasternak, in cui si traccia la direzione complessiva in cui si andrà ad articolare tutta la raccolta della Monreale: “Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. A loro non si è svelata la bellezza della vita”. Sono parole scabre che compongono, direi, una sorta di “elogio dell’imperfezione”; infatti il grande poeta russo dichiara che la bellezza della vita si coglie nell’abbassamento, nell’avvicinarsi alla terra con una caduta o con l’inciampare. E, se penso a Merleau-Ponty, filosofo senza dubbio caro all’autrice, direi che con questo motto ella alluda qui ad una sorta di “caduta dentro la carne del mondo”, in quanto le parole del poeta russo indicano la direzione di un’esperienza di abbandono della logica consueta della vita per esser parte del tutto, vivendo la precarietà, fragilità e debolezza della carne sino a cogliere la natura tattile-percettiva del nostro vivere, scoprendo la gioia, condizione da cui scaturisce la poesia: “torno nel giorno ai miei pensieri furetti / ai miei agretti senza riposo, cogliendo / una bava di gioia nel toccare con lingua / il ripudio della ragione”, scrive Monreale, e in un testo successivo leggiamo: “come truppe d’assalto saltano / il limite non sapevo quanto / la mia bocca / fosse arsa e rivoluzionaria”.

Nella sezione centrale la poesia si fa voce interiore e chiede di essere “solo il controcanto / di una musica sconosciuta / e che le foglie siano parole / delicate, mute, cadute sulla terra / per amore”, tanto che si legge una delicata invocazione all’amato, affinché possa trasformare il peso del corpo in lievità, quasi sia possibile una metamorfosi dell’Io nel tutto della Natura: “Non essere un segreto non mordere / il vero tra le labbra, / fai dei tuoi occhi due finestre / due rami due ortensie / sul giardino del tuo amore, / prestami le chiavi / aprimi il cancello / fammi dondolare al sole”. Ma in questi versi c’è anche la consapevolezza che per vivere la gioia occorra sfidare con cautela le difese consuete, per cui la poesia si fa invito al tempo della cura e alla pazienza: “Materia fragile la notte dei sentimenti, / quando ci si sente bui e abissali, / spinti giù nella chiazza sconosciuta / delle passioni, nel gorgo tellurico / dei sogni, precarietà, carezze / che non verranno. // Maneggiare con cura, girare / piano la chiave, per favore, / c’è in questa stanza una / storia rovesciata, che porge la vastità”.
Nella parte della raccolta intitolata Improvviso, inarrestabile è l’esergo di Cesare Pavese a ribadire ancora la natura profonda di questa silloge, in quanto leggiamo: “L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre ad ogni istante”; parole queste che aggiungono a quanto già detto sin qui una sfumatura importante, ossia il fatto che la gioia è per questa poetessa sapienza del cominciamento, scoperta continua e dunque adesione al ritmo mutevole della vita, immersione in ogni attimo del presente: “In te ho capito l’istante, la foglia, il ritmo / vero dell’esserci”, in quanto è l’amore che rende possibile “Vedere al tatto, fino a che il gesto / rimbocca i sensi, le percezioni” e tutto questo dice l’autrice, sino a che si potrà dire “eccola, / la parola”.

Nella sezione finale – Quiete e bellezza – si condivide con la poetessa la scelta delle parole del filosofo Ortega y Gasset che, con grande immediatezza, sottolinea la natura relazionale del nostro essere al mondo, dove conoscere è compartecipare l’esperienza. “Tutto ciò che amo perde metà del suo piacere se tu non sei lì a condividerlo con me”, ed è proprio in questi testi finali che la gioia è di nuovo centrale nella poesia di Daniela, come nei seguenti versi: “Fregio d’estate i tuoi / neri riccioli di scomposta gioia / sopravanzano il mio scalpo, / fanno finestre dove guardarsi / è rito di salute di candida destrezza / nel preparare rivoli / di assiduità”.
La gioia in questo “canzoniere” è dunque apertura alla vita, adesione erotica al mondo attraverso cui la poesia attinge però anche la sacralità della natura e della vita stessa, svelandosi sapienza carnale del nostro essere al mondo.

L’immagine: la copertina della silloge di Daniela Monreale (progetto grafico di Germana Luisi).

Gabriela Fantato

(LucidaMente, anno II, n. 3 EXTRA, supplemento al n. 13, 15 gennaio 2007)

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