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Home VECCHI ARTICOLI ATTACCO FRONTALE

Una strage infinita: i morti sul lavoro

Mariella Arcudi by Mariella Arcudi
17 Febbraio 2008
in ATTACCO FRONTALE, TEMATICHE CIVILI
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Un recente studio dell’Eurispes, Indagine sugli infortuni sul lavoro, ha calcolato che dal 2003 al 2006 nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. In Italia avviene in media un incidente ogni 15 dipendenti, con una percentuale di decessi molto elevata: una vittima ogni 8.100 addetti! Queste tragedie costano allo Stato ben 50 miliardi di euro all’anno e sono spesso determinate dal ricorso ai subappalti, grazie a cui le aziende risparmiano sulla sicurezza e sui salari, impiegando una manodopera precaria e poco professionale.
In passato la situazione è stata, in certi momenti, sicuramente migliore di quella attuale, come cercheremo di spiegare attraverso un breve excursus storico.

Agli albori dell’industrializzazione – L’Unità d’Italia (1861) segna il momento della definitiva trasformazione della storia politica ed economica del nostro Paese, con il graduale sorgere di grandi poli industriali, la nascita di nuove forze politiche e di un esteso movimento degli operai. La maggior parte delle industrie, per lo più meccaniche e siderurgiche, si stanziano nel Nord: Breda, Fiat, Lancia, Olivetti e Pirelli, industrie storiche, che, dando lavoro a migliaia d’italiani, favoriscono lo sviluppo economico del Paese. Il Sud e le isole, invece, restano fanalino di coda, con l’agricoltura come risorsa principale. Tra il 1862 e il 1914 si consolida in Italia un capitalismo che detta e impone canoni di lavoro senza alcun segno d’intesa verso le richieste, seppur minime, dei salariati. Questo momento storico è caratterizzato dalle terribili condizioni di sfruttamento in cui versano sia gli operai delle fabbriche, sia i lavoratori della terra e delle miniere, spingendo gli uni e gli altri a organizzarsi in difesa dei propri diritti.

I primi movimenti proletari – In Sicilia, a Catania, sorge tra il 1892 e il 1894 un movimento di protesta proletario spontaneo – i Fasci siciliani, cui aderiranno 300.000 tra braccianti, minatori, artigiani e commercianti – che chiede, tra l’altro, l’abolizione del dazio sulla farina e l’esproprio dei latifondi. La reazione di Francesco Crispi, presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, è dura: egli, dopo aver ordinato la legge marziale, soffoca aspramente il movimento. Nel 1898, il forte aumento del prezzo del pane scatena disordini e proteste: l’ondata di dissenso popolare si diffonde in tutta l’Italia, da Nord a Sud. La protesta sarà repressa con le armi, tanto da sfociare in un bagno di sangue: solo a Milano si conteranno, ufficialmente, 80 morti. Tutto questo accade nonostante il fatto che, circa dieci anni prima, il ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli abbia di fatto legittimato il diritto di sciopero, non prevedendo nel nuovo Codice penale alcun tipo di sanzione contro di esso. Nel 1892, intanto, è nato a Genova il Partito dei lavoratori, che nel 1895 diventerà, per opera di Filippo Turati e di Anna Kuliscioff, il Partito socialista italiano. Da subito il nuovo movimento politico sarà affiancato da una serie di organismi collaterali come le leghe sindacali, le cooperative, i circoli culturali e politici, al fine di diffondere la lotta di classe con metodi legali e democratici.

Lo sviluppo dei partiti dei lavoratori – Nonostante i tentativi di repressione da parte dei governi di Francesco Crispi e di Antonio di Rudinì, il nuovo partito ottiene buoni successi elettorali, con 33 deputati eletti nel 1900. Nel 1906, inoltre, nasce la Confederazione generale del lavoro (che dal 1944 in poi sarà denominata Cgil): grazie al nuovo sindacato, durante l’età giolittiana, si realizzano le prime leggi in favore dei lavoratori e cresce la forza complessiva del socialismo italiano, pur diviso fra “riformisti” e “massimalisti”. Nel gennaio 1921, nel corso del congresso di Livorno, dalla scissione dell’ala sinistra del Psi viene fondato il Partito comunista d’Italia. Dopo il 1945 sarà proprio il Pci, sotto la guida di Palmiro Togliatti, a organizzare i principali movimenti di massa, proponendosi di difendere i valori nati dalla Resistenza, in particolare la giustizia sociale e i diritti dei lavoratori (insieme a molti esponenti socialisti, tra cui Riccardo Lombardi, Rodolfo Morandi, Sandro Pertini). Le lotte operaie degli anni Sessanta sfociano, infine, nella costituzione dello Statuto dei lavoratori, del quale i salariati italiani potranno avvalersi per far rispettare democraticamente i loro diritti. Il Paese diventa più civile, con norme sul lavoro all’avanguardia. Esiste ancora una sottile linea di demarcazione tra i partiti che fanno politica e gli imprenditori che si occupano delle loro industrie, mentre i lavoratori acquistano sempre più competenze e specializzazioni, diventando più produttivi (e mantenendo, solo loro, le promesse fatte sui tavoli di concertazione).

La ristrutturazione neoliberista – Dagli anni Ottanta in poi, tuttavia, ha inizio anche da noi quella che Naomi Klein ha definito shock economy (la sconfitta degli operai alla Fiat è proprio del 1980). A un tratto tutto diventa effimero (“Prima un po’ per volta e poi all’improvviso”, come afferma un personaggio di Fiesta, noto capolavoro di Ernest Hemingway), gli eventi si sgretolano tra le dita, come se tanta storia non sia mai stata altro che un sogno, mentre la democrazia si dissolve in giochi di potere inarrestabili, quanto, talvolta, incomprensibili. In Italia, come nel resto del mondo, cambiano i rapporti di forza. La politica sostiene, con sempre maggiore assoggettamento, gli interessi degli industriali e la ristrutturazione economica neoliberista, che si realizzerà in pochi anni con lo smantellamento di decine di aziende, la messa in cassa integrazione degli operai (che saranno successivamente licenziati per esubero) e lo spostamento degli stessi stabilimenti in Paesi poveri, dove il costo della manodopera è molto inferiore e si rasenta lo schiavismo. Quelle che prima erano delle industrie fiorenti diventano ora una serie di “scatole cinesi”: una società azionaria ingloba tanti stabilimenti che spesso non esistono, creando così una serie di opifici fantasma, senza lavoratori né produzione, in cui però gira una quantità enorme di denaro, che arriva dalle banche tramite l’acquisto di titoli azionari da parte dei piccoli risparmiatori (che spesso perderanno tutto il denaro, vedi i casi Parmalat, Cirio, ecc.) e dalle sovvenzioni dell’Unione Europea “per la produttività”. Denaro che, in molti casi, sparisce all’interno delle banche situate nei cosiddetti “paradisi fiscali”.

Ricadute negative sul lavoro in Italia – A partire dagli anni Novanta le regole della democrazia italiana sembrano essersi ormai dissolte in un’accozzaglia di leggi e leggine, che portano il Paese allo sfascio, mentre la classe politica e la Confindustria proclamano (come “dei dell’Olimpo”) che ciò che è previsto dal libero mercato rappresenta il solo futuro possibile. Partono a raffica le privatizzazioni di molti enti e servizi pubblici, con il relativo aumento indiscriminato dei costi per gli utenti, e vengono varate le leggi sul precariato (vedi “legge Treu” e “legge Maroni”) che cancellano di fatto tutto quello che garantiva lo Statuto dei lavoratori, imponendo ai giovani condizioni pessime di lavoro e calpestandone i diritti. Le assunzioni prevedono, con qualche eccezione, contratti per pochi mesi, persino per poche ore; non si richiede alcuna specializzazione, raramente si versano i contributi ai fini pensionistici, le norme di sicurezza non vengono rispettate e chi non si adegua resta senza lavoro, senza futuro. Così gli “dei” della politica e dell’industria impongono la “modernizzazione” del Paese. Non dimentichiamo, però, che gli “dei” da sempre amano farsi beffe degli uomini, assoggettandoli ai loro capricci e ricatti.

Le normative sulla sicurezza ci sono, però… – In verità, dal 1955 in poi molte leggi italiane hanno formalmente tutelato la sicurezza sul lavoro. In particolare la legge n. 626 del 1994 (aggiornata nel 2004), che prevede attente misure per difendere la salute e l’incolumità dei lavoratori, sia nel settore pubblico, sia in quello privato. Niente di tutto ciò oggi è realmente applicato, in quanto, nella maggioranza dei casi, i controlli sulla sicurezza sono fasulli o inadeguati. Il lavoro nero (che è una indiscutibile realtà del nostro Paese) e la precarietà dei lavoratori, assunti senza tenere conto delle più elementari regole di equità e formazione, ci hanno portato ad avere in Europa il triste primato di morti sul lavoro. Nella quasi totale indifferenza, almeno finora, delle istituzioni, circa tre operai ogni giorno muoiono bruciati, schiacciati, precipitati, sotto i nostri occhi. Il dolore, la rabbia, l’indignazione ci spingono a chiederci: dov’è la democrazia, la civiltà, l’etica di un Paese che deve ai lavoratori, alla loro tenacia e sacrificio, tanta parte del suo sviluppo economico e politico?

L’immagine: particolare de La costruzione di un palazzo (1515-20, Sarasota, The John and Mable Ringling Museum of Art) di Piero di Cosimo (Firenze, circa 1462-Firenze, circa 1521).

Mariella Arcudi

(LucidaMente, anno III, n. 27, marzo 2008)

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