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La Chambre di Sartre per Stefano Pastor

Dalla redazione by Dalla redazione
18 Ottobre 2009
in RECENSIONI
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Nel recente cd Chants, edito per la label inglese Slam (Slam Productions-SLAMCD 519, Abingdon UK, 2009), il violinista d’avanguardia free jazz Stefano Pastor, come afferma Angelo Leonardi nelle Liner Notes del disco, si addentra in «un dialogo con l’altra parte di sé, un confronto con la propria Ombra che appare a volte inquietante e drammatico com’è ovvio che sia (si ascolti ad esempio La Chambre, ispirato all’omonimo racconto di Jean-Paul Sartre)».
In questa sede vogliamo soffermare la nostra attenzione proprio su questo brano – è possibile identificare come umbratile quella sorta di vita-non vita in cui l’elemento spazio temporale è più subìto che recuperato nella pienezza esistentiva del protagonista dello scritto sartriano – trasfigurato dallo stesso Pastor sia in musica che in versi.

La Chambre

Mi piace la tua bocca
Articola silenzio
Nell’ombra d’incenso
Mi baciava un tempo

Il sole rivela rassicura
Normalità sui volti colti
In strada dal vetro chiuso
Non dimora l’ombra

L’orrore di visioni
La notte sporche carezze
Di mani, di donna, di uomo
Non baci più la mia bocca

Nella camera non penetra
Malinconia di un giorno d’autunno
Nella camera nera nebbia
Non conosce stagioni

Mi piace la tua bocca
Non potrei vivere fuori
Questo antro così tuo
Non hai bisogno di nessuno

Gli oggetti che tocchi
Vivono del tuo sentire
Nelle mie mani tornano a morire
Come te vorrei pensare

L’orrore di visioni
Senti, sento, immagino, tremo…
Nel tuo dolore è il muro che ci separa
Come te vorrei sentire

Nella camera una frase interrotta
Biancastra parola colata
Nella camera forse un anno
Non potrai più parlare
Un giorno perderai il tuo mondo
Occhi perduti nel vuoto

Mi piace la tua bocca
Non permetterò che accada
Bacio la tua bocca
Fermerò il tuo respiro

Il discorso del tempo, di situazione chiusa, claustrofobica dove il grigio dimora mentre le stagioni non hanno ingresso, una camera quasi sigillata, che rappresenta e impone un senso di scardinamento delle coordinate razionali, ma dove permane come unità di luogo. E, nonostante l’assenza di coordinate temporali all’interno, esse accadono al di fuori generando una sorta di conflitto costante tra un dentro – internamente considerato – e un fuori che esiste solo nella sua estranea oggettività. Tutto questo nell’assenza di elementi atti a identificare, un trascendimento di coordinate spazio temporali consuete e di ogni connotazione vitale: come se il tempo si fermasse per un eterno presente che però si snoda ugualmente, perché esiste e scorre nonostante tutto. Grigiore e monotonia, ma insieme alla sospensione del tempo esterno.

La monotonia teoricamente è un evidenziarsi del tempo – in questo caso da un lato è un addensarsi dell’immutabilità di una situazione, è una sorta di tempo compresso, rimane solo uno spazio – mentre gli oggetti restano nella loro definizione e l’unica cosa che sembra evidenziarsi è il rapporto della figura umana con le cose. Essere gettati nel mondo, i due personaggi sono gettati nel microcosmo con gli oggetti che li circondano. Nella situazione fissata ne sopravviene, seppur distorto, un recupero – gli oggetti come spoglie di se stessi – e la decisione/non-decisione arbitraria del protagonista di fare qualcosa, di rompere questo accerchiamento, come se spazio e tempo gli premessero addosso, si evidenzia come vettore di mutamento.

Altra cosa essenziale è data dall’aspetto della parola, della comunicazione verbale: il parlare non parlare, il privilegio dato al linguaggio corporeo degli occhi, delle labbra in uno stato di evidenziazione fisica: il corpo, conferma per definizione dell’elemento temporale, sembra qui essere ridotto a gesti minimi, essenziali. In realtà un rapporto del corpo per assenza. Assenza di comunicazione già comunicazione. Quanto le singole parti corporali vengono messe in risalto? La bocca destituita della sua funzione tradizionalmente intesa – strumento della parola – è qui ridotta a una sorta di strumento del parlare senza parlare, ancora una volta un risalto delle singole parti fisiche in quanto tali: destituzione funzionale dove ogni singola parte del corpo si pone come auto-referenziale.

Se poi si sussume l’oggetto come simbolo della realtà, la camera per un verso è lontananza sempre più remota dalla quotidianità concreta e reale, per l’altro un precipitarsi della vita in quanto tale nella individualità. In questo senso concentrazione disperata e disperante sull’individuo, fatalità individualistica. L’oggetto è in una certa misura funzionale all’individualità, una sorta di defunzione che diventa funzione nuova. L’oggetto è comunque fisicità, dimensione, tatto. La mancanza di funzione diventa, se vogliamo, gratuità rispetto alla strumentazione, in quanto esercizio di un atto gratuito. Riguardo poi al rapporto tra i due protagonisti fino a che punto lei, portatrice di esterno inteso letteralmente come extra-camera, rappresenta l’elemento sociale contrapposto a quello ripiegato sulla propria individualità? C’è sempre qualcosa che li tiene distinti nella loro individualità – certe cose sono inattingibili e intangibili. Lei potrebbe in una certa misura finire con l’essere contagiata da lui, ma permane con evidenza il segno di separazione. La camera è e rimane il regno di lui. E le sue stesse caratteristiche sono di loro natura un rafforzarsi e chiudersi nella sua individualità.

L’immissione in una situazione di elemento allucinatorio, in una specie di spettro del mondo esterno, giunge fino al recupero del sonno. La funzione di giacitura si trasmuta in evidenziazione di una figura immobile in recupero di un movimento per immissione dall’esterno seppur come modalità fantasmatica. Ricondurre tutto al silenzio significa riportare ad una funzione fondamentale: la parola tradizionalmente strumento sociale è relazione e contatto, il silenzio prevalente della condizione camera, extra-neità, si può rivelare duplicazione o comunque funzione della comunicazione esterna che però alla fine si spegne con un ritorno dell’individualità a se stessa. Simboleggiata dal sonno come ritorno primigenio alla legge fisica.

L’immagine: la copertina del cd Chants di Stefano Pastor, realizzata dal musicista stesso. I brani in esso contenuti sono: 1. Naima; 2. I’ll remember April; 3. Chi mi ha insegnato; 4. Caravan; 5. Easy Living; 6. The Song is You; 7. La Chambre; 8. Fortytude; 9. There is no Greater Love; 10. Danca da solidao.

Erika Dagnino

(LucidaMente, anno IV, n. 47, novembre 2009)

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Tags: boccachantscomunicazionemicrocosmomonotoniamusicanormalitàoggettiparolarecuperosolespaziostagionistefano pastorstradaversi
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