«È la storia di una battaglia democratica, condotta con energia e determinazione se pure in mezzo a mille difficoltà, che conosce momenti di grande tensione, scontri fra diverse e opposte posizioni, speranze e delusioni, e ci fa assistere ad animati dibattiti di assemblee, incontri con uomini politici, dei quali alcuni favoriscono, altri frenano il processo di trasformazione». Le parole con le quali Norberto Bobbio ha descritto il libro di Ennio Di Francesco Un commissario scomodo (Sandro Teti Editore, pp. 336, € 18,00) sono così dense e lucide da rendere quasi inutile qualsiasi altro tentativo di recensione.
«Una pagina interessante di storia recente che qui è vista da chi l’ha vissuta dall’interno, e ce ne offre una viva, spesso anche amara, testimonianza», ha aggiunto il filosofo e politologo italiano, rendendo subito chiaro l’obiettivo dell’autore: raccontare la sua vita per raccontare l’Italia.
Da Genova a Roma… alla pensione
Nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte (in provincia di Reggio Calabria), Di Francesco si laurea in Legge all’Università di Genova. Figlio di un sottufficiale dei Carabinieri («le sue parole alimentavano in me sogni di avventura e di infantile giustizia»), comincia la sua carriera in polizia alla questura di Genova, all’interno dell’Ispettorato antiterrorismo. Ma dopo pochi anni, e qualche intervento scomodo, comincia la sua “persecuzione”, cominciano i tradimenti, comincia la sua lotta: «Un telegramma datato 19 febbraio (1975, ndr) recitava “Commissario capo Ennio Di Francesco est trasferito per esigenze di servizio da Ispettorato antiterrorismo at questura Roma decorrenza immediata”. Firmato: ministro Gui. Piansi di rabbia, senza vergogna. Quali esigenze di servizio potevano essere più importanti dell’emergenza che l’attacco terrorista stava portando al cuore dello Stato?».
Cominciava così il percorso a ostacoli che Di Francesco avrebbe affrontato per tutta la sua carriera, fino all’epilogo. Sembra un cerchio, che inizia con un trasferimento immotivato, forzato, per certi versi anti-democratico, e si conclude allo stesso modo, con la stessa freddezza che una comunicazione di servizio porta con sé, specie quando non ha ragione d’esservi: «Dal primo maggio 2004 il dottore Ennio Di Francesco è collocato d’ufficio in congedo».
Così la Polizia di stato si è liberata del suo commissario scomodo: «Un’esecuzione giuridicamente perfetta, consumata con calcolato cinismo: usare un funzionario scomodo in settori complessi ma non promuoverlo mai, sino a far scattare anzitempo per lui la mannaia del pensionamento».
L’inizio uguale alla fine. Ma in mezzo tante lotte, tanta rabbia, tanta vita da raccontare.
Il Movimento per il sindacato
Nonostante tutto, la carriera del commissario è brillante. Di Francesco riceve incarichi di responsabilità nell’Interpol in Italia e in Europa, lavora al Ministero degli Affari esteri, al Ministero degli Affari sociali e alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Dirige l’Unità nazionale Europol e l’unità italiana nell’Accademia europea di polizia.
Tuttavia le sue battaglie, le sue lotte non sono solo contro i cattivi per eccellenza. Terroristi, assassini, narcotrafficanti fanno parte della sua quotidianità, ma Di Francesco va oltre, precorre i tempi. Si batte per la democratizzazione della polizia e la nascita del suo sindacato: «Vennero fissate le ulteriori tappe organizzative: una capillare campagna di adesione dei poliziotti per la trasformazione del movimento in sindacato, nonché votazioni in tutte le strutture di base per preparare una assemblea nazionale elettiva. Ma eravamo troppo ottimisti! Dopo il primo sgomento, l’anima più conservatrice del partito di maggioranza (Democrazia cristiana, ndr) reagiva. […] L’onorevole Gui indirizzava una lettera al segretario della Dc, Zaccagnini, più o meno di questo tenore: “Questo sindacato non s’ha da fare”».
Ma lui non si arrende, il movimento non si arrende. Troppi sono i poliziotti morti per scarsa sicurezza e scarsa protezione. Troppe le provocazioni ricevute continuamente dall’interno e dall’esterno. Troppe «le tensioni sociali che li vedevano sempre più nelle vesti di vittime o “sbirri”».
E così la battaglia continua, si inasprisce e «infine, giunse la conferma che il Movimento aveva tenuto e vinto! Da ogni città arrivarono le percentuali della campagna di adesione ovunque plebiscitaria, da Milano a Palermo, da Bolzano a Pescara… Nelle strutture di base, in ogni reparto, commissariato o questura, dalla semplice guardia al generale al questore, tutti poterono votare liberamente per le loro rappresentanze, gustando così il proprio pezzetto di democrazia reale».
Paese ingrato
C’è tutta la storia italiana degli ultimi quarant’anni nel libro di Di Francesco. Dai movimenti operai e studenteschi del Sessantotto, agli anni di piombo e alle lotte del Settantasette, da Tangentopoli, al G8 di Genova, all’11 settembre. Il tempo scorre, le vicende si susseguono, ma l’Italia non cambia. Rimane quel nocciuolo di paure, trame, tradimenti, affarismi che ruotano attorno e rendono sempre fragile quel prezioso edificio che chiamiamo democrazia.
E così, mentre la continua crisi del sistema pensionistico costringe tutte le fasce di lavoratori a un’età pensionabile più elevata, e mentre quotidianamente si leggono e si vedono racconti di mafia, terrorismo, droga e sicurezza, il nostro commissario scomodo riceve un ambitissimo premio per la brillante carriera e viene preventivamente congedato a meritato riposo.
«Il primo maggio 2004, festa dei lavoratori, era il mio primo giorno di pensione»: noi altri, speriamo che ce la caviamo.
L’immagine: particolare della copertina del libro di Ennio Di Francesco.
Simone Jacca
(Lucidamente, anno V, n. 54, giugno 2010)