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Home FAMIGLIA-EDUCAZIONE-SCUOLA

Terza età e società contemporanea

Emanuela Susmel by Emanuela Susmel
24 Febbraio 2013
in FAMIGLIA-EDUCAZIONE-SCUOLA, IL PIACERE DELLA CULTURA, TEMATICHE CIVILI
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«Ogni giorno che resta»
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Il problema della gestione degli anziani viene affrontato diversamente a seconda delle epoche. Ciò che conta davvero è non lasciare andare alla deriva l’esperienza e la saggezza di chi ha vissuto prima di noi

La società si evolve nel tempo e, con essa, mutano esigenze, aspettative di vita e attenzione ai problemi sociali, fra cui la terza età. Non dobbiamo stupirci se chi era considerato anziano un paio di generazioni fa oggi non ha ancora l’età pensionabile; e passa il proprio tempo libero in circoli ricreativi, in compagnia di allegri partner di ballo. Il fatto è che, volenti o nolenti, sono gli stessi interessati ad aver cambiato la considerazione di loro stessi. Noi aggiungiamo: per fortuna! Del resto, non avrebbero alternative al riguardo.

0-vecchiaia 1È vero che le riforme politiche decidono – al posto loro – quando potranno dire addio all’attività lavorativa, con conseguenti delusioni e speranze infrante dall’oggi al domani (vedi al riguardo anche due altri  articoli pubblicati su LucidaMente 2012: Odissea nell’incertezza e Inquietanti scenari sulla Terza Repubblica); ma è altrettanto dimostrato che il solo fatto di essere impiegati in un’attività lavorativa li aiuta a mantenersi in forma nel fisico ma soprattutto nello spirito. Inoltre, se una volta le settantenni – perlopiù casalinghe – si dedicavano a curare i nipoti e a fare la maglia, molte di quelle odierne non hanno nemmeno il privilegio di essere chiamate nonne. Ecco che allora rispolverano antiche – e non – passioni, partecipando a corsi di lingua straniera, pittura, scrittura creativa, o prodigandosi per gli altri in attività di volontariato. Almeno fino a quando gli acciacchi fisici non saranno diventati troppo invalidanti; momento a partire dal quale spesso si sentiranno dei veri e propri pesi sulle spalle dei loro cari.

C’erano una volta le famiglie patriarcali, con le loro regole inviolabili. L’uomo, o, meglio ancora, l’uomo più anziano, era rispettato più di tutti gli altri; era l’esperto che tutto sapeva e tutto tramandava a figli e nipoti maschi. In altre parole, era il perno della famiglia. Non ci si poneva la questione di dove avrebbe vissuto, una volta rimasto solo. Intere stirpi si susseguivano sotto lo stesso tetto: chi era figlio, diveniva dapprima padre e poi nonno, vivendo un’intera vita accanto ai suoi cari. Le famiglie di oggi sono profondamente cambiate: salvo casi eccezionali, sono assorbite dalla frenesia quotidiana legata al lavoro – sia maschile che femminile – e alla cura dei figli e sempre più spesso non hanno nemmeno il tempo di pensare agli anziani. Nemmeno ai propri. Oggi, infatti, spesso si tende a dare maggior peso alle problematiche legate alla loro gestione piuttosto che al valore aggiunto che gli stessi potrebbero apportare alla società, intesa anche come nucleo familiare.

0-Renato ZeroÈ una problematica che si è sempre più acutizzata nel tempo e, per questo, è stata più volte posta all’attenzione pubblica anche attraverso lo spettacolo. Nel lontano 1991, alla quarantunesima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo, Renato Zero commosse il pubblico con il brano Spalle al muro, scritto da Mariella Nava. Al successo straordinario ottenuto dalla canzone contribuirono la magistrale interpretazione del cantante; ma soprattutto la sua temerarietà nel “gridare”, dalle luci del palcoscenico, parole destinate a far riflettere a lungo: «Lasceranno che i tuoi passi / sembrino più lenti, / disperatamente al margine di tutte le correnti. / […] Vecchio, quando non è finita, / hai ancora tanta vita / e l’anima la grida / e tu lo sai che c’è. / […] Vecchio, sì, / con quello che hai da dire, / ma vali quattro lire, / dovresti già morire. / Tempo non ce n’è più, / non te ne danno più. / […] Vecchio, sì, / e sei tagliato fuori / tu e le tue convinzioni, / le nuove son migliori, / le tue non vanno più, / ragione non hai più». L’autrice del testo pose coraggiosamente l’attenzione su una questione ben precisa: il pericolo – che talvolta è una certezza – che un essere umano venga classificato come “vecchio” nel momento in cui smette di essere utile alla società in cui vive. Ma soprattutto sul fatto che sia relegato – a torto – in una categoria considerata “parassita”; per di più, ancor prima del tempo. La noncuranza da parte di chi attempato ancora non è; la sordità dimostrata verso le parole di chi ha una maggiore esperienza: sono elementi che non aiutano certamente gli anziani a sentirsi persone dignitose.

A nulla serve rilevare il bagaglio di esperienza di vita accumulato da chi già da tempo ha raggiunto l’età pensionabile. Ancor meno importa il fatto che il cuore di un anziano – per fortuna – non smetta ancora di battere; che, anzi, sia capace di palpiti ricchi di amore e di affetto sincero verso chi ha vicino. Inoltre, chi ha detto che la lucidità mentale venga meno – in assoluto –, superata una certa soglia di età? Può annebbiarsi la memoria; i ricordi essere meno nitidi, ma ciò non significa affatto – salvo casi di malattia – che non vi sia più la capacità di ragionare con precisione. Da un lato, c’è chi continua a svolgere, sotto gli occhi di tutti, la propria pubblica attività lavorativa anche in tarda età; dall’altro vi sono persone non famose, ma non per questo meno in gamba, che fanno altrettanto: ne sono esempi gli avvocati attempati che sbalordiscono il tribunale con arringhe vincenti; i vecchi commercialisti che ricordano nel dettaglio le leggi finanziarie di anni e anni e che fanno ancora le somme a mente. Un caso fra tutti è dato da Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina: pur essendo entrata, anagraficamente, nella terza età oramai da decenni, ha continuato a operare instancabilmente per la ricerca scientifica fino alla morte.

0-vecchiaia2Anche la condizione sociale e lavorativa dei giovani è mutata nel tempo. Fino a qualche anno fa si poteva ambire a un impiego fisso e vicino a casa; oggi si deve mettere in preventivo – senza sconti di età – un lavoro da reinventare e da rinnovare nel tempo e nello spazio. L’esigenza di viaggiare o addirittura quella di trasferirsi è in forte contrapposizione con quella di accudire i propri anziani. È anche vero che oggi i primi acciacchi invalidanti arrivano dopo gli 80 anni: il progredire della ricerca scientifica in campo medico e il miglioramento del tenore di vita rispetto alle generazioni precedenti – salvo casi di malattia precoce – ne sono il motivo. Chi ha i propri anziani lontano da casa si trova a dover gestire anche il problema – tutt’altro che piccolo – della distanza chilometrica. Si tratta in questo caso di valutare la soluzione meno gravosa per i diretti interessati.

L’avvicinamento dell’anziano al proprio caro semplifica non poco la gestione, soprattutto quando ricoveri ospedalieri o semplici controlli medici si rendono sempre più necessari. Dall’altro però comporta un significativo cambiamento di vita, che diviene più difficile da accettare via via che gli anni passano. Inoltre questo potrebbe non bastare: in certi casi si rende infatti necessaria un’assistenza da parte di una badante, con le conseguenti problematiche economiche. Fra l’altro non tutte le famiglie hanno lo spazio né la volontà di ospitare – anche per brevi periodi contingenti – i propri anziani. Eppure questo è un aspetto che dovrebbero mettere in conto le coppie che si apprestano a sposarsi o a convivere; per lo meno, quelle in cui uno dei due si trasferisce stabilmente nel luogo dell’altro. Spesso ci si giustifica adducendo problemi di lavoro ed esigenze di libertà, che verrebbe meno in caso di convivenza forzata; volontà che nessuno interferisca nell’educazione dei figli imposta da loro stessi.

0-Un medico in famiglia 7 locandinaUn discorso particolare va fatto per la categoria dei nonni. I ragazzi, da che mondo è mondo e qualsiasi età abbiano, hanno bisogno della loro figura. D’altronde i nonni sono più permissivi dei genitori; salvo casi particolari, non esercitano una responsabilità diretta sui minori e, forse per questo, sono per loro dei saggi confidenti. Perfino la televisione difende il loro ruolo fondamentale: è il caso, tra le altre, della fiction Un medico in famiglia, che per ben sette edizioni – l’ottava andrà in onda in anteprima prossimamente – ha proposto con successo la convivenza fra una giovane famiglia e un nonno, a tratti un po’ burbero, ma sempre pronto a offrire a figli e nipoti affetto e insegnamenti di vita.

Tutti gli anziani un tempo sono stati giovani: di questo dovrebbe costantemente ricordarsi chi considera la terza età un disturbo alla propria esistenza. Chi attende con impazienza la morte di un proprio anziano in nome del “dio denaro”; chi lo fa semplicemente per “avere un problema in meno da gestire”. Il rispetto e la dignità umana per il solo fatto di esistere come persona: di questo, più di tutto, ha bisogno chi appartiene alla terza età. E se a questa necessità si associa – come spesso accade – l’esigenza di essere curato e assistito, chi decide per loro rifletta attentamente su cosa desidererebbe per se stesso, una volta compiuta la stessa età. Lo faccia per l’anziano di cui deve occuparsi; lo faccia per se stesso, che un giorno diventerà vecchio. Ma lo faccia soprattutto per dare un esempio di dignità esistenziale ai propri figli. È vero infatti che i bambini in tenera età spesso non comprendono appieno determinati comportamenti genitoriali; ma è altrettanto assodato che verrà un tempo in cui diventeranno uomini e donne e allora tutto apparirà loro limpido come uno specchio d’acqua. Ciò che si insegna loro, più con i gesti che con le parole, tornerà indietro come un boomerang. È soltanto questione di tempo e il momento, prima o poi, arriverà: è una legge della natura.

Le immagini: esibizione di Renato Zero alla quarantunesima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo, la locandina della fiction Un medico in famiglia 7 e fotografie di Betto (http://www.flickr.com/photos/bettofoto), per gentile concessione dell’artista.

Emanuela Susmel

(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)

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Tags: focusRita Levi Montalcinisocietàterza etàvecchiaia
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