La webserie spopola tra gli adolescenti – e gli adulti – di mezzo mondo. Il segreto? Contenuti espliciti e non stereotipati
Non è facile raccontare l’adolescenza, quel periodo pieno di incertezze e di dubbi che tutti abbiamo vissuto con più o meno turbamento. Una volta cresciuti, quando ripensiamo al passaggio dall’infanzia all’età adulta lo ricordiamo con rimpianto ma anche con la sensazione di averlo superato abbastanza indenni. È il momento dei primi amori – di solito non corrisposti, tormentati o totalizzanti – delle prime esperienze sessuali, delle prime sfide: è, in generale, il tempo di tante prime volte.
Nonostante passino gli anni e cambi il mondo – penso ad esempio alla mia adolescenza, quando internet non esisteva, i cellulari erano per pochissimi e per sentirsi con le amiche o il fidanzatino bisognava chiamare il telefono fisso e superare il terrore di parlare con l’altrui madre o, peggio, padre –, le sofferenze, le domande, i turbamenti sono sempre gli stessi. Come raccontarli, soprattutto ai giovani stessi, senza essere banali e scadere negli stereotipi? Il telefilm cult degli anni Novanta (quando si chiamavano telefilm, non serie tv) era Beverly Hills 90210: sebbene l’abbiamo amato un po’ tutte/i, rappresentava un mondo lontano, perché non era possibile che i ragazzini e le ragazzine della provincia italiana si identificassero al 100% con quei giovani californiani, belli e ricchissimi. L’esperimento sembra invece perfettamente riuscito oggi con la webserie Skam Italia: uscita nel 2018, ha raggiunto la popolarità (e pure gli adulti) solo quest’anno, complice il lockdown che ci ha tenuti incollati agli schermi più del solito. Skam è nata in Norvegia e il format è stato venduto, oltre che in Italia, in Belgio, Francia, Germania, Olanda, Spagna e Stati uniti.
La prima particolarità è che gli episodi sono stati trasmessi, in ognuno dei Paesi in cui la serie è ambientata, adattandoli al contesto e, soprattutto, su richiesta degli stessi norvegesi, dopo aver osservato i veri adolescenti dei singoli Stati: il loro linguaggio, i social che usano, il modo di relazionarsi, la loro quotidianità, i problemi più diffusi. Non una rappresentazione calata dall’alto ma una sorta di documentazione di quella che è la realtà. Inoltre, si è cercato il più possibile di utilizzare protagonisti simili agli spettatori; per esempio, sul canale Instagram sono pubblicate, tra gli altri materiali, delle finte chat di Whatsapp: i personaggi diventano persone reali, aumentando notevolmente l’identificazione da parte degli spettatori.
Il secondo elemento innovativo è la modalità di diffusione: la serie è stata distribuita sul web, tramite un sito creato ad hoc (qui quello norvegese, in Italia era disponibile su TimVision e, da gennaio 2020, su Netflix), con brevi clip diffuse durante la settimana, in orari e giorni precisi, e che, nel weekend, venivano montate per costruire l’episodio completo, della durata dai 20 ai 40 minuti. Qui trovate un’intervista al regista Ludovico Bessegato, che racconta passo per passo la genesi della serie italiana, tra le più apprezzate tra i vari remake. Le trame e i protagonisti sono gli stessi in tutti i Paesi, adattati di volta in volta al contesto per raggiungere più facilmente il pubblico di riferimento. Oltre all’amicizia, la scuola, l’amore, Skam affronta temi molto seri e controversi, che difficilmente vengono sviluppati così bene, soprattutto quando riguardano minorenni: le prime esperienze sessuali, l’omosessualità, la droga, il multiculturalismo. Tutto è raccontato in modo spontaneo, estremamente veritiero, senza giudizi, con l’unico obiettivo di far riflettere su questioni troppo spesso ignorate.
Ogni stagione (in tutto sono quattro) ha un protagonista, che deve risolvere un problema. In particolare, la seconda e la quarta hanno il pregio di approfondire argomenti quali l’omosessualità e il multiculturalismo da un punto di vista diverso e lontano dagli stereotipi con cui solitamente vengono narrati. La relazione che Martino vive con Niccolò è dolcissima, struggente e mette in evidenza soprattutto l’amore tra i due ragazzini, così puro e totalizzante come può esserlo solo a 16-18 anni. Sana ci accompagna invece nel mondo islamico, facendoci capire le difficoltà di essere una giovane donna musulmana, credente e praticante, nata e cresciuta a Roma. Ci racconta un islam reale, gioioso, così lontano da quella religione stigmatizzata dopo l’11 settembre 2001 come terrore e oppressione. Sono proprio Martino e Sana, parlando delle rispettive condizioni di diversi, a dare una spiegazione semplicissima: i pregiudizi derivano sempre dall’ignoranza.
Chiede la protagonista: «Vuoi provare tu a essere una ragazza musulmana con il velo in Italia? Poi vediamo se non diventi suscettibile». «Beh io sono gay, un po’ di queste cose le so», risponde Martino. Che continua: «Tante cose non le sappiamo, nessuno ce le spiega. Che ne so del perché tu metti il velo, se non me lo dici? Se noi vogliamo far capire le nostre differenze, dobbiamo dare delle risposte intelligenti alle domande stupide degli altri, altrimenti continuano a darsi delle risposte stupide alle loro domande da soli e così non ci capiremo mai». Secoli di letteratura, articoli, approfondimenti, ricerche sulla diversità risolti in un attimo: parlare, chiedere, confrontarsi, capire. Il successo di Skam è la semplicità del prodotto finale. Affronta in modo diretto problemi complicati – che i giovani d’oggi possono vivere – e propone soluzioni facili: parlarne con gli amici (i genitori non emergono benissimo dalla serie, essendo tutti troppo impegnati, lontani, depressi, per accorgersi delle difficoltà dei loro figli) e chiedere aiuto. Nell’età in cui tutto è complicato, la soluzione più semplice è anche quella meno evidente.
Le immagini: la locandina della seconda stagione di Skam; il cast della webserie; la protagonista Sana in una scena.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XV, n. 175, luglio 2020)