Fonti, Stato, Costituzione, Statuto dei lavoratori, Unione europea, contrattazione e l’avvento della globalizzazione
1. DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE
Nel diritto del lavoro si distinguono la disciplina del rapporto individuale di lavoro, che regola diritti e obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale, che disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che si trovano in particolari condizioni di bisogno. Tutte queste materie hanno una comune origine, quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza della rivoluzione industriale. L’elemento fondamentale del diritto sindacale si sostanzia nel riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro, infatti gli oggetti della disciplina sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro, il contratto collettivo di lavoro, il conflitto collettivo (sciopero, serrata). Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori cui va aggiunto lo Stato o le istituzioni pubbliche, con una presenza sempre più rilevante.
2. ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA
Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine statale, prodotte secondo il normale iter legislativo e applicate dalla giurisprudenza, si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive (sindacati e imprenditori), soprattutto attraverso la contrattazione, ma anche su base unilaterale (statuti, regolamenti che disciplinano i rapporti interni alle organizzazioni). Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e doveri tra le parti), altre regolano l’attività di produzione di altre norme ad opera delle stesse organizzazioni sindacali ed imprenditoriali ed hanno quindi carattere strumentale. Le manifestazioni dell’autonomia collettiva, in particolare tra il 1968 e il 1970, andrebbero considerate come vere norme giuridiche prodotte da un ordinamento, quello intersindacale, autonomo e distinto rispetto a quello statale, provvisto di tutti gli elementi caratteristici dell’ordinamento giuridico (organi legittimati a produrre norme, organi competenti ad applicarle, strumenti per sanzionare l’inosservanza). I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale vanno intesi in entrambe le direzioni: il primo ha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta ha svolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione delle norme prodotte da questa.
3. DIRITTO SINDACALE E RELAZIONI INDUSTRIALI
Il diritto sindacale è il settore dell’esperienza giuridica nel quale più immediata risulta l’incidenza dei rapporti di forza tra gli attori delle relazioni industriali e più pesa il quadro di riferimento economico e sociale. Trattasi di un complesso di regole giuridiche che, mentre disciplinano le relazioni industriale, restano poi influenzate dalle loro dinamiche interne.
4. LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE
Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale. Ciò non toglie che esse finiscano per atteggiarsi in termini e modi peculiari, rispetto a quelli usuali, dati i caratteri dei fenomeni regolati.
4.1. LE FONTI INTERNAZIONALI
Le fonti internazionali fanno capo all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil). l’attività normativa dell’Oil conta un numero poderoso di provvedimenti, che, tuttavia, per la difficoltà di regolare uniformemente situazioni socioeconomiche spesso molto diverse tra loro, non vanno al di là dell’enunciato di meri principi), la cui più nota attività consiste nell’adozione dei testi di convenzioni internazionali e di raccomandazioni in materia di lavoro. Le convenzioni sono trattati destinati a essere ratificati dagli stati membri, così da diventare vincolanti nel diritto interno. I membri hanno l’obbligo di sottoporre la convenzione agli organi competenti per la ratifica, di applicare le disposizioni della convenzione ratificata e di accettare controlli internazionali, sia generali, sia specifici, nel caso (raro) di ricorso di un membro per non applicazione della stessa. L’interpretazione delle convenzioni è affidata alla Corte internazionale di giustizia che ha sede all’Aja. Le raccomandazioni non sono destinate alla ratifica e hanno valore non normativo, ma di modello o indirizzo rispetto alle politiche nazionali del lavoro.
4.2. LE FONTI COMUNITARIE
L’attività degli organi comunitari appare più incisiva, poiché questi ultimi hanno una produzione normativa che esprime un ordinamento giuridico proprio, di dimensioni e rilevanza crescenti in ordine a tutti i punti critici del diritto sindacale (libertà sindacale, metodi di composizione dei conflitti, contrattazione collettiva e soprattutto dei lavorati e nell’impresa). L’attività normativa dell’Unione europea si attua in due forme prevalenti, ad opera del Consiglio e della Commissione. I regolamenti sono atti generali obbligatori, di applicazione diretta nel diritto dei paesi membri; le direttive sono fonti giuridiche che vincolano gli stati membri ad adeguarsi nei risultati. Quste ultima godono di un’efficacia normativa indiretta, cioè condizionata all’emanazione di un apposito atto di recepimento interno. Le direttive hanno efficacia direttamente nei confronti dello Stato quando hanno un contenuto chiaro, preciso ed incondizionato; su questo si pronuncia la Corte di giustizia dell’Unione europea. Si ritiene, comunque, che le direttive spieghino un’efficacia c.d. verticale, ossia direttamente nel confronti dello Stato, allorché abbiamo un contenuto dispotico chiaro, preciso ed incondizionato. Rimane invece esclusa l’efficacia c.d. orizzontale, ovvero nei rapporti tra privati, sebbene si ammetta un’efficacia orizzontale indiretta, tale da imporre un’interpretazione del diritto nazionale il più possibile conforme al diritto comunitario. Su tal punto si pronuncia la Corte di giustizia competente appunto per l’interpretazione del Trattato, nonché per l’interpretazione e la decisione circa la validità degli atti degli organismi comunitari. Per la corte anche i principi giuridici da essa ricavati sono vincolanti per il diritto interno, imponendo al giudice nazionale la disapplicazione delle eventuali norme incompatibili.
Altre fonti comunitarie sono le raccomandazioni e i pareri, a cui si aggiunge il contratto collettivo europeo, il quale rappresenta espressione del cosiddetto dialogo sociale ed è stato riconosciuto, a partire da Maastricht, in una doppia veste: di accordo “per la concertazione collettiva” (o accordo quadro) e di accordo libero. Il primo è strumento concertativo a livello europeo, volto a prefigurare il contenuto di successivi atti normativi comunitari, da cui viene debitamente recepito, assumendo efficacia vincolante nei confronti di tutti gli stati membri. Il secondo è, invece, avulso dalla produzione normativa dell’Unione, sicché può essere stipulato anche al di fuori delle competenze sociali di questa, secondo le procedure e le prassi delle parti sociali e degli stati membri.
4.3. LE FONTI INTERNE
Il primo richiamo va alla Costituzione, i cui articoli direttamente rilevanti in tema di diritto sindacale sono il 39, sull’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, il 40, sullo sciopero, il 46, sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Alcuni di questi disposti sono ormai destinati a rimanere lettera morta, e altri a trovare una diversa traduzione da quella a suo tempo preventivata. Quindi può dirsi che la Costituzione formale (quella disegnata ed articolata dall’Assemblea costituente) è stata in parte superata dalla Costituzione materiale (quella effettivamente attuata). È così entrato in crisi il modello di pluralismo “istituzionalizzato”, sostituito da un modello di pluralismo “conflittuale”, fondato appunto sul libero confronto-scontro tra gruppi. All’insegna del principio della libertà di organizzazione sindacale si è affermata l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul sindacato come associazione non riconosciuta e sul contratto collettivo c.d. di diritto comune. Il ruolo della legislazione nel diritto sindacale del secondo dopoguerra è stato a lungo marginale. Si è parlato a proposito di astensionismo legislativo e di una formazione extra legislativa del diritto sindacale. Tale astensionismo ha trovato le proprie ragioni nell’impraticabilità tecnica e politica dell’originario disegno del Costituente, nonché nella diffidenza del movimento dei lavoratori nei confronti di interventi provenienti da un quadro politico per lungo tempo non favorevole a un eccessivo rafforzamento del sindacato.
La prima tappa legislativa di rilievo è costituita dalla legge 20 maggio 1970, numero 300, lo Statuto dei lavoratori: si tratta di una disciplina di sostegno dell’attività sindacale in azienda che legittima in sostanza la situazione sindacale di fatto. Una seconda tappa significativa l’ha segnata la legge n. 146 del 1990 (vedi legge 83/2000), intervenuta a disciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Una terza tappa è rappresentata dal D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, Testo Unico del pubblico impiego) il quale, nel riformare il rapporto di pubblico impiego, lo ha assoggettato alle medesime fonti del lavoro privato, in primis al contratto individuale e collettivo di lavoro.
La contrattazione collettiva riveste un ruolo centrale in ambito lavoristico e quale fonte del diritto sindacale rileva per la parte obbligatoria dei contratti collettivi, nonché la forma di protocolli di intesa, chiamati a disciplinare l’assetto del sistema contrattuale e delle relazioni sindacali. Un capitolo importante del diritto sindacale riguarda i rapporti tra le fonti legislative e l’autonomia collettiva. Nella gerarchia delle fonti, il modello prevalente è quello che vede la legge quale disciplina minimale, mentre i contratti collettivi possono migliorare tale disciplina in senso più favorevole a lavoratori e sindacato. Un primo momento di integrazione tra eteronomia e autonomia è realizzato a monte dei provvedimenti legislativi. Basti ricordare che molte delle discipline in materia del lavoro e sindacale sono state “contrattate”, dapprima in modo informale e poi con grandi accordi di concertazione che hanno dato piena tangibilità al fenomeno della “legislazione negoziata”. Un secondo momento di integrazione stringente tra fonti si è avuta nella fase di c.d. derogazione controllata e concordata, allorché la legge ha devoluto quote consistenti di potere pubblico alle parte sociali. Una tendenza, questa, che ha finito per individuare nel contratto collettivo lo strumento più idoneo a una gestione consensuale delle crisi aziendali e ad un governo flessibile del mercato del lavoro, in alternativa ad una derogazione totale e “secca” della materia.
Lo spostamento della mediazione del conflitto industriale dalla tradizionale sede parlamentare a sedi sindacali o tripartite, appare strettamente connesso alla crisi del governo dei processi sociali attraverso “regole generali”. Si tratta di fenomeni di c.d. delegificazione, che comunque non sottraggono spazio all’intervento legislativo. Anzi, la realtà si è evoluta proprio nel senso di una coesistenza delle due linee: delegificazione, da un lato, rilegificazione, dall’altro. Ne offre emblematica testimonianza non solo la legge n. 146/1990, ma anche il D.Lgs. n. 29/1993, che ha “privatizzato” il lavoro pubblico, con conseguente delegificazione della disciplina del rapporto, tradizionalmente regolato dalla legge o da atti di autorità. La giurisprudenza riveste un’importanza decisiva nella formazione e applicazione del diritto sindacale, con un’elevata dose di creatività che tocca l’apice nella regolamentazione del conflitto collettivo.
Particolare rilevanza riveste la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha tracciato le direttive principali del nostro ordinamento sindacale, sia effettuando scelte sue proprie sia confortando scelte del Parlamento. Azione di supplenza a completamento delle scarse indicazioni legislative è stata altresì svolta dalla magistratura amministrativa ed ordinaria, penale e civile, di legittimità e di merito. Un discorso a parte va fatto invece per il lavoro pubblico, dove l’uso dello strumento giudiziario nelle relazioni collettive è stato originariamente poco o nulla sperimentato da una magistratura amministrativa tradizionalmente avvezza ad altri impieghi degli strumenti garantistici (protezione del singolo dipendente nei confronti dell’amministrazione). Alla luce di ciò, ben può comprendersi il mutamento di clima e di cultura provocato dal passaggio di giurisdizione al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, cui sono devolute oggi tutte le controversie collettive.
5. TENDENZE EVOLUTIVE DEL DIRITTO SINDACALE
In materia di mercato del lavoro, è continuata negli ultimi anni la devoluzione di funzioni normative all’autonomia collettiva, sia pur in una cornice di estrema incertezza, effetto di un sistema di contrattazione scarsamente formalizzato. Tra le varie normative che hanno attribuito alle parti sociali funzioni regolative del mercato del lavoro “flessibile”, si segnala quella sul lavoro part time, con una tecnica di deregolazione controllata e concordata. L’esigenza di contemperare la tutela delle condizioni di lavoro con la difesa dell’interesse all’occupazione e il bisogno di flessibilità delle imprese ha recentemente indotto il legislatore a un cambio di rotta: si lascia alle spalle la deregolazione “concordata” e opta per una flessibilità non negoziata, bensì realizzata direttamente ex lege. Da ultimo il D.lgs n. 276 del 2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro ha ulteriormente esaltato il meccanismo di rinvio alla contrattazione collettiva, con un significativo recupero all’autonomia individuale.
Con i mercati mobili e globali del nuovo millennio si è ormai aperta una nuova fase delle relazioni industriali: pressioni contrapposte dei mercati verso il decentramento contrattuale, da un lato, e l’internazionalizzazione dei rapporti collettivi, dall’altro; ripresa di distanze fra l’ordinamento sindacale e il sistema politico dopo le continue commistioni di ruolo proprie delle concertazione triangolare; minore interventismo legislativo e in genere del potere pubblico nel rapporto di lavoro inteso a lasciare maggiore spazio alla libera dialettica dei privati e alle forze del mercato con l’obbiettivo di favorire una maggiore flessibilità e dinamismo produttivo; offensiva culturale dell’impresa soprattutto in tema di management partecipativo. In effetti, il declino del lavoro subordinato classico, la diversificazione dei lavori e la stessa progressiva erosione dei poteri statali rischiano di porre seriamente in crisi il tradizionale assetto della materia, con ricadute immediate sulla funzione stessa del sindacato, oggi più che mai alle prese con un grave deficit di rappresentanza: emerge così un’esigenza di ripensamento dei contenuti e delle modalità dell’azione sindacale.
Alessandro Saggini
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, settembre 2019)