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Home ATTACCO FRONTALE

Nostalgici di destra… e di sinistra

Perché c’è ancora tanta gente che rimpiange il fascismo, il comunismo o il Sessantotto, coi loro orrori? È un problema psicologico

Rino Tripodi by Rino Tripodi
1 Novembre 2022
in ATTACCO FRONTALE, STORIA, TEMATICHE CIVILI
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Nostalgici di destra… e di sinistra
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Perché c’è ancora tanta gente che rimpiange il fascismo, il comunismo o il Sessantotto, coi loro orrori? È un problema psicologico

Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia (Fdi) hanno democraticamente vinto le elezioni legislative del 25 settembre 2022 e la 45enne leader è stata nominata presidente del Consiglio. Che sia la prima donna, e giovanissima, a esserlo nel nostro Paese, poco importa. Pensiamo che conti il merito e non il sesso o gli orientamenti sessuali, il colore della pelle o altro, secondo i dettami politicamente corretti (o, meglio, corrotti).

E, in tal senso, nessuno può negare che la Meloni ce l’abbia fatta partendo da una posizione sociale e persino famigliare molto svantaggiata, al contrario della maggior parte dei deputati e senatori italiani appartenenti all’alta borghesia o alla lobby radical chic. Ma questo, per esponenti e militanti di sinistra, non conta. Il nuovo presidente del Consiglio è fascista! E poco importa che la leader sia allineata non solo su atlantismo ed europeismo, ma, in pratica, su tutti i princìpi e i valori democratici e liberali. Quelli dell’antifascismo in assenza di fascismo e di anticomunismo in assenza di comunismo sono atteggiamenti psicopatologici, alla pari dei nostalgici di tali ideologie e regimi totalitari. Nell’immediato Secondo dopoguerra i nostalgici erano quelli che avevano vissuto con entusiasmo il fascismo. Che belli i sabati fascisti, la retorica, le marcette! Vent’anni di dittatura indimenticabili, no (leggi A 100 anni dall’inizio di una dittatura)? Nei primi anni Sessanta, tra i miei insegnanti delle scuole elementari e delle medie inferiori, che erano stati giovanissimi negli anni Trenta, ve n’erano di apertamente “nostalgici”. Uno ci faceva cantare in classe La saga di Giarabub («Colonnello, non voglio pane, / dammi piombo pel mio moschetto») e, se non ricordo male, persino Giovinezza («Primavera di bellezza»).

Cosa impensabile, oggi, visto che, invece, è quasi obbligatorio scioperare per le fanfaluche di Greta Thunberg, cantare l’insopportabile, sgangherata (e apocrifa) Bella ciao o parlare con prepotente vittimismo dei diritti lgbtqia+, presuntamente vilipesi, il tutto con l’appoggio di autorità e istituti scolastici, nonché degli stessi docenti, elettori in massa del Partito democratico (chissà perché, poi, visto che proprio il Pd è stato tra le forze politiche che hanno distrutto la cultura nelle scuole italiane e hanno ridicolizzato l’autorità dei professori). I metodi educativi dei docenti ex fascisti? Restavano quelli, un po’ rudi, dei decenni trascorsi, a base di rimproveri, punizioni, pagine da ricopiare, schiaffi, scappellotti; il tutto, beninteso, con l’entusiastica approvazione dei genitori (nessuno ricorreva alla Questura o al Tar…).

Che potevate pretendere da persone che erano state figli della lupa, balilla e avanguardisti e che avevano creduto che, sotto il Duce, l’Italia sarebbe diventata sempre più potente e la popolazione più agiata? Per amor di completezza, occorre aggiungere che la maggior parte di noi alunni imparavamo non solo tante bellissime poesie a memoria, ma benissimo l’aritmetica e la grammatica italiana e tutto il resto. Sicché, alla fine delle medie inferiori, conoscevamo a menadito analisi grammaticale, logica della frase e logica del periodo: vale a dire, eravamo in grado di esprimerci e scrivere in un buon italiano. Provo, quindi, più bei ricordi e gratitudine che orrore o dolore per quei docenti “fascisti”. Oltre a loro, in Italia c’era pure un altro mucchio di nostalgici del regime, col corollario di ordine e disciplina, amor di patria ecc., che, in genere, aderivano al Movimento sociale italiano (Msi), la cui fiamma del simbolo è stata ereditata da Fdi; da qui l’accusa di neofascismo da parte dei “democratici”. Peccato che anche questi ultimi siano gli eredi di altri nostalgici: i comunisti, spesso stalinisti, in genere iscritti al Pci (Partito comunista italiano), a lungo il partito più votato dopo la Democrazia cristiana, con suffragi ben superiori (25-35% circa) a quelli raccolti dal Msi (5-10% circa) e con un potere culturale e di mobilitazione delle masse, e non solo, ben maggiore. Tali nostalgici ancora oggi credono nelle mitologie dell’Unione sovietica, della Rivoluzione d’ottobre, delle masse proletarie, ecc. Patetici (e ignoranti della realtà storica) come quelli di Mussolini.

Ma i peggiori non sono i sognatori illusi di fascismo e comunismo. Sono, invece, quelli che hanno vissuto di persona un altro orrore della Storia e ancora oggi non solo non ne hanno prese le distanze, ma lo esaltano: il Sessantotto e i successivi movimenti giovanili di sinistra, che, in forme diverse, si sono allungati fino ai nostri tempi (ad esempio, il movimento antifa o quello Black lives matter). Insomma, ecco gli attuali nostalgici di sinistra. Formidabili – come affermava Mario Capanna – quegli anni di continui disordini, di scontri con la polizia, di distruzione della secolare cultura italiana, di supremo senso di libertà legato al fatto che ogni trasgressione alle regole era consentita («proibito proibire»), di distruzione della famiglia e della figura paterna, di canne, droghe e sesso libero (brillìo negli occhi…), di concerti rock, di cazzeggio continuo e di disimpegno morale e civile, senza doveri, o, peggio, di adesione alla lotta armata e al terrorismo (leggi Marco Cimmino, Il Sessantotto? Un equivoco che non portò al potere la fantasia ma la mediocrità)?

Perché, a distanza di anni, amare ancora l’orrore e la violenza, la retorica e le stupidaggini? In tutti e tre i casi le motivazioni sono psicologico-generazionali. Quando si è giovani tutto appare bello ed esaltante. E ancora di più a distanza di anni, quando, magari, i capelli diventano grigi, la pancetta è prominente e si è ben inseriti nel potere, quel potere che si voleva demolire. Ma si può essere nostalgici a una condizione: che si resti sempre stupidamente immaturi e infantili, tanto da non vedere la realtà, passata e presente, nella sua giusta dimensione. Chi vi scrive non avverte alcun rimpianto per violenza, idee imbecilli, utopie assurde. Oggi i vincenti appaiono i postsessantottini. Il mondo che vediamo sotto i nostri occhi assomiglia molto proprio a quello da loro vagheggiato: libero sesso, libera droga, famiglie disgregate, misandria, infantilismo perenne, mancanza di senso civico e comunitario, rincorsa a ogni utopia folle e distruttiva (terzomondismo, immigrazionismo, teoria gender, nazifemminismo, cancel culture, liberalizzazione delle droghe)… Il tutto con l’appoggio di politici di sinistra “progressisti”, cupole del potere capitalistico finanziario, Unione europea, Big Tech, magistratura, università, pubblicità, mass media, star della cultura e dello spettacolo, influencer semianalfabeti… Bel risultato per chi voleva abbattere il sistema capitalistico e instaurare un’età di giustizia e pace…

Rino Tripodi

(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022)

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Tags: cancel culturecomunismofascismofocusnostalgicipoliticasessantotto
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