Ipazziammo! (Umberto Eco, da L’espresso).
Il regista spagnolo Alejandro Amenàbar ha sapientemente ricostruito la società alessandrina tardo-ellenistica in cui il cristianesimo in ascesa si scontrò duramente con la cultura pagana al tramonto, narrando la storia di Ipazia, filosofa neoplatonica vissuta tra il IV e il V secolo d.C., che fu barbaramente uccisa da un gruppo di cristiani fanatici. Un bel film che inneggia al libero pensiero e denuncia l’intolleranza religiosa. (Mariella Arcudi)
Un bellissimo e laico omaggio all’amore per il sapere e per la conoscenza razionale e, nello stesso tempo, un duro atto d’accusa alle religioni, al potere e alla misoginia del cristianesimo. Ora capisco perché non lo volevano distribuire in Italia. La ricostruzione di Alessandria d’Egitto in epoca tolemaica è, tra le altre cose, meravigliosa. Ipazia, la protagonista del film, entra a pieno titolo nella galleria di personaggi femminili idealmente costruita da Christa Wolf, coi romanzi storico/politici Cassandra e Medea. (Maurizio Cecconi)
Il film non è un granché, ma ha il merito di denunciare la violenza e l’intolleranza insite in tutte le religioni, in particolare nei monoteismi (e meno male che ancora non c’era l’islamismo!). Il cristianesimo (e il giudaismo): una religione di miserabili, come già affermato da Nietzsche. Il popolo: bue, al di là di ogni illusione progressista. Gli intellettuali: ingenui e lontani dalle “masse” (ahinoi). Le donne: o la filosofia o il sesso… dunque, “niente sesso, son filosofa”… (o femminista ante litteram). (Rino Tripodi)
La donna doveva scegliere fra sesso e cultura perché l’istituto del matrimonio, alla quale era obbligata se non avesse dedicato la sua vita alla scienza (a quel tempo una estensione della divinità, per l’appunto una Vestale), prevedeva che diventasse moglie e madre. L’alternativa, la scelta del sesso senza il matrimonio, avrebbe implicato la dannazione sociale della donna proibendole di essere anche scienziata e obbligandola a essere prostituta. Con l’avvento della religione cristiana la scelta di Ipazia fu comunque condannata poiché, a differenza della passata civiltà e cultura ellenistica, nemmeno la scelta dell’assoluta dedizione alla scienza (agli dei) soddisfece i dettami previsti per la donna dalla nascente setta (poi diventata Chiesa), ovvero «La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia» (Lettera di San Paolo a Timoteo). Tali dettami furono usati da Cirillo (dottore della Chiesa e santo) per colpire l’entourage politico romano che, non provenendo da una solida tradizione cristiana, allora impossibile, era propensa (come tutti i romani) ad assorbire le tradizioni e le culture locali di cui Ipazia rimaneva esponente non solo intellettuale, ma anche sociale, poiché appartenente a una delle famiglie più colte e ricche di Alessandria. L’accanimento sul corpo di Ipazia, secondo alcune fonti lapidata e secondo altre scorticata viva con l’uso di conchiglie, è ben rappresentato dal regista che la immagina nuda e tremante davanti alla sporcizia mentale di derivazione paolina, inconsapevole vittima di una religione, quella cristiana, che avrebbe da allora innaturalmente posto al centro della vita umana il sesso per inventare di volta in volta foglie di fico da vendere agli uomini per la loro redenzione (per la citazione vedi Aldo Busi, Manuale della perfetta umanità, Mondadori, p. 21). Il regista, a parer mio, a parte molte evidenti sfasature di tipo temporale, utili alla sceneggiatura, ha evidenziato non solo i danni che l’integralismo religioso (e qualsiasi altro integralismo) può compiere sulla società e sulla cultura (il rogo dei libri richiama quello operato dai nazisti molti secoli dopo), ma anche i danni irreparabili che le religioni arrecano alla società e a se stesse legandosi alla politica. Non solo, il regista sembra aver colto anche la portata negativa che la religione cristiana (e poi cattolica) ebbe sulla prefigurazione della donna nella società, nella famiglia, nella religione e in politica, nel rapporto fra i sessi e nel rapporto che da allora le donne svilupparono con il loro stesso corpo (non solo della donna, a ben vedere, ma anche dell’uomo, dell’omosessuale, della
segregazione sessuale a tutto tondo se ci pensiamo bene). Si può ben dire, allora, che il regista abbia avuto ragione a dire che da allora il mondo non fu più lo stesso… e forse non lo sarà mai più. Simpatiche le citazioni di Kubrick (il globo terrestre iniziale e finale richiama la parte finale di 2001: Odissea nello spazio) e la citazione un po’ velata della Medea di Pasolini nell’uso della luce del sole che abbaglia la pellicola nella scena antecedente il sacrificio di Ipazia, la caduta della protagonista avvicina invece l’immagine della donna a quella di Cristo. (Matteo Tuveri)
Dopo l’attacco alla Chiesa sui presunti preti pedofili (e invece si sa che gli omosessuali sono tutti di sinistra e atei), ecco un filmaccio ridicolo su una misconosciuta filosofa, morta chissà come. Ormai il complotto contro cattolici e Sua Santità Benedetto XVI è evidente. Voi e la vostra rivista dovreste vergognarvi. (Zeno da Verona)
(LucidaMente, aprile 2010)
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