L’ep (autoprodotto), composto da cinque tracce di Giuseppe Vitale, è semplice ed essenziale: come una tazza di tè caldo in una giornata umida
La rincorsa è quell’energia che si raccoglie quando ci si sta per lanciare in qualcosa, che sia la sabbia del salto in lungo o un discorso importante. Prendere la rincorsa significa inspirare a fondo, gonfiare la gabbia toracica, chiudere gli occhi un secondo e poi via, a perdifiato da qualche parte o in mezzo alle parole, la mente rivolta all’obiettivo e il cuore già oltre l’ostacolo. Chissà se pensava a questo Deut, all’anagrafe Giuseppe Vitale, quando ha deciso di titolare il suo ep d’esordio autoprodotto A running start, alla lettera, appunto, “rincorsa”.
Già autore e voce degli U BIT, il cantante si è avventurato in questo progetto solista con la collaborazione di David Campanini, che l’ha aiutato ad autoprodurre il disco, uscito il 12 novembre scorso. A running start si discosta dalle sonorità synth rock che caratterizzavano la precedente band, trasportando l’ascoltatore in uno spazio di intimità creato unicamente dal suono della voce e della chitarra del cantautore emiliano. La musica mette radici nella vita di Vitale già dall’infanzia: a otto anni suona il pianoforte, a nove smette; prende il sax a tredici e lo lascia a sedici, quando scopre la Davoli modello “Tigre” di suo padre e con lei il post-punk degli anni Novanta. In seguito si ritrova a giocare un po’ con tutti gli strumenti che gli capitano in mano: ha suonato e cantato in gruppi grunge, prog-metal, teatro canzone, progressive/sperimentale e synth pop. Rimane come costante l’amore per la musica dell’Est Europa. In questo bailamme di emozioni e cambiamenti continui che è la vita, nei cinque brani che scrive di getto per A running start si ritrova la volontà di fermare l’istante e lasciare traccia del qui e ora, senza troppi orpelli.
L’essenzialità è una delle chiavi di lettura dell’ep, che in poco più di dieci minuti totali di ascolto fa l’effetto di una tazza di tè caldo dopo una giornata umida. Le tracce avvolgono l’ascoltatore con la loro immediatezza, risultato di un’operazione semplicissima: chitarra più voce. Volutamente monotone e brevi, le canzoni hanno lo stesso suono fresco dell’incompiuto e della spontaneità. I testi possono essere visti come dialoghi che si svolgono nelle stanze delle nostre menti, indagate alla ricerca di ricordi personali e collettivi. Come in un gioco di specchi, i brani finiscono per assomigliare a chi li ascolta, che si sente riflesso e narrato dalle note di Deut.
I suoi componimenti diventano una conversazione tra autore e fruitore, che si può abbandonare alla semplicità e all’immediatezza del suono e della voce. Questi due elementi dominano con decisione su strutture scarne, unite da beat lo-fi e campionamenti, strumenti giocattolo e sintetizzatori scuri, percussioni di derivazione partenopea e suoni d’ambiente dove coesistono i rumori di fondo. Tutto il sentimento dell’ep è racchiuso nel titolo: l’emozione forte che precede una rincorsa e che porta con sé senso di attesa e frustrazione. La prima traccia, Breaking the law, parla di quando ci si sveglia alle quattro del mattino per giorni, con gli occhi sbarrati a fissare la nebbia davanti a sé. Nebbia, nebbia, nient’altro che nebbia. È quello il momento in cui ci assalgono i dubbi, sottili e pervasivi come la foschia. Allora l’unica cosa che resta da fare è abbandonarsi all’idea di volare ciechi nella bruma e tornarsene a letto. Il secondo brano è Grown up, che ci pone una semplice e fondamentale domanda: quand’è che si diventa grandi? Anche se ci sentiamo adulti, siamo sempre piccoli e sono ancora tante le cose che non vogliamo lasciare andare. Vogliamo solo sapere che siamo a casa, al sicuro.
Invece, di fobie e fantasia parla Shadows of the night. Racconta Deut: «Avevo cinque anni quando incontrai la prima ombra. Avevo una paura fottuta. L’immaginazione non aiuta. La stessa immaginazione mi ha permesso poi di fare la vita che faccio, mi porta a vivere pienamente e allo stesso tempo di affogare nei vizi. Una persona che ti salva e piange con te. In fondo siamo tutte ombre e qualcuno vedendoci può scambiarci per qualcos’altro».
La quarta canzone dell’ep, Waiting eyes, letteralmente “occhi che aspettano”, ha a che fare con le persone che hanno difficoltà mentali ed emotive, che hanno gli occhi “in attesa”. Anche se guardano lontano, in realtà non vedono nulla, fissano il vuoto nel quale sono immerse. Il tormento che può dare un desiderio: questo il tema di Last piece of you, quinta e ultima traccia dell’ep. Si tratta di un misto di fame e di erotismo che ci fa sentire rifiutati e condannati a desiderare sempre di più, intrappolati in un circolo vizioso in cui l’unica libertà che si ha è quella di dare un nome al proprio dolore. E proprio come in un rito iniziatico, con quest’ultimo brano si celebra la morte e la rinascita della passione, in una struttura circolare che ci riporta da dove siamo partiti. Brevità e piacevolezza favoriscono un ascolto quasi in loop, che non stanca facilmente.
Le immagini: la copertina dell’ep A running start e Giuseppe Vitale, in arte Deut (le foto sono di Alessandro Messina).
Chiara Ferrari
(LucidaMente, anno XIV, n. 168, dicembre 2019)