A palazzo Collicola l’installazione “La crepa” di Vincenzo Pennacchi cuce le ferite del sisma
In seguito al terremoto del 24 agosto, a Spoleto il settecentesco palazzo Collicola, situato nell’omonima piazza principale, ha riportato crepe superficiali e minimi dissesti, che hanno compromesso la pulizia estetica dell’allestimento museale. L’edificio, infatti, ospita il museo di Arte contemporanea (intestato al critico Giovanni Carandente) più importante dell’Umbria.
Dalla visione di queste “ferite” nasce l’idea del direttore del museo nonché curatore dell’installazione La crepa, Gianluca Marziani, di ricucirle attribuendo al danno un valore costruttivo ed estetico. Sette crepe sono state trasformate dall’artista Vincenzo Pennacchi in opere d’arte. Le fenditure diventano così dei Pesci volanti, che nuotano tra i muri candidi della galleria, oppure Un tuffatore, immerso tra alcune delle opere d’arte della collezione, o ancora delle Onde sismiche, che rendono visibile ciò che ha reso necessaria questa installazione. Le opere dialogano con la collezione permanente del museo, rapportandosi con la Storia dell’Arte che più affascina l’autore, quella contemporanea. Pennacchi afferma che «il ricucire le crepe è esattamente la metafora della mia vita in questo momento: da un difetto nasce un effetto, le ferite si trasformano in luminose tracce di rinascita. Il luogo in cui avviene quest’operazione è per me un tempio nel quale entrare in silenzio e pregare in ginocchio».
Per Marziani l’installazione, che definisce momentaneamente permanente, «rappresenta una cucitura pittorica che connette la memoria archeologica del nostro paese con la sorpresa della soluzione inaspettata, geniale, catartica. Dopo un terremoto che ha colpito il museo in forma superficiale ma evidente, volevo che le crepe d’intonaco diventassero il terreno di una cucitura iconografica e morale, una sutura viva nel corpo della consunzione naturale».
Il visitatore ha in questo modo la possibilità di ammirare opere di grandi artisti contemporanei, quali Alexander Calder, Alberto Burri e Arnaldo Pomodoro, e allo stesso tempo di immergersi in ambienti che non fungono esclusivamente da contenitore. Sembrano infatti utilizzare un po’ di quell’arte che custodiscono per trasformare i segni della loro fragilità in un valore aggiunto della collezione, che altrimenti avrebbe perso molto del suo fascino. La vulnerabilità del nostro patrimonio artistico riesce per una volta a trasformarsi in elemento positivo, a dare all’arte un ulteriore significato, mutando i suoi limiti in originalità. Se pur momentaneamente, l’idea di questo allestimento e la sua realizzazione pratica ampliano il valore delle opere tra cui si inseriscono, dando l’impressione che la galleria non sia un luogo statico, ma in continuo movimento, proprio come un terremoto.
Come la tecnica giapponese del Kintsugi, che consiste nel riparare le fratture dei vasi con l’oro, l’opera di Pennacchi non serve a nascondere l’imperfezione, ma è finalizzata a far sì che da una ferita nasca una forma d’arte più esteticamente perfetta. Il valore non sta quindi nel celare una ferita, ma nel celebrarla attraverso una cucitura. Una visita alla collezione permanente di palazzo Collicola-Arti Visive era raccomandabile già in precedenza, ma ora lo è ancora di più, vista la nuova luminosità che la ravviva, perché, come scrisse Leonard Cohen, «c’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce».
Per ulteriori informazioni, visitare il sito del museo.
La foto del Museo Carandente è di Manuelarosi.
Alessandro Mariani
(LM MAGAZINE n. 29, 16 dicembre 2016, Speciale Eventi culturali, supplemento a LucidaMente, anno XI, n. 132, dicembre 2016)