Le cosiddette “esperienze Nde” non sarebbero altro che ricostruzioni di visioni condivise intorno a ciò che si pensa possa esserci nell’aldilà. Ne abbiamo discusso con il neuropsicologo Sergio Della Sala
Spesso si sente parlare di Near death experience (“esperienze Nde”): diverse persone raccontano di avere provato sensazioni particolari durante un periodo di coma o di perdita della coscienza. In alcuni casi, queste percezioni sono risultate accompagnate dalla visione di una luce in fondo a un tunnel o dall’impressione di abbandonare il proprio corpo e di scrutarlo da una differente prospettiva. Taluni pazienti riferiscono di aver osservato se stessi da un angolo della sala ospedaliera, altri, invece, dopo un incidente stradale, sostengono di essersi visti a terra durante le operazioni di soccorso.
Spesso questi argomenti vengono trattati senza perizia scientifica, con il rischio di comunicare al pubblico informazioni scorrette e imprecise. Le credenze religiose, poi, giocano un ruolo fondamentale per l’interpretazione di fenomeni insoliti ed emotivamente coinvolgenti: tutti vorremmo che esistesse un aldilà, ricco solo di felicità e benessere. Ed ecco che, all’uscita da uno stato di coma, il paziente può interpretare i propri confusi ricordi come un viaggio metafisico, completato da fantasie più o meno involontarie, che ricoprono le numerose zone d’ombra della mente. Capita anche che medici credenti, magari in buona fede, tendano ad attribuire ai normali fenomeni neurofisiologici un valore spirituale e ultraterreno generando, in questo modo, uno stato di confusione che può indurre all’autoinganno. Per cercare di capire meglio e mettere ordine nelle implicazioni neurologiche delle “esperienze Nde”, abbiamo intervistato Sergio Della Sala, docente di Neuropsicologia sperimentale e direttore dell’unità di Human cognitive neuroscience dell’Università di Edimburgo, ma anche saggista e presidente del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale (Cicap).
Benvenuto, professore. Da un punto di vista medico, come si spiegano le cosiddette “esperienze Nde”?«Grazie e ben trovati. È anzitutto necessario ricordare che queste manifestazioni non si presentano sempre come positive per le persone che testimoniano esperienze di premorte. Nella maggioranza dei casi, però, la fenomenologia delle Nde è del tutto analoga: le sue componenti tipiche sono simili a esperienze associate a condizioni neurologiche di vario tipo o a forme dirette di stimolazione cerebrale. L’Nde non può, dunque, essere considerata la dimostrazione di una forma di coscienza separata o di un aldilà. Nessuna parte che costituisce queste esperienze è peculiare, unica. La letteratura esistente non fornisce alcuna prova convincente (al di là di aneddoti e questionari) in grado di contraddire le spiegazioni neuroscientifiche del fenomeno. Le Nde sono esperite in situazioni di disinibizione neurale, la cui causa più comune è l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno nel cervello. Tra i fattori scatenanti si annoverano anche confusione, traumi, deprivazione sensoriale, patologie neurologiche, epilessia, emicrania, uso di droghe, stimolazione cerebrale. Il funzionamento del cervello, infatti, è così complesso che anche cambiamenti molto modesti della sua struttura o del metabolismo sono sufficienti a incrinarne il delicato equilibrio. Ecco perché le componenti delle Nde si ritrovano pure in altri contesti. La cascata di eventi descritti ha origine probabilmente da un danno, acuto o cronico, o da interferenze a carico di un cospicuo numero di aree corticali e sottocorticali e delle loro connessioni. Le esperienze al confine con la morte non sono altro che ricostruzioni confabulatorie di quello che visioni condivise suggeriscono accada nell’aldilà. Siccome siamo abituati a stimoli che provengono dall’esterno, quando è una parte del cervello a generare inaspettatamente queste illusioni, un’altra le interpreta come eventi esterni. Così, l’anormale è percepito come paranormale, ma non c’è nulla di “extrasensoriale” in un fenomeno fisiologico».
Ci sono testimonianze di persone ritenute morte dal punto di vista medico, il cui cuore, però, ha ripreso a battere dopo qualche minuto ed esse sono tornate a percepire, sentire, vedere. È vero che esistono vari tipi di coma e che misurare l’attività elettrica corticale e sottocorticale del cervello è molto importante?«Platone, nel decimo libro de La Repubblica, racconta il mito di Er, soldato morto in guerra e tornato in vita dopo dodici giorni, appena prima che il suo cadavere decomposto venisse bruciato su una pira. Er resuscita per ordine di giudici che rimandano la sua anima sulla terra, a testimoniare i fatti visti e uditi nel mondo dei defunti. Se questa fosse stata una storia vera, anche i più scettici avrebbero ascoltato con meraviglia la descrizione di un oltretomba in cui giudici, seduti in mezzo a due voragini, accolgono le anime, imponendo loro la strada verso il cielo o verso il basso. Nessuno scienziato avrebbe potuto diagnosticare a Er una morte apparente o far risorgere altri cadaveri putrefatti. Dunque, tali racconti non hanno mai dato adito a spiegazioni naturalistiche. Ben diverso è il caso dei pazienti rianimati dopo una momentanea riduzione delle proprie funzioni vitali, in cui il processo di morte, per sua natura irreversibile, non è mai cominciato. Il coma è una delle manifestazioni più sconcertanti dell’interruzione del sistema nervoso, ma bisogna considerare che ne esistono diversi tipi, mentre talvolta se ne parla come fosse un’unica condizione. In particolare, uno stato di coma può derivare da due distinte situazioni, ovvero da un malfunzionamento diffuso della corteccia cerebrale – per esempio, nel caso di un’anossia – oppure da un danno alla formazione reticolare, per trauma diretto o per compressione. Quindi, diventa fondamentale controllare il meccanismo cerebrale sia corticale che sottocorticale».
I concetti di morte medica e morte legale sono ben separati. Ce li può illustrare?«Certo. Definire lo stato di morte è più complesso di quanto si pensi e la sua spiegazione cambia con l’accrescimento delle nostre conoscenze e la sofisticatezza delle tecnologie. Attualmente, il decesso viene accertato in assenza di ogni funzione cerebrale. In questa condizione è possibile mantenere meccanicamente il corpo in vita apparente per mezzo di ausili esterni, come la ventilazione forzata. Si può, pertanto, operare il percorso di diagnosi di morte, la quale non è un evento unitario: quando il sistema cardiocircolatorio smette di funzionare, parliamo di morte clinica, mentre il concetto di morte cerebrale o nervosa, detta legale, è stato introdotto parallelamente alla possibilità di trapiantare organi e, quindi, permetterne l’espianto in tempi utili».
Grazie, professor Della Sala.
Le immagini: Sergio Della Sala; un esempio di “esperienza Nde”; rappresentazione della mente.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 91, luglio 2013)
Il fatto che faccia parte del CICAP la dice lunga……vabbè, altrettanti neuroscienziati e medici da studi effettuati non sarebbero d’accordo con quanto afferma il Prof. Della Sala.
Quello che rimane difficile da far capire è che le esperienze NDE vengono sempre raccontate a posteriori, quando il paziente presenta la lucidità adatta per rievocarle. Il problema sta proprio lì. Durante la rievocazione si sta raccontando di visioni e sensazioni avvenute in condizioni di disfunzione e anossia neuronale con la sensazione del restringimento del campo visivo e di altri fenomeni neurofisologici. NESSUNO può dimostrare quando sia avvenuta la visione. Molti pazienti riferiscono racconti molto simili tra loro in qualsiasi cultura antropologica (cattolici, ortodossi, musulmani, atei, ecc.) e questo per il semplice motivo che i meccanismi neurofisiologici del cervello sono gli stessi per tutti. La fisiologia cerebrale umana è identica per ogni individuo. E nessuno studio serio eseguito in doppio cieco (o anche in cieco) può dimostrare che tali visioni e sensazioni provengono da una dimensione sconosciuta o da un presunto aldilà. Sono state fatte, anche abbastanza di recente, ricerche i cui risultati sono stati pubblicati in alcune riviste scientifiche e mediche, ma NESSUNO di questi studi ha fornito prove soddisfacenti per la comunità scientifica e nessuno ha eseguito prove in cieco o in doppio cieco. E’, invece altissima la probabilità che queste ricostruzioni siano addirittura ricostruite al momento della rievocazione (i falsi ricordi, per esempio), come gli esperimenti dei processi mnemonici dimostrano. L’errore sta nell’interpretazione che se ne dà e anche un debole retroterra culturale religioso può alterare il metodo di ricerca degli esaminatori e, di conseguenza, il risultato.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi (CICAP)
DA GRAZIA FRANCESCATO:
A proposito di NDE, come spiegate che ne ho avuto una a cinque anni, così vivida che la ricordo ancora a 66, cioè oggi? Sono stata malatissima dai quattro ai cinque anni; stavo per morire (così’ mi ha raccontato mia madre DOPO, io ovviamente non potevo saperlo, avevo la febbre altissima): Mi sono ritrovata dentro a un tunnel d’ombra, in fondo c’era un a luce radiosa… scivolavo fluidamente verso quella luminosità diffusa, quando mi sono sentita riportare indietro…. ho aperto gli occhi, ricordo con nettezza il comodino pieno di medicine, le mani di mia madre..
Come poteva essere una ‘ricostruzione condivisa’ se ero così piccola e sicuramente inconsapevole di quel che c’è dopo la morte? E non mi dite che qualcuno accanto al mio letto ne parlava ed io inconsapevolmente assorbivo, perché ho fatto queste domande a mia madre quando lei era ancora viva, ed ha escluso categoricamente…..
Sarei lieta di avere una possibile spiegazione dal vostro cortese neuropsicologo.
Grazie e cordiali saluti
Grazia Francescato
Gentilissima dott.ssa Grazia Francescato,
sono l’autore dell’articolo e dell’intervista al prof. Sergio Della Sala. Faccio divulgazione scientifica e faccio parte del CICAP (Comitato italiano controllo affermazioni sul paranormale) e ho studiato le esperienze NDE e OBE per motivi di ricerca. Posso rispondere alla sua domanda.
Per “ricostruzione condivisa” si intende l’interpretazione che generalmente si dà a queste esperienze di sensazioni e visioni di quello che si ritiene comunemente e culturalmente essere l’aldilà o una dimensione non conosciuta. È condivisa l’idea che l’aldilà possa essere raggiunto attraverso un tunnel che porta verso una luce fortissima perché culturalmente si condivide l’idea che il Paradiso sia l’esplosione della luce e il trionfo della beatitudine. E quindi si attribuiscono queste sensazioni e visioni ad una dimensione spirituale che rassicura sulla possibilità della vita oltre quella fisica e terrena. Il nostro cervello non può rimanere in assenza di risposte e quindi si attivano una serie di segnali nelle varie centraline della mente per dare spiegazioni a qualcosa di strano, anche risposte fasulle o imprecise, ma comunque risposte al senso di ignoto e di incomprensibile che ci coglie. Detto questo è bene precisare che non sempre le esperienze NDE sono positive per i pazienti. Si tende a raccontare o a divulgare soltanto i racconti dei pazienti che dicono di aver vissuto sensazioni felici e aver visto la luce alla fine del tunnel (o altre immagini del genere), ma la letteratura medica annovera resoconti di NDE negativi e traumatici per alcuni pazienti. Dipende dal tipo di trauma subito e dallo stato di incoscienza.
Il tunnel d’ombra che conduce verso la luce è molto presente nei racconti dei pazienti e dipende dal restringimento del campo visivo in conseguenza della mancanza di ossigeno ai neuroni (anossia cerebrale) che possono essere momentaneamente danneggiati anche a seguito di patologie particolarmente traumatiche che inducono in stati di incoscienza (come la febbre molto alta legata ad altre implicazioni). È in sostanza una reazione fisiologica alla rottura del normale funzionamento dei meccanismi neuronali. Ed è del tutto normale che un’esperienza del genere e del tutto desueta, e per noi straordinaria, non si dimentichi tanto facilmente (anche se avuta a 5 anni quando cioè i meccanismi mnemonici e sensoriali del cervello sono perfettamente in grado di funzionare al meglio) e rimanga tatuata nella memoria per sempre.
Non va, poi, dimenticato che le NDE sono sempre ricostruzioni a posteriori quando il paziente riprende conoscenza o esce semplicemente da uno stato di profonda alterazione traumatica di coscienza. Vi sono altissime probabilità che i ricordi a posteriori funzionino come il meccanismo psicologico del “falso ricordo” che si innesta spontaneamente nella memoria del paziente, come studi clinici dimostrano (http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=100264). In alcuni casi i pazienti riferiscono di aver visto il proprio corpo dall’alto della stanza d’ospedale o di aver ascoltato frasi dei medici o parenti presenti durante lo stato di incoscienza o coma. Va ricordato, altresì, che esistono vari tipi di coma e che è importante monitorare di continuo l’attività elettrica del cervello sia a livello corticale che sottocorticale. In stati di incoscienza lieve il paziente perde le sue normali funzioni psicomotorie, ma può essere in grado di sentire e vedere confusamente, ed ecco che al suo risveglio può ricordare qualche frase detta effettivamente nella stanza. In molti casi i ricordi sono talmente confusi e incompleti che involontariamente il nostro cervello, che non può stare senza risposte a lungo, completa i frammenti lacunosi, e per noi intollerabili, con altre immagini e ricordi mai visti e mai vissuti. Il tutto è documentato scientificamente dalla letteratura medica. (http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=100265)
Un’ultima considerazione. Queste esperienze sono vissute in tutto il mondo e in tutte le culture religiose, cattolici, ortodossi, musulmani, induisti, atei, ecc. Il motivo sta nel fatto che i meccanismi (di funzionamento e disfunzionamento) neurofisiologici sono gli stessi per tutti. La fisiologia cerebrale è sempre quella per l’intera specie “sapiens sapiens”, al di là del colore della pelle, del taglio degli occhi, della differente genetica o cultura o religione. Non esistono le razze. È un concetto che dal punto di vista genetico non ha senso.
Con cordialità
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
DA GRAZIA FRANCESCATO:
Egregio Dott.Cappadonia,
grazie davvero per la esauriente ed interessante spiegazione. Se mi capiterà di sentire di altre esperienze analoghe, sarà mia cura segnalarle, perché penso che più questi argomenti vengono approfonditi su basi scientifiche, più il nostro livello culturale ne trarrà giovamento.
Sono altresì convinta che molto resta avvolto nel ‘mistero’ (che forse un giorno la scienza potrà indagare quasi in toto) e che questo lato occulto eserciti un fascino profondo sulle menti e sui cuori umani, con risultati spesso luminosi (vedi opere d’arte, letteratura etc), ma a volte con percorsi oscuri che vanno senz’altro denunciati e su cui bisogna vigilare.
Cordiali saluti e buon lavoro
Grazia Francescato
Qualora tutti e tre i passaggi diano un esito negativo (assenza di attività elettrica cerebrale, fallimento della prova di apnea ed assenza di riflessi dei nervi cranici) si può parlare di morte cerebrale; si è quindo autorizzati all’interruzione delle cure ed in caso di consenso al prelievo di organi.
…vedo che comunque anche il Dr. Cappadonia parla di probabilità, anche la scienza su questo tema alla fine non ha verità inconfutabili….
Il meccanismo del “falso ricordo” è stato studiato dalla psicologia fisiologica e funzionale e si sa come si forma. I ricordi a posteriori, ovvero dopo che si è verificato un fatto, non sono mai attendibili, proprio per il modo in cui funziona l’archivio della memoria e della registrazione degli eventi, per così dire. La memoria, si sa, non funziona come una video camera o come un registratore e questo è il motivo per cui, non di rado, si può verificare l’autoinganno o una valutazione erronea del reale. Ci sono ancora studi da fare sulla complementarità e funzionalità del rapporto tra ricordi a posteriori e falsi ricordi. E questa inattendibilità del falso ricordo è ancora più rigida soprattutto dopo che le strutture neurofisiologiche di un paziente sono state danneggiate, anche temporaneamente, da un evento lesivo di origine organica o traumatica. Il tutto accompagnato dal momento del racconto che è una fase costruttivista e che tende a completare le lacune della memoria. La scienza non ha verità inconfutabili, ma per scalzare le conoscenze acquisite attraverso la sperimentazione occorre procedere nuovamente alla osservazione, descrizione delle ipotesi e verifica delle ipotesi. E il test va ripetutio ancora con ricercatori indipendenti, il cui risultato deve essere uguale al precedente. Solo allora è possibile avere una nuova verità potenzialmente inconfutabile e pronta ad essere scalzata da un’altra verità scientifica.
Cordialità