L’evoluzione dell’uomo? Un cespuglio con tanti rami. In un’intervista in esclusiva, il noto paleoantropologo e volto televisivo della cultura rivela al nostro periodico curiosità su di sé e sulla complessità del suo mestiere
Di recente il noto paleoantropologo e protagonista di programmi culturali Alberto Angela è stato a Lamezia Terme (Catanzaro) su iniziativa della biblioteca lametina, della libreria Tavella e dell’Associazione archeologica lametina. Lo abbiamo incontrato e, in questa intervista esclusiva per i lettori di LucidaMente, ci ha svelato aneddoti e curiosità che riguardano lui e… il genere umano.
Benvenuto, Alberto Angela. Iniziamo subito con la domanda che forse tutti vorrebbero farle: quanto la passione e la cultura di suo padre Piero le hanno influenzato la vita?«In realtà io ho fatto per dieci anni ricerca in settori scientifici diversi e non pensavo di incrociare i miei interessi con quelli di mio padre. Per caso, poi, ho curato per un’emittente svizzera un programma sulle mie spedizioni, che è stato comprato da Telemontecarlo e mandato in onda in Italia, rendendomi noto. Non c’è mai stato un passaggio del testimone, è stata una casualità. Ancora oggi, più che cronista,mi considero ricercatore. Certo, aver respirato in casa il giornalismo televisivo mi ha aiutato a capire di più le regole del mestiere, il fascino del mondo. Mio padre tornava dai viaggi e mi incantavano i suoi racconti. Poi ho fatto altre scelte, come scavi e spedizioni in Africa: cercavo ossa di esseri preistorici e questo ha influito successivamente sul mio modo di raccontare la scienza. Sono diventato ricercatore, un paleontologo delle origini dell’uomo».
Perché ha scelto proprio Paleoantropologia?«Mi ha sempre affascinato. Da bambino disegnavo dinosauri e figure di uomini primitivi e così ho continuato su questa strada».
Quale scoperta l’ha colpita di più?«Lavoravo con lo stesso gruppo che aveva ritrovato la mummia di Lucy (genere Australopithecus), che ha tre milioni e mezzo di anni, e nel 1986 a Olduvai, in Tanzania, una specie di grande canyon in mezzo alla savana, la nostra spedizione scoprì le ultime tracce dell’Homo habilis, uno dei primissimi anelli dell’evoluzione dell’uomo moderno. Si trattava di una donna di un milione e ottocentomila anni fa. Emergevano i suoi resti ridotti in pezzi, poi ricostruiti. Era alta un metro e venti, aveva un cervello più grande rispetto a noi, dei denti simili ai nostri, ma braccia lunghe quanto uno scimpanzé. Per una sorta di adattamento era tornata a vivere sulle fronde. Pur appartenendo algenere Homo, non era una nostra antenata. L’evoluzione non è come un albero con vari rami, ma ogni forma, tipo Homo habilis e Homo erectus, è paragonabile a un cespuglio con tante varianti. Questo fa capire come la nostra origine non sia semplice».
Esiste il famoso “anello mancante”?«Sì, esso dovrebbe situarsi intorno ai sei-sette milioni di anni fa. Ad esempio, nell’evoluzione il ramo dei gibboni si è staccato circa dodici milioni di anni fa, quello dell’orango otto-nove, quello del gorilla intorno ai sette-otto, mentrela divergenza tra la via che ha condotto all’uomo (quindi Lucy) e quella che ha portato agli scimpanzé si colloca tra i sette e i cinque. Abbiamo un antenato comune ma non discendiamo da questo: siamo come fratelli distinti che hanno un genitore condiviso. Il famoso “anello mancante” è concettualmente importante ma quasi impossibile da individuare, perché si tratterebbe di una piccola popolazione e, ammesso che si rintracci, non si saprà mai se si sia evoluta verso l’essere umano o verso lo scimpanzé, anche se ci sono stati dei ritrovamenti incoraggianti in Etiopia, dove ho lavorato, quali spoglie di ominidi del genere Ardiphitecus».
È reale l’ipotesi che l’Homo sapiens per cannibalismo abbia provocato la sparizione dei Neanderthal?«Veramente ci sono tracce di cannibalismo anche tra Neanderthal. La sopravvivenza allora era dura. In una grotta in Spagna, ma anche nei Balcani, sono state rinvenute ossa umane macellate e buttate insieme agli scarti di cucina nei focolari. I Neanderthal mangiavano le persone ma poi seppellivano i morti come facciamo noi. Vorrei ricordare che il cannibalismo esiste anche tra Homo sapiens. Abbiamo filmato sull’isola di Pasqua i resti di bambini mangiati come fossero maialini. Quando deforestarono tutto, queste tribù non avevano più legna e si sono trovate a vivere in una specie di Medioevo, una sorta di day after. Esse hanno continuato ad abitare sull’isola ma, non potendo costruire le barche per andare a pescare, si mangiavano tra loro».
Dunque, qual è la causa della sparizione dei Neanderthal?«Il motivo non è chiaro, anche se certamente legato all’Homo sapiens. Progressivamente, più questo avanza, più sparisce il Neanderthal. I suoi ultimi esemplari si trovano in Spagna, in Portogallo e anche in Italia. Forse avranno combattuto tra loro perché occupavano la stessa nicchia di territorio, ma l’estinzione è avvenuta in migliaia di anni. Fosse stato per un combattimento, sarebbero subito scomparsi. Si è poi visto che nel nostro dna c’è quello dei Neanderthal, quindi ci siamo incrociati con loro. Si tratta di due tribù che vivevano negli stessi ambienti. Oggi l’opinione più accreditata è che ci sia stata una competizione indiretta, nel senso che i Sapiens erano più bravi a cacciare e si diffondevano meglio. In Medio Oriente essi non si sono mai mescolati, anzi si sono trovate caverne in cui vivevano separatamente Neanderthal e Sapiens. In Siberia di recente hanno rinvenuto dentro una grotta il dito di un primitivo risalente al periodo in cui vivevano sia i Sapiens sia i Neanderthal, l’hanno fatto analizzare geneticamente e hanno visto che non è né di un tipo né dell’altro: è una terza forma. Nel suo dna ci sono caratteristiche che lasciano intendere ci fosse anche un’altra specie. Attraverso un mignolo abbiamo scoperto due nuove varianti di uomo preistorico. Questo fa capire la complessità dell’origine e quanto sia moderna la ricerca».
Che cosa pensa delle culture in via di estinzione e quale tra queste l’ha colpita di più?«Bisognerebbe tutelarle, ma non sempre accade. È importante salvaguardarle per una questione etica e per la ricerca. Personalmente, sono stato molto colpito dai Boscimani, in Namibia. Siamo andati a filmare le ultime tribù e un anno dopo vi sono tornato con la mia famiglia. È stato bello vedere i miei ragazzi giocare con loro, ma credo che tra qualche anno essi non ci saranno più. Ora hanno grossi problemi perché si trovano in territori appetibili, dove si concentrano diamanti e interessi economici. Sono nostri parenti che vivono come facevamo noi in passato».
Dopo Albatros vi sono stati Superquark, Quark speciale, Viaggio nel cosmo, Ulisse. Come è cambiato il suo modo di divulgare la cultura?«Bisogna adattarsi alle tecniche televisive. Se devo spiegare qualcosa devo farlo vedere. Mi avvalgo della collaborazione di gruppi storici molto preparati. L’immagine diventa un supermercato di informazioni. Se stai in televisione devi fare ascolto, devi trovare tecniche come la ricostruzione, il racconto».
Per alcune trasmissioni lei ha lavorato in condizioni estreme: settanta gradi sotto lo zero in Antartide o in assenza di gravità su un A300 per simulare un viaggio nello spazio. Che cosa può dirci in merito?«Nel fare divulgazione scientifica si cerca di coinvolgere, trovare empatia con lo spettatore. Un film può commuovere, può provocare gioia o sofferenza, anche se non è reale. Ma, se si parla del freddo, bisogna provarlo realmente e lo spettatore deve vedere che tu fai esperienza di tale sensazione ed egli si immedesima».
Lei ha recentemente scritto il libro I tre giorni di Pompei, edito da Rizzoli; con il ricavato delle vendite intende aiutare il sito archeologico?«Con questo volume si aiuta un affresco, anzi più di uno poiché abbiamo superato il numero di vendite. Pompei viveva da seicento anni prima dell’eruzione, dunque è molto antica. Al momento della catastrofe aveva l’anzianità di un quartiere storico. Poi, per millesettecento anni è rimasta sepolta. È stata riportata alla luce e per altri duecento è stata esposta alle intemperie. È stata anche bombardata durante la Seconda guerra mondiale. Ora è necessario agire in modo da consolidare quello che c’è. Pompei dovrebbe avere restauratori e manutentori, è una grande città, unica al mondo».
Le immagini: foto di Alberto Angela a Lamezia Terme e due scatti che lo ritraggono insieme all’autrice dell’articolo.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno X, n. 111, marzo 2015)
Altre interviste a personaggi celebri da parte dell’autrice, in esclusiva per LucidaMente: Erosione costiera, problema irrisolto (ad Andrea Orlando) Scacco al re Bernardo (a Piergiorgio Di Cara) Qual è il destino dell’universo? (a Paolo De Bernardis) Il mondo non finirà, secondo i Maya (a Roberto Giacobbo) Il Marsili, un vulcano per dare elettricità all’Italia (a Diego Paltrinieri) «Il problema delle “navi dei veleni” è mondiale» (a Folco Qulici) «La televisione generalista è ormai giunta al capolinea…» (a Carmen Lasorella) «In tv è più facile intrattenere che informare» (a Tiziana Ferrario) «Per una scienza senza segreti e senza frontiere» (ad Antonino Zichichi) Viaggio di un hacker tra i pericoli di Internet (a Fabio Ghioni) Mario Tozzi: i rischi per l’isola del Giglio Magdi Allam: «Ho seguito ciò che sentivo dentro» Fare in modo che la televisione non divenga “cattiva maestra” (a Giovanni Minoli) E Plutone divenne un “nanopianeta”… (a Massimo Capaccioli) Una società in cui conta il successo a tutti i costi (a Francesco Bruno) Religione e scienza: nessun contrasto (ancora a Zichichi) A volte il disagio psichico fa comodo al potere politico (ad Alberto Bevilacqua)«Sul cervello c’è quasi tutto da investigare e scoprire» (a Edoardo Boncinelli)