Demenze in forte espansione. Esistono, tuttavia, delle risposte. Gli esempi italiani, come quello di San Pietro in Casale (Bologna)
La demenza fa paura per la vergogna di diventare diversi e la sofferenza di subire l’ostilità degli altri. Non ci sono, per ora, farmaci in grado di prevenirla o curarla. E così si avviano progetti che possano rispondere allo sgomento e al terrore della solitudine. La persona malata è, prima di tutto, una persona.
Nel rapporto 2016 l’Alzheimer’s Disease International (Adi), organizzazione di 80 associazioni di Alzheimer, segnala che a livello mondiale la demenza colpisce 47 milioni di persone e che si stimano quasi 131,5 milioni di malati entro il 2050: «La demenza è malattia degenerativa a carattere progressivo e globale con un andamento variabile tra le persone, destinata a compromettere un numero sempre maggiore di funzioni cognitive e a coinvolgere anche lo stato funzionale del malato, cioè le abilità indispensabili per la vita quotidiana» (fonte Alzheimer uniti onlus). La malattia di Alzheimer, la forma più comune, riguarda il 50-70% dei casi. LucidaMente se n’è occupata (cfr. Le lingue contro l’Alzheimer; Alzheimer e benzodiazepine: il possibile legame; Il ruolo del rame nello sviluppo dell’Alzheimer). Intanto, in settembre, mese mondiale dell’Alzheimer, riaprirà a Brescia, presso il Korian Residenza Vittoria, la mostra Alzheimer in Lab.
È un percorso multisensoriale, di immedesimazione, come la stanza al buio, con le voci e i rumori che il malato sente dentro di sé. Si percorrono gli ambienti domestici in doppia versione, come comunemente si presentano e come dovrebbero essere. Si impara ad arredare «una casa che si prende cura del malato». Da anni medici e psicologi gerontologi e dell’invecchiamento dirigono l’attenzione sulla possibilità, per la persona con demenza, di realizzare il proprio potenziale e di interagire a livello relazionale nella società. Non si vive di sola decadenza: la diagnosi di malattia, anche se nefasta, non deve inchiodare il malato e i famigliari allo sgomento e alla negazione delle relazioni esterne.
In quest’ottica, da più di dieci anni sono nati i “Caffè Amarcord”, presenti spesso con denominazioni diverse. Sono luoghi di ritrovo, in cui si sperimenta un modo di stare insieme, facendo attività guidate da operatori. E a San Pietro in Casale, vicino a Bologna, ha preso il via un progetto ancora più ampio: «La città amica della demenza». Modello europeo, avviato per la prima volta in Italia nella città di Macerata, si prefigge in alcuni anni di costruire conoscenze presso la comunità cittadina, in modo da agevolare la vita di relazione della persona con demenza e dei suoi famigliari. Progetto di assoluto valore, presentato il 21 giugno 2018, è condiviso dall’amministrazione comunale, dalle autorità sanitarie, da soggetti pubblici e privati. Prevede una formazione essenziale differenziata per categorie; l’obiettivo è semplificare l’approccio. Come il barista che non chiede solo: «Cosa vuole?», ma che dettaglia: «Vuole un caffè, un cappuccino, un the?». O la polizia municipale che sa riconoscere i segni e aiuta chi si perde a ritrovare la strada. Così si permette al malato di non stare segregato in casa. E si pensa a più spazi dedicati, a luoghi di incontri.
L’esperienza, guidata dal professor Rabih Chattat, docente di Psicologia presso l’Università di Bologna, e dall’Associazione di volontariato Ama Amarcord onlus, si prefigge uno scopo alto: «Se riusciamo a portare le persone con demenza a uscire di casa, abbiamo raggiunto l’obiettivo», raccontano gli organizzatori. Avanza una visione nuova, necessaria in una società in cui l’assistenza sociale non può coprire tutti i bisogni e le famiglie, sempre più mononucleari, non sono in grado di reggere il carico dell’assistenza ai propri cari. Il progetto apre a una solidarietà antica, ormai perduta. Magari, da una società più attenta e disponibile trarremo tutti enormi vantaggi.
Le immagini: in apertura, la mente verso la demenza; fragilità da proteggere; Caffè Amarcord, creazioni per il Natale (foto della stessa autrice dell’articolo).
Isa Evangelisti
(Lucidamente, anno XIII, n. 151, luglio 2018)
Grazie all’autrice Isa che ci apre alla problematica della demenza e in particolare dell’Alzheimer, e ci fornisce tante utili informazioni. Sembra bello il progetto di San Pietro in Casale: darà sicuramente buoni risultati. Una perla è il titolo dell’articolo, un’affermazione che può valere per tante patologie e sofferenze umane: Non posso curarti, ma posso prendermi cura di te…
Francamente non immaginavo che questa malattia colpisse tante persone
Ammirabile questo progetto che prenderà piede a San Pietro in Casale; spero che poi venga esteso a più città. Grazie ad Isa
Molto interessante questo articolo, per le informazioni che fornisce, per l’argomento che affronta, per la prospettiva che indica: il ritorno ad una solidarietà antica che allevia il carico troppo pesante che grava sulle famiglie nucleari e per il titolo, bello e vero in una quantità di situazioni.
Brava Isa!!!