La follia della dieta a base di carne, lo sterminio e il rapporto falsato
Regola aurea: rispettare l’habitat e tutte le specie vegetali e animali che condividono la vita in quel particolare biosistema. Questo forse andrebbe bene in una società di tipo “primitivo”, ma osserviamo che, con il cambiamento del sistema agricolo e pastorale e con l’urbanizzazione sempre più intensiva, considerando anche l’aumento vertiginoso degli umani sul pianeta, parlare di relazioni e di interconnessioni biologiche e di conservazione dei biosistemi naturali è un semplice esercizio teorico. In realtà, con l’aumento forsennato dei consumi (più o meno necessari al mantenimento della vita umana), la predazione delle risorse e l’assoggettamento delle altre specie, l’uomo ha raggiunti livelli di totale alienazione dal contesto naturale.
Gli animali “utili” sono sfruttati e imprigionati col solo scopo di trarne sostanze (carne, pelli, latte, uova, etc.) e anche gli animali amici (definiti da compagnia) sono costretti a una vita innaturale condividendo con noi gli spazi abitativi: appartamenti, strade asfaltate, automobili, etc.
Sfruttiamo tutte le specie animali ma i nostri pets sono inconsapevoli compari di questa consumazione… compartecipano anch’essi alla rapina organizzata e sistematica delle altre specie. Fino al punto che addirittura sono divenuti una delle cause “effettive” e una scusa emozionale della spoliazione di innumerevoli vite (di altri viventi).
Alcuni padroni (maschi) dei cani poi sono un po’ come alcuni genitori (maschi) dei figli (maschi): essi apprezzano oltremodo le prodezze fisiche dei loro beniamini, come un papà che, quando va ad assistere alla partita di calcio del figlio, è capace di tornare a casa senza voce per aver troppo accanitamente incitato il figlio e gridato di gioia quando questo va a rete. Ho due carissimi amici, ognuno proprietario di un cane, che decantano con massimo orgoglio gli inseguimenti dei selvatici ad opera, il primo di un piccolo cane meticcio a forma di salame che si diverte a correre dietro a lepri e fagiani, e il secondo di un Rottweiler femmina, per il resto buonissima, solo un po’ molto irruenta, che appena può scappa seguendo le tracce di daini e caprioli.
Non solo questo… quante volte abbiamo assistito a lotte fra cani con i padroni contenti di vedere il loro beniamino competere? Quante volte abbiamo osservato signore ingioiellate che passeggiano con il cane in braccio come fosse un figlio? Quante volte abbiamo accettato che i cani o i gatti divenissero i padroni assoluti di tutti gli spazi della casa, compreso il nostro letto?
Forse ci manca così tanto il rapporto con gli animali, forse abbiamo perso ogni fiducia nell’uomo e il cane ci gratifica con la sua fedeltà e la sua amicizia, forse vorremmo dimenticare la crudeltà con cui assoggettiamo gli altri animali, usati per la vivisezione, o rinchiusi nei circhi o negli zoo e peggio ancora ammassati in gabbie minuscole al solo scopo di ingrassare e morire giovani per soddisfare le nostre gole voraci… per cui cerchiamo la complicità di cani e gatti come compartecipi dello sterminio…? Almeno lo facciamo anche per loro e non solo per noi, così pensiamo.
In Italia i cani domestici, oltre 20 milioni di esemplari, senza contare i randagi, almeno altrettanti (che vivono comunque a spese della società umana), non potrebbero sopravvivere allo stato brado. Tra l’altro pure un cane “prigioniero” in un canile costa alla comunità una media di 50 euro al giorno, molto di più di quello che costerebbe mantenere gli abitanti di un villaggio nel Terzo mondo. In natura tutti questi milioni di cani e gatti non potrebbero sopravvivere, essi prosperano e aumentano di numero solo perché vengono nutriti artificialmente dall’uomo, che sfrutta forsennatamente a tale scopo altri animali.
E gli altri domestici? Sarebbe possibile allacciare un rapporto amichevole con una capra, ad esempio, con una pecora? In passato io ci ho provato e direi che l’esperimento è riuscito, ma il guaio – per chi è come me vegetariano – subentra quando si vuole ricavarne un po’ di latte, così ho imparato che tutti i maschi che nascono toccherebbe farli fuori, e se non li fai fuori tu e deleghi qualcun altro è lo stesso… e, se anche li lasci lì nel gregge, si crea una lotta interna fra maschi e i più deboli (soprattutto quando sono molto giovani), soccombono. Insomma, fare il pastore non è proprio un’esperienza da vegetariani, infatti nella società matriarcale i pastori erano isolati e vivevano separatamente dalla comunità (che sostanzialmente si sosteneva coi frutti della terra).
Ve la ricordate la storia simbolica di Caino e Abele? In realtà Caino era il buono, che coltivava le messi, e Abele il cattivo, che ammazzava gli animali. Negli archetipi rovesciati è accaduta la stessa cosa con il serpente, che nella tradizione matristica era simbolo di saggezza, mentre nella Bibbia viene descritto come incarnazione del demonio. L’assurdo è che la sua colpa fu quella di trasmettere “la conoscenza del bene e del male” all’umanità… che invece preferisce restare ignorante, rinunciando alla sua vera natura fisiologica (nel paradiso terrestre Adamo ed Eva mangiavano solo i frutti della terra).
Ma torniamo al rapporto falsato con gli animali da compagnia. Il fatto che gli umani (soprattutto quelli che si cibano di carne) s’identifichino con i loro cani è un aspetto della immedesimazione con l’animale al quale si vorrebbe assomigliare, perché il cane naturalmente è carnivoro, mentre l’uomo non lo è… La fusione identitaria portata alle estreme conseguenza fa sì che si consenta di lasciar fare al cane quello che addirittura in natura non farebbe mai: mangiare croccantini e scatolette (ad esempio, il sistema di caccia dei lupi è di aggredire in branco e prelevare solo la vittima “sacrificata” dal gregge, come succede con i leoni). Comunque, nella società induista, che è tradizionalmente vegetariana, il cane viene considerato animale “impuro” e non esistono cani da compagnia… (perlomeno non esistevano perché anche lì ormai l’imitazione occidentale ha rovesciato i valori) ma solo cani spazzini che vivono ai bordi del villaggio nutrendosi di rifiuti…
Paolo D’Arpini
(LucidaMente, anno VI, n. 69, settembre 2011)