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Anni Settanta: l’idea di cambiare il mondo

Jessica Ingrami by Jessica Ingrami
5 Dicembre 2009
in INEDITION, STORIA
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Dopo la contestazione del Sessantotto, la spinta innovatrice dei nuovi strati sociali non si era esaurita. Lo stato d’insoddisfazione politico-istituzionale si tradusse velocemente in scontri tra le fazioni politiche e in violenze di piazza. La società italiana si trovò, negli anni di piombo, a dover fare i conti con un’economia cresciuta rapidamente e col conseguente miglioramento delle condizioni di vita. La popolazione aumentava e l’analfabetismo scompariva rapidamente. Inoltre, si andava formando un’importante crescita culturale, con l’aumento di presa di coscienza delle classi operaie.

Vita quotidiana
Vivere Bologna in quegli anni non era un’esperienza qualsiasi, soprattutto se si era in piena adolescenza. Federica, come la chiameremo, ora è una bella donna in carriera di cinquantatre anni ma non dimentica i suoi quattordici anni e la tensione che si respirava ad ogni angolo: «Tutto era intriso di politica. Ci si incontrava al bar con gli amici e non si parlava d’altro. Si salutavano le persone della propria fazione e si evitavano le altre. Spessissimo capitava di dirsi “Non salutare quello, è un fascista!”». Erano anni in cui non esisteva l’astensionismo: o si era di destra o si era di sinistra. Essere neutrale, o moderato, come diremmo oggi, non era possibile. E se qualcuno si proclamava tale, veniva emarginato da entrambi i gruppi. Però era un periodo di grande aggregazione: «Non era possibile sentirsi soli – ci racconta Federica -, la componente sociale era fondamentale in tutto. I giovani avevano qualcosa in cui credere, pretendevano di costruire un futuro all’altezza delle loro aspettative. Destra e sinistra in questo progetto non esistevano, tutti volevamo cambiare il mondo».
E il mondo si iniziava ad analizzarlo all’interno delle scuole quando venivano occupate e «ci si chiudeva dentro con la cultura – afferma ancora Federica – trasformando le discussioni in assemblee politiche. Ci si sentiva in diritto di dover rivoluzionare il futuro». Fuori, davanti alla scuola, i picchetti organizzati dai ragazzi non facevano entrare nessun estraneo. Poi c’erano le manifestazioni in piazza, regolari e continue, con gli squadroni della polizia che arrivavano lanciando lacrimogeni per disperdere i ragazzi e i manifestanti che rispondevano facendo volare i “sampietrini”: «Ricordo bene il tanfo del fumo e il rumore dei passi in corsa sul selciato della città» rievoca Federica.

Amore e politica
Erano anni concreti, gli anni Settanta, in cui la vita scorreva parallela e incrociata alle vicende politiche. Persino le storie d’amore non ne erano esenti: «Allora non capivo molto – confessa Federica -, io ero solo innamorata. Forse dopo, col tempo, mi sono resa davvero conto che avere “la scorta” non era da tutti». G. allora aveva diciassette anni ed era uno tra i membri più attivi del Partito comunista cittadino, Federica era “la donna di G.” e, in quanto tale, meritava protezione. Gli amici di G. erano sempre pronti ad accompagnarla a casa la sera o a venirla a prendere quando aveva un appuntamento o ad aspettarla alla fermata dell’autobus, assicurandosi che non le capitasse nulla di male: «Io non era l’unica, molte altre ragazze avevano i bodyguard. Funzionava così allora».
Una delle notizie più normali era venire a sapere che un amico, un conoscente o il proprio ragazzo era stato accoltellato durante un “agguato”, poiché si sapeva che partivano spesso spedizioni “punitive” verso i personaggi di spicco dell’altro gruppo politico: «Nessuno si meravigliava, i ragazzi giravano con i coltelli e le catene addosso. Era normale voltare l’angolo e trovarsi davanti quattro che si picchiavano. Bastava cambiare strada e lasciarsi alle spalle il rimbombo della rissa, che sotto i portici produceva un’eco inconfondibile». Federica ci pensa un attimo, poi esclama: «Rispetto ad oggi, i problemi erano altri ed erano veri. E venivano da convinzioni radicate e da riflessioni serie. Un giorno venni a sapere che un ragazzo era morto di overdose di droga, e chiesi «Droga?! Ma cos’è la droga?!». Allora, era la politica, e gli ideali che essa conteneva, a legare insieme tutto e tutti. Era proprio un altro mondo, tutto un altro mondo».

Episodi di ordinaria follia
Se la città era caratterizzata da un attivismo politico di molti e da un’involontaria, ma quasi obbligata, presa di posizione da parte di tutti, la provincia del capoluogo emiliano rimaneva quasi estranea ai fatti di cronaca, almeno finché non ne veniva a conoscenza leggendo il giornale.
Nel 1973 Maria aveva ventitre anni e tutte le mattine si recava a lavorare a Bologna in un maglificio in via Guerrazzi utilizzando la linea di autobus che collegava Ponte Samoggia, un piccolissimo paesino della campagna bolognese, all’autostazione: «In provincia non si sentiva quella tensione che si percepiva in città. Era diverso. Certo, mi preoccupavo di quello che accadeva, mi tenevo informata, ma non partecipavo direttamente. Io andavo solo a lavorare».
Anche per Maria, però, assistere alle manifestazioni in piazza o imbattersi in uno scontro per i vicoli porticati era all’ordine del giorno, così come svegliarsi di soprassalto, perché l’autobus era stato “bloccato”: «Ricordo che era inverno perché alle 17,30 era già buio pesto. Avevo finito di lavorare e, come ogni pomeriggio, avevo preso il mezzo per tornare a casa. Stavo sonnecchiando quando, all’improvviso, mi svegliarono grida e rumori forti. A quel punto mi accorsi che l’autobus era stato fermato e circondato da un gruppo di militanti mascherati e, in un batter d’occhio, il veicolo fu ricoperto da scritte e simboli».
Passato il trambusto, il bus riprese la sua corsa, nella quasi totale indifferenza di tutti, autista compreso: «Non ci furono commenti, nessuno era meravigliato o sorpreso. Erano imprevisti normali allora. Certo oggi mi preoccuperei un po’ di più se dovesse accadere, i tempi sono nettamente cambiati».

L’immagine: Ragazze in Piazza Maggiore Bologna, 23/25 settembre 1977, fotografia originale, titolata e firmata, di Tano D’Amico. Stampa a cura dell’autore. Pubblicata in: Tano D’Amico, È il ’77, Roma, I Libri del No, 1978. Esposta nel corso della mostra Una storia di donne, tenutasi a Bologna presso il Museo archeologico dal 25 al 28 settembre 2008.

Jessica Ingrami

(LucidaMente, anno IV, n 48, dicembre 2009)

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Tags: astensionismobolognaclassi operaiecrescita culturaledestraemarginatofascistafedericafumointrisoitalianapicchettipoliticarumorescuolesessantottosettantasinistrasocietà
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