Cosa succede se mettiamo uno scrittore sardo davanti a un foglio bianco? Potrebbe accadere che scriva di paesi del Dopoguerra inondati di luce e antropologica miseria (di quelle miserie che piacciono tanto ai letterati) o di nuraghi e antiche storie misteriose (questa è la ricetta, con le opportune varianti, del filone neodeleddiano).
Poi tutto può cambiare, può succedere che lo scrittore in questione sia Antonello Ardu e che il golfo degli Angeli, quello di Cagliari, possa nascondere un segreto di portata mondiale…
Un Messerschmitt 109 della Seconda Guerra mondiale inabissatosi nelle acque del porto di Cagliari nel lontano 1944, un piano legato agli ultimi istanti disperati e allucinati di Adolf Hitler… un’arma segreta, un giornalista appassionato di fumetti e un commissario di polizia molto particolare: questi gli ingredienti del thriller Dossier Hoffmann (Aìsara Edizioni, pp. 320, euro 16,00) di Antonello Ardu, scrittore dalla penna fine e dallo stile asciutto e mai noioso, che promette di affascinare i lettori con sorprendente spontaneità in un panorama editoriale spesso fazioso e afflitto dal protagonismo a ogni costo. Abbiamo letto il libro, che in due o tre serate è volato in un soffio, e incontrato l’autore.
La storia è affascinante: un relitto di un aereo risalente alla Seconda Guerra mondiale affonda in mare, non molto lontano dalle acque del porto di Cagliari e da quel momento una verità storica di sconvolgente importanza emerge dalle acque della storia. Una verità, di cui parleremo poco in questo articolo per evitare il reato di spoiler e lasciare viva nel lettore l’emozione della ricerca e della scoperta, che coinvolge non solo tutta la città del golfo degli Angeli, ma anche Adolf Hitler, l’ormai quasi dimenticato Terzo Reich e due personaggi molto speciali, l’investigatore-poliziotto Giorgio Alìas, dalla mente vigile, e un giornalista, Michele Satta, appassionato di fumetti, i quali, ostacolati, preceduti o a volte in concorrenza con i servizi segreti di tutto il mondo, cercheranno di afferrare la verità su una famosa e misconosciuta arma segreta che il Fuhrer della Germania nazionalsocialista avrebbe voluto utilizzare per salvare la propria sorte e il destino del proprio sogno distorto. Abbiamo incontrato l’autore e gli abbiamo rivolto alcune domande per accompagnarci nella lettura del suo libro.
Parliamo dei personaggi, un giornalista appassionato di fumetti e un commissario di polizia: fra le coppie maschili in azione per la scoperta della verità la sua ci sembra quella più originale. Ci racconta questa accoppiata e il suo perché?
«Non potevano che essere loro, un giornalista e un commissario di polizia (il primo appassionato di fumetti, proprio come il sottoscritto, e il secondo espressione di un genere letterario, “il giallo”, che amo e che caratterizza la storia, anche se definirei il libro più come un thriller o, ancor meglio, come un intrigo internazionale) a tentare di sbrogliare l’intricata matassa creata da una serie di indagini parallele e capire quale fosse lo scopo della missione segreta di un caccia tedesco, inabissatosi nelle acque del porto di Cagliari nel lontano 1944. Una vicenda del passato legata ad alcuni fatti di sangue accaduti a bordo di una draga al momento del casuale recupero del relitto, un Messerschmitt 109, avvenuto nel 2006, con i servizi segreti delle maggiori potenze occidentali che tentano di celare a ogni costo il segreto custodito all’interno della carlinga dell’aereo».
La sua narrazione è incalzante, spesso ricca di suspence, a volte lenta e misteriosa. Ce ne può parlare?
«Il ritmo incalzante è stato da me voluto e cercato affinché caratterizzasse la storia del libro per indirizzarla ai lettori amanti del genere. Una cadenza serrata che ho alternato con parti più lente e meditative, soprattutto quelle che andavano a scavare nel passato della famiglia berlinese di Otto Netzer, la figura centrale del romanzo, uno dei progettisti del caccia, la cui nipote, Lily, sessantadue anni dopo la fine della II Guerra mondiale, andrà a dar man forte al giornalista Michele Satta e al commissario Giorgio Alìas nella ricerca di una verità difficile da scoprire».
Quale motivazione la spinge a “narrare” e a creare vicende attorno a tematiche storiche così relativamente vicine storicamente a lei e ai lettori?
«Quella della II Guerra Mondiale è una parte della storia recente che mi ha sempre affascinato. Ciò è dovuto anche al fatto che mio padre è stato aviatore e l’ultima guerra l’ha combattuta in aria, volando a bordo dei Savoia Marchetti. È dalle sue foto in bianco e nero, ritratto in tuta di volo, viste quando ero bambino, e dai suoi rari e reticenti racconti, che è nata la mia passione per gli aerei e per le vicende dell’ultimo conflitto. Vicende che hanno segnato anche la storia recente: basta andare indietro fino alle conferenze di Yalta e Potsdam per capire che la storia è un’insieme di avvenimenti legati gli uni agli altri, senza discontinuità. Nel libro racconto di fatti abbastanza vicini anche per le nuove generazioni, come la nascita del muro di Berlino nel 1961 e la sua caduta avvenuta nel 1989. Insomma Dossier Hoffmann è una rapida carrellata di avvenimenti che si susseguono dal 1925 ai giorni nostri senza che il lettore debba annoiarsi anche solo un attimo».
I suoi protagonisti inseguono una verità nascosta nelle pagine della storia e del tempo, la verità, dunque, come bene supremo da ricercare, il nuovo Graal. Cos’è per lei la verità?
«La storia del libro è incentrata su una missione misteriosa voluta da Hitler nel 1944 e sulle indagini intraprese sessantadue anni dopo dai nostri tre protagonisti che tentano di venire a capo di una verità scomoda, celata, come dice lei, nelle pagine della storia e del tempo. La verità, secondo me, non deve essere un bene supremo da ricercare, tanto meno un Sacro Graal di cui non si ha traccia… tutt’altro, dovrebbe essere uno sforzo quotidiano, continuo, di essere onesti con se stessi e con gli altri, affinché il bene comune prevalga sugli egoismi del singolo. Non a caso ho scelto come personaggio principale un giornalista, una figura professionale che per deontologia dovrebbe sempre raccontare i fatti da un punto di vista neutro, tenendoli ben distinti dalle opinioni. Mi rendo conto che spiegare le notizia, e dunque la verità, spesso richieda uno sforzo non comune, soprattutto se si vive in condizioni in cui molte delle regole fondamentali della democrazia sono state calpestate in nome di una verità sfacciatamente di parte».
La penna (o la tastiera) di Antonello Ardu è coinvolgente, cosa assai rara nel panorama letterario sardo (e in parte anche italiano), non solo per la spontaneità con la quale concepisce situazioni, personaggi e ambienti mentali, ma anche per la serietà tutta sarda con la quale apre alla costa cagliaritana e al territorio sardo i panorami della storia europea. Ardu è uno di quei casi felici in cui la sardità si spoglia dell’ovvietà un po’ banale nella quale viene a volte relegata e si esprime nella modernità di personaggi e situazioni di ampio respiro europeo (nessun nuraghe, nessun trallallero e nessuna femmina accabadora, che a noi piacciono, si intende, ma ogni tanto ci piace anche altro!). Da leggere per due motivi, perché scritto bene e mai noioso e per premiare certa editoria italiana che ancora dà alle stampe ottimi prodotti. Piccoli intellettuali (sardi) crescono, con grande signorilità.
L’immagine: Antonello Ardu (foto di Marco Corda).
Matteo Tuveri
(LM EXTRA n. 21, 15 giugno 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 54, giugno 2010)