Le discriminazioni religiose, già presenti in vita, si ripetono anche nell’aldilà, dove non sembrano cessare le distinzioni, le divergenze, le dispute. Così i luoghi destinati a conservare le spoglie delle persone vengono suddivisi in base al culto e separati in zone diverse
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In una sua famosa poesia l’impareggiabile Totò, pur vantando un’antica discendenza nobile, mostra con fine ironia come l’uscita da questo mondo abbia il potere di porre tutti sullo stesso piano, ricchi e poveri, bianchi e neri, aristocratici e proletari, auspicando tra le righe democrazia ed eguaglianza almeno dopo morti.
’A livella ricorda, in una sorta di manifesto dell’integrazione civile e sociale postuma, che un marchese e uno spazzino, una volta trapassati, piaccia o non piaccia, diventano la stessa cosa. E, allora, perché non dire basta? Conclusa la parentesi mondana, si azzerano le differenze di ceto, di censo, di cultura. Prendiamone atto. Il garbato appello colpisce per la sua naturalezza e in qualche modo commuove, anche se è destinato a cadere in un vuoto di egoismo e vanità. È facile, infatti, osservare che la tomba del marchese si presenterà sontuosa, ricca di marmi, stucchi e ornamenti, mentre quella dello spazzino si confonderà nell’anonimato dei poveracci, dei comuni cittadini senza ricchezze o blasoni.
Constatiamo a malincuore che le distanze si conservano, perseguitandoci anche quando l’abbandono della vita terrena, appunto, ci livella. Ma c’è di più. Alle discriminazioni temporali, già di per sé sgradevolie indici di grettezza morale, si aggiungono quelle religiose, ben più incomprensibili e difficili da giustificare sotto l’aspetto etico. Un vero e proprio apartheid confessionale.
L’addio a questo mondo ci trasferisce in una dimensione universale, sia nell’ipotesi della definitiva scomparsa nel nulla sia nell’eventualità – recepita dai desiderosi di immortalità – di un’esistenza eterna dove non c’è (o non ci dovrebbe essere) posto per divinità diverse che coabitano nei cieli, prendendosi cura ciascuna della propria falange di credenti. Invece troviamo cimiteri esclusivi pensati per ospitare ebrei, islamici, buddisti e, nello stesso ambito della cristianità, esistono camposanti cattolici, protestanti, ortodossi, evangelici, ecc. Evidentemente si pensa che occorra rimanere separati anche nell’aldilà, quasi si avvertisse il pericolo di una contiguità sacrilega, di una contaminazione pericolosa e disdicevole.
Carrozze separate anche nel viaggio per il cielo? Il grande cimitero di Vienna contiene diverse sezioni per accogliere fedeli diogni religione in pietosi ghetti che ignorano l’ecumenismo perentorio della morte, imparziale giustiziera. L’impianto d’oltralpe, come qualche altro così organizzato, rappresenta un compromesso generoso e intelligente: almeno ammette ogni confessione, non pone veti o censure. Nel 1827 a Firenze, per esempio,venne costruito un sepolcreto riservato a protestanti, evangelici e greco-ortodossi, detto “degli inglesi”, ma prima di allora inon cattolici o i non ebrei fiorentini dovevano essere tumulati in un antico camposanto (chiamato allo stesso modo) di Livorno.
Necropoli esclusive per non credenti si trovano in diverse città italiane: situazioni tanto diffuse danno la misura di quanto il cosiddetto “spirito religioso” sia intrinsecamente causa e veicolo di incomprensione, intolleranza e, spesso, odio. Se i motivi di avversione non si placano nemmeno quando giunge l’ora di abbandonare la contesa, cosa dobbiamo pensare? Forse che i defunti continuino a combattersi, a guardarsi in cagnesco, a disputare anche nei pascoli celesti? Un autentico animo devoto dovrebbe esprimere il buon senso del principe Antonio De Curtis e predicare l’eguaglianza definitiva, seria e piena di dignità, di chi non è più. Invece vigono disposizioni, ordinamenti e dogmi che tuttora negano persino la sepoltura in terra consacrata se il defunto era “in peccato mortale” al momento della dipartita, a dimostrazione che pietà, perdono, misericordia e soprattutto rispetto sono ancora, per molti, concetti astratti e di facciata. La discriminazione non conosce scadenza, è dura da estirpare dalle coscienze. Una forbice spietata!
Attualmente, in Italia, si stanno moltiplicando localmente iniziative volte a ottenere nei cimiteri spazi appositi per donne e uomini di culti diversi: occorreranno disposizioni allo scopo e comunque si tratterà solo di un primo passo verso un vero e profondo ecumenismo post mortem: un positivo ma non risolutivo avvicinamento. Bisognerà pure, un giorno, abolire tali assurde frontiere che offendono la dignità della persona. Vero è che alcune difficoltà derivano dagli stessi fedeli, ligi alle regole imposte dal loro credo, gelosi di tradizioni secolari o millenarie fondate su una fantomatica, risibile purezza da difendere contro ogni tipo di contaminazione.
I musulmani, per esempio, hanno l’esigenza di essere sepolti con la testa in direzione di La Mecca e ciò può comportare difficoltà logistiche. Sta di fatto, però, che un superiore criterio di umanità dovrebbe rimuovere simili ostacoli se davvero costituisse – come dovrebbe, secondo la logica di partenza – l’essenza di ogni credo. Purtroppo la distanza tra la comunione con il divino, costantemente ricercata dalle confessioni, e la condotta pratica degli uomini, ove prospera l’intransigenza dogmatica, non sembra affatto ridursi. Il sogno di una raggiunta fratellanza, almeno quando si sono spente le luci e tacitate le voci, appare ancora lontanissimo. Il paradosso, poi, è che a nutrire tale desiderio siano i non credenti, proprio coloro che una critica superficiale e distorta accusa di materialismo, aridità d’animo o addirittura rozza blasfemia.
Nando Tonon – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno IX, n. 99, marzo 2014)
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