Tra professionalità e volontariato, all’interno dell’Istituto penale minorile del Pratello di Bologna l’arte è stata scelta come veicolo per comunicare, educare, svagare e lavorare con e per i ragazzi reclusi. “Il teatro è in crisi. Sopravvivono coloro che si sono sporcati le mani in realtà marginali. Le persone che ho incontrato nell’Istituto minorile possiedono necessità e risorse di cui gli attori professionisti oggigiorno sono carenti”.
Queste le parole utilizzate da Paolo Billi, regista teatrale e socio della cooperativa sociale Teatro del Pratello, per spiegarci le sue motivazioni legate al lavoro con il penitenziario.
Perché l’arte in carcere?
L’associazione “Uva passa”, etichetta che evoca “un frutto appassito, non di bell’aspetto, da cui tuttavia si può ricavare un buon vino e con cui si possono cucinare ottimi dolci”, come ci spiega Antonio Viola, volontario della stessa, nasce sulle orme di un’esperienza già presente al minorile e gestita dai padri dehoniani. A suo tempo il loro primo obiettivo è stato quello di riempire gli spazi vuoti dei ragazzi, i fine settimana, le festività e l’estate, portando loro laboratori artistici, attività sportive per le quali si coordinano tuttora con la Uisp e organizzando funzioni religiose, coerentemente alla loro matrice cattolica.
Terra verde è un’associazione composta da artigiani e professionalità e culture differenti, che nasce per rivitalizzare aree degradate di Bologna, coinvolgendo i suoi abitanti. Si è sempre dedicata all’inserimento lavorativo di giovani adulti attraverso i suoi corsi di artigianato, che dal 2000 attua anche all’istituto minorile.
Le attività artistiche
Ceramica, mosaico, carta pesta, pittura e falegnameria sono le proposte di Terra verde al penitenziario. Se da un lato questi laboratori riqualificano gli spazi del carcere, migliorando anche la qualità di vita dei ragazzi all’interno dello stesso, dall’altro gli oggetti e manufatti prodotti vengono venduti nel negozio “Lavorare stanca”, gestito con la collaborazione di Uva passa, permettendo loro un piccolo guadagno. Negli anni alcuni progetti della Onlus, svolti in parallelo tra licei artistici e minorile, hanno permesso ai ragazzi reclusi di ragionare su temi come l’incontro, l’accoglienza, la conoscenza, il tempo, ed esplicitarli non solo a parole, ma anche attraverso l’arte.
“Basta con i gabbiani che volano dietro le sbarre, basta con le stereotipie! Io non lavoro con le biografie dei detenuti. Io presento loro un progetto articolato con metodologie precise per creare uno spettacolo con standard professionali”. Tali parole di Billi ben si comprendono se si pensa che la cooperativa sociale Teatro del Pratello assume a tempo determinato, con un contratto di “allievo attore”, i ragazzi che si cimentano nei laboratori manuali, che, peraltro, sono condotti da tecnici specializzati. Corsi di sartoria, attrezzeria, illuminotecnica finalizzati a creare prodotti che verranno utilizzati nello spettacolo finale. Inoltre, accanto ai laboratori dedicati alla voce e al movimento, ci sono quelli video e di scrittura, quest’ultima necessaria per il copione, in quanto sono previsti fin dall’inizio moduli da riempire con gli scritti dei minori.
I ragazzi, i volontari e i professionisti: tre figure a confronto
Nessuno domanda ai detenuti quale reato abbiano commesso: non interessa ai fini delle attività che vengono proposte. Nel momento in cui partecipano ai laboratori diventano solo attori, falegnami, artigiani. Nessuno dei volontari si erige a educatore, tuttavia “si alternano i momenti di conversazione a quelli artistici per risolvere un problema legato a un processo, a un colloquio con la famiglia andato male, che provocano rabbia e poca concentrazione nel ragazzo”, racconta Francesca Rimbaldi, responsabile dei progetti nel minorile per l’associazione Terra verde.
Billi a tal proposito ci dice: “Io faccio solo teatro. Non sono, né voglio essere, un operatore sociale, un educatore, uno psicologo… Il mio fare non serve a nulla. Il teatro ha la sua forza a livello di esperienza, nel fatto che è gratuito. In un contesto nel quale tutto è finalizzato al recupero, all’educazione, io mi pongo come granello di sabbia che afferma che io non servo all’istituzione carcere perché ho poca fiducia in essa”. E conclude il discorso sostenendo che oggi il volontariato è intaccato perché il penitenziario lo utilizza per sopperire alle sue mancanze.
Viola sottolinea, comunque, l’importanza di tale esperienza per coloro che si avvicinano a questo mondo, come occasione che mette alla prova i propri limiti e la presunzione di essere utili a qualcuno, rendendo più consapevoli di fronte a problemi quotidiani concreti.
Un ponte tra “dentro” e “fuori”
Le associazioni di volontariato insistono molto sul fatto di essere un collegamento tra il carcere e il mondo esterno: si impegnano a portare ragazzi coetanei di quelli detenuti all’interno del penitenziario per permettere loro di conoscere una realtà tanto stereotipata e di ragionare sul senso della giustizia e del perdono. I giovani detenuti, d’altro canto, hanno la possibilità di confrontarsi con essi, scambiare idee e opinioni.
Anche il negozio “Lavorare stanca”, dove si vendono i prodotti da loro confezionati, è un tramite con il “fuori”: accompagnati da volontari di Uva passa, i ragazzi hanno un’occasione per trascorrere alcune ore vendendo i propri manufatti, stando a contatto con i passanti e gli acquirenti.
“Il ponte – commenta Paolo Billi – crea un movimento vitale. Nel mio piccolo, nelle due settimane in cui presento lo spettacolo al pubblico, c’è un passaggio di circa milletrecento persone all’interno dell’istituto penale”.
La struttura e il “dopo”
La complessità di lavorare dentro un’istituzione coercitiva è dimostrata dal fatto che diventa difficile persino far uscire un mappamondo tridimensionale creato in un laboratorio dai ragazzi detenuti o lavorare in gruppo, poiché il penitenziario ha sempre privilegiato il lavoro individualizzato. E si può essere accusati di fomentare il narcisismo dei minori, come ci dice Billi, anche perché si cerca di pretendere da loro, invece di considerarli dei “poverini” da compatire,.
Al contrario alle istituzioni sembrano sfuggire i paradossi del carcere minorile: vengono inseriti nel mondo lavorativo mentre sono “dentro”, grazie a borse lavoro e, quando escono, invece, non vengono fatte loro proposte concrete.
Uva passa sta cercando di ovviare a questo problema organizzando per il futuro, per coloro che sono “non accompagnati”, una rete di famiglie che sia disposta ad appoggiare psicologicamente ed economicamente i ragazzi, senza che essi vivano necessariamente presso di esse.
L’immagine: foto scattata dall’Associazione Terra verde durante uno dei laboratori artigianali all’interno dell’Istituto penale minorile del Pratello.
Francesca Gavio
(LM BO n. 4, 15 luglio 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 43, 1 luglio 2009)