Un paradiso fiscale “off shore” dentro le mura di Roma
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L’Istituto per le Opere di Religione (Ior) è l’unico Ente, se si esclude l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), che può essere definito “istituzione finanziaria” dello Stato del Vaticano. Ha personalità giuridica propria e sede nella Città del Vaticano dove, nel famoso torrione Niccolò V, si trova l’unico sportello bancario. Come per le banche svizzere, il suo punto di forza risiede nell’inossidabile segreto bancario: le richieste di rogatorie sono state quasi sempre disattese; gli impiegati e i dirigenti non possono essere intercettati, interrogati, giudicati o arrestati.
Non c’è praticamente inchiesta di natura finanziaria di una certa importanza in cui lo Ior non sia stato coinvolto, come confermato anche dall’archivio Dardozzi rivelato dal giornalista Gianluigi Nuzzi (vedi L’opacità dei rapporti tra potere vaticano e stato italiano): l’inquietante triade Sindona-Calvi-Marcinkus (tra mafia, speculazioni finanziarie ed enormi flussi di denaro illegali) il Credito valtellinese, il Monte Paschi di Siena e fors’anche le dimissioni del papa. Pur risalendo al 1887, la sua nascita effettiva risale al 1929, quando, per risarcire i danni derivanti dall’esproprio di beni immobili, lo Stato italiano versò alla Santa Sede una cifra enorme che il banchiere laico Bernardino Nogara investì in diversi rilevanti settori dell’economia italiana. Dall’ultimo Statuto (1990) risulta che il suo scopo è «provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti od affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di carità» (art. 2).
La gestione è affidata alla Commissione cardinalizia, al Consiglio di Sovrintendenza (una sorta di consiglio di amministrazione), alla Direzione generale e ai revisori, sul modello delle società di capitale. All’inizio del 2011, lo stesso Stato vaticano ha presentato una richiesta di valutazione al Consiglio d’Europa che, tramite la divisione Moneyval, si occupa di assicurare l’esistenza di «efficaci sistemi di contrasto del finanziamento al terrorismo e del riciclaggio di denaro». Dal relativo report risulta che il papa ha la disponibilità di un conto di 55 milioni di euro per il perseguimento della sua “universale missione” e che, a novembre 2011, i 104 impiegati dello Ior hanno gestito 6,3 miliardi di euro di 20.772 clienti (par. 124) con 33.404 conti correnti.
Dal primo esame, è emerso che lo Ior non rispetta ben 7 delle 16 principali raccomandazioni che garantiscono una completa e fattiva trasparenza finanziaria e soprattutto è stato rilevato un evidente difetto di vigilanza dell’Autorità di informazione finanziaria. Non molto tempo fa, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato: «Gli italiani hanno bisogno della verità delle cose: senza sconti, senza tragedie, ma anche senza illusioni». Ci aspetteremmo lo stesso rigore e la stessa attenzione anche per lo Ior, senza farci illusioni ma con la stessa identica convinzione che gli italiani hanno bisogno di conoscere la “verità delle cose”.
Giuseppe Savarino – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 90, giugno 2013)
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