Massimo Martelli porta sul grande schermo il best-seller dello scrittore bolognese: rispetto al libro, meno ritmo e più poesia… e la Luisona è un bignè
Era apparsa da subito una sfida difficile, portare sullo schermo la comicità grottesca e surreale di Bar Sport, classico dell’umorismo di Stefano Benni, pubblicato nel 1976 da Feltrinelli, libro cult delle generazioni anni ’70 e ’80 e amato anche dai più giovani. L’esperimento del regista bolognese Massimo Martelli, presentato il 21 ottobre in anteprima a Bologna al cinema Odeon, appare nel complesso riuscito, anche grazie a un valido cast, in cui figurano, tra gli altri, Claudio Amendola, Giuseppe Battiston, Claudio Bisio, Antonio Catania, Antonio Cornacchione, Angela Finocchiaro, Lunetta Savino, Teo Teocoli e la giovane e bellissima debuttante Aura Rolenzetti.
Il Bar Sport è un luogo ormai datato, risale a quando c’erano i flipper, i juke box e la pesca dei “boeri”, cioccolatini al liquore. La commedia umana che si avvicenda al suo interno è invece più che mai attuale. Questa è la forza del film, così come del libro. I personaggi di Benni ci sono tutti, o quasi: il barista Antonio, detto Onassis per la sua tirchieria; il tecnico, ovvero “tennico” da bar, moderno tuttologo, esperto, o sedicente tale, di calcio come di ogni argomento dello scibile; il nonno da bar con le sue fragorose scatarrate; la prostituta Elvira, detta “lire tremila”, che succhia un gelato per tenersi in allenamento; la cassiera sexy che si innamora del fornaio; il playboy che millanta conquiste inesistenti; il “cinno” da bar con la sua inseparabile bicicletta, e tanti altri.
Particolarmente felici sono alcuni espedienti narrativi, quali l’utilizzo dei bellissimi cartoni animati di Giuseppe Maurizio Laganà, capaci di tradurre in immagini i racconti surreali e rocamboleschi sul calciatore Piva e il ciclista Pozzi, oltre ad alcune soluzioni digitali come la pattuglia acrobatica delle zanzare, che consentono di salvaguardare il testo di Benni sotto forma di voce narrante. Ed è innegabile che, dove il romanzo è citato letteralmente, il livello della sceneggiatura si alza. Nel complesso, l’esigenza cinematografica di costruire una parvenza di trama, mentre il libro si sviluppa invece per episodi e tende a rappresentare tipi umani più che veri e propri personaggi, porta a un prodotto diverso dal romanzo, ma comunque piacevole, che si può collocare tra l’ironia di Amici miei di Mario Monicelli, pur se meno feroce, e la malinconia de Gli amici del Bar Margherita di Pupi Avati.
Il divertimento c’è, anche se a fasi alterne. Tenere il ritmo scoppiettante del libro è impossibile, e qualche momento di stanca risulta inevitabile. Emerge però nel film, e viene in aiuto al risultato complessivo, una certa poesia che manca invece al libro, uno sguardo meno sarcastico e più umano sui personaggi, specie per quanto riguarda l’amicizia tra il barista Battiston e il tennico Bisio. Interessanti anche le due vecchiette, cui Benni dedicava solo poche righe, le spassosissime e invecchiate ad arte Lunetta Savino e Angela Finocchiaro, che stanno in un angolo del bar, caustiche e cadenti, a sentenziare su chi si sposa, chi scappa e chi muore. Nel complesso i personaggi, o almeno alcuni di loro, da macchiette diventano persone, l’accumulo di episodi diventa la storia di un gruppo di amici bolognesi, ma questo non è certo un difetto.
Non può mancare poi la Luisona, la decana delle paste, che si trovava nella bacheca del bar dal 1959, descritta da Benni come «una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che da sola contraddistingue la pasta veramente cattiva», e che qui diventa un grosso bignè dall’aspetto tutto sommato appetitoso, con crema, copertura di glassa al cioccolato e decorazione in panna montata con ciliegina finale. Alla domanda sul perché di questa rappresentazione il regista risponde, sorridendo: «La Luisona è una mammella». E per sapere chi è il malcapitato avventore che la mangerà, non resta che andare al cinema…
L’immagine: La locandina di Bar Sport.
Viviana Viviani
(LucidaMente, anno VI, n. 71, novembre 2011)