Intervista ad Antonino Barresi, ideatore del collettivo bolognese, su Lucania, Berlino, Enzo Avitabile, Roberto Freak Antoni e, soprattutto, la musica
Barresi Project è un collettivo musicale nato a Bologna nel 2010 dall’idea di Antonino Barresi, musicista lucano, e polistrumentista (flauto traverso, chitarra, ciaramella, tamburello). Insieme a un ensemble eterogeneo di più di trenta musicisti ha saputo creare un giusto mezzo di world sound, tecnho, e folk-jazz. Due album: il primo, Discrasie (2011) prodotto da Teorema edizioni; il secondo, DNA (2013) coprodotto da Teorema edizioni e Materiali musicali, distribuito da CNI Music, in Italia e all’estero. In attesa del terzo album, e in piena tournée estiva, abbiamo incontrato Antonino per una chiacchierata sulla sua brillante avventura musicale e i progetti futuri.
Antonino Barresi, partiamo dalle basi. Per lei, cos’è la world music?
«Per world music anzitutto intendo l’etnia, l’espressione, la capacità di ogni popolo di presentare la propria cultura, la propria identità sociale attraverso il suono. È la tradizione di ogni popolo che incontra se stessa e le altre civiltà con cui dialoga. Quindi world music è dialogo fra tradizioni provenienti da tutte le parti del mondo. È la più grande famiglia musicale che in questo momento si può vantare, dal punto di vista del genere».
La Lucania. La sua terra d’origine. Cosa ha messo in valigia quando è partito per svolgere il suo mestiere di musicista via da casa?
«Un musicista ha l’obbligo di rifarsi alle proprie radici. Quel famoso detto che “non puoi andare lontano se non sai da dove vieni”? Ecco, nella musica diventa una legge assoluta. Della mia terra ho portato avanti il discorso sociale, i suoni che ho assorbito fin da piccolo, gli echi della mia tradizione: la musica popolare lucana, che si rifà alla cultura del Mediterraneo. Io, più che portarmi la Basilicata, a Bologna ho cercato di portarmi il Mediterraneo».
Berlino. Una tappa della sua vita da artista. Quanto è stata importante per lei l’esperienza in una grande metropoli europea nell’ideazione di questo progetto?
«Berlino è una grande capitale dell’innovazione tecnologica musicale. Per me è stata un po’ come il famoso “richiamo della foresta”: volevo integrare a tutti i costi il mio sound popolare con l’electro music. E lì ho avuto la possibilità di mettere a frutto questo sogno con musicisti che facevano ricerca, come me. All’epoca cominciai a suonare il mio flauto traverso con alcuni deejay di Berlino, alle loro feste, e poi mi misi a registrare i dischi, sempre in compagnia del mio flauto. Ci fu, con molti artisti berlinesi, un’unione d’intenti: io volevo sperimentare il mio strumento nell’ambito dell’avanguardia; loro avevano bisogno di creare un diversivo al loro genere techno codificato».
Barresi Project. Come è nato?
«Il Barresi Project nasce da un’idea solista. Porta il mio nome perché sono autore del testo e delle musiche. Testo e musiche hanno avuto poi l’onore di essere “lavorati” da tantissimi artisti di Bologna. I primi con cui ho cominciato a collaborare, poi membri fondatori insieme a me, sono stati DJ Detox (scratch e produzione) e Alex Trebo (sintetizzatori e arrangiamenti). Nell’arco degli anni siamo diventati un collettivo di più di trenta strumentisti. Abbiamo così trasformato il Barresi Project da un piano di composizione più personale a un collettivo di ricerca aperto a tante contaminazioni esterne. I nostri dischi danno l’idea di questa collaborazione, e di questa continua ricerca condivisa».
Enzo Avitabile. Ci parli un po’ della sua collaborazione musicale con questo grande artista.
«Ho aperto alcuni concerti di Avitabile. È un punto di riferimento musicale: un esempio per tutti quelli che in Italia vogliono fare world music, e desiderano imparare a rendere il proprio linguaggio popolare fruibile anche a chi non intende il dialetto. Con il suo sound ha fatto capire come il linguaggio napoletano non è solo campano e dei campani, ma fa parte, ripeto, della grande famiglia del Mediterraneo».
Roberto Freak Antoni, frontman di una delle più importanti band italiane di fine anni Settanta, gli Skiantos. Cosa le ha trasmesso questo originale personaggio bolognese, purtroppo scomparso cinque anni fa?
«Freak è stato per me una sorta di padre spirituale. Uno di quei famosi “maestri invisibili”, che poi rimangono: Freak ancora oggi è sul palco, insieme a me. Ci siamo conosciuti ancor prima che esistesse il Barresi Project, quando seguivo un altro progetto musicale che si chiamava CHANDRA. Frequentavamo gli stessi club musicali a Bologna. Sembra assurdo, ma ci siamo incontrati bukowskianamente al bancone di un bar. Così, a parlare di musica. Siamo diventati amici. Mi ha spinto verso la svolta: io volevo provare un progetto nuovo e Freak insistette tantissimo perché ci “mettessi la faccia”. Mi aiutò a credere ancora di più in me stesso, e nelle mie capacità. E insieme scrivemmo il brano che sarebbe diventato il primo dei Barresi, Se pur non altera coscienza. Lui era il cantante degli Skiantos e aveva molti altri progetti collaterali. Era un vulcano di energia; poteva fare qualsiasi cosa un genio come quello».
2010-2019. In questo lasso di tempo, Barresi Project ha prodotto due album. Lavori tutti contrassegnati da una grande ricerca musicale. Qual è il filo conduttore di questa ricerca?
«Discrasie è uscito nel 2011. Per discrasia s’intende proprio l’alterazione sviluppata dagli altri musicisti sulle mie composizioni. Una specie di ricerca verso l’esterno: una richiesta di stimoli, un “assumere” energie musicali dai miei collaboratori. DNA è il secondo disco distribuito dalla CNI in Italia e all’estero: questa volta, una ricerca nel mio interno e all’interno della mente dei musicisti che suonano con me».
“Dynamo”. Questo è il nome del terzo album, che uscirà a breve. Qualche anticipazione?
«Con Dynamo l’obiettivo sarà di creare un nuovo genere, che io individuo nel termine elethno. È l’incontro tra musica elettronica da una parte, e la ethno music, che è anche world sound. Quindi una versione postfuturistica della world music che in questo momento mi fa gola, mi dà l’input per continuare a fare dischi nuovi. Speriamo vi piaccia. Questo disco, con i due precedenti, va a chiudere una trilogia. Rappresenterà un po’ la chiusura del cerchio, la soluzione finale di quella dinamica tra discrasia esterna e dna interno: realizzeremo una dinamo appunto, un motore propulsore, una scintilla verso nuove frontiere musicali. Lascerò dire a voi quanto questa ricerca debba ancora continuare; lo lascerò dire al pubblico».
Un consiglio. Cosa vorrebbe dire a tutti quei ragazzi che sognano di fare musica per mestiere?
«Consiglio di prepararsi. La musica ti dà il dono, o non te lo dà. Non tutti possono fare musica; ma la musica è di tutti. Per essere un suo “sacerdote” devi sentire quella “vocazione”. Il primo consiglio è dunque: studiare tantissimo. Secondo: esprimetevi, fate brani originali. Terzo: valutate. Il percorso musicale è faticoso. Affrontatelo nel vero senso della parola; non pensate che la musica sia una passeggiata, come vogliono far credere i talent televisivi. Devi prepararti, devi crederci, devi fare musica originale per diventare un musicista, per sempre. La professionalità fa parte del futuro della musica».
LucidaMente si è occupata di altre realtà bolognesi legate alla world music; in variante Swing-Jazz e “romagnola”.
Le immagini: la band in azione e le copertine di Discrasie (2011) e di DNA (2013).
Lorenza Cianci
(LucidaMente, anno XIV, n. 164, agosto 2019)