Affascinante e sorprendente il nuovo album di inediti (“L’AB”, La Tempesta Dischi) dell’artista maceratese, di recente aggregata alla band di Vasco Rossi
Come riportato da RollingStone lo scorso 24 marzo, Beatrice Antolini è balzata agli onori delle cronache allorquando Vasco Rossi «ha bruciato tutti i lanci stampa con un suo classico post su Facebook in cui annunciava il cambio di line-up della sua band con appunto l’ingresso della polistrumentista».
In effetti, la trentacinquenne artista maceratese trapiantata a Bologna, nonché concertista girovaga per il mondo, ha come sue principali caratteristiche l’estremo eclettismo e la poliedricità. Nel suo nuovo album di inediti L’AB, uscito a metà febbraio per La Tempesta Dischi, oltre a scrivere i testi e le musiche, e a cantarli, ha suonato gli strumenti presenti (chitarra, basso, batteria, percussioni, synth, piano e programmazioni elettroniche) e arrangiato, prodotto, registrato e mixato tutte le nove tracce. Un fenomeno! Tuttavia, ciò che maggiormente colpisce nei brani di questo nuovo lavoro di Beatrice è la forza di musiche e parole. L’AB è un concept album che intende analizzare spietatamente il periodo storico che stiamo vivendo. Non può quindi mancare la polemica culturale e sociale. A tal punto da farci ricordare, anche in alcune asprezze vocali, la tedesca Dagmar Krause negli Henry Cow/Slapp Happy.
Così come l’ironia e i toni quasi sarcastici ci riportano, come del resto il celebre gruppo avant progressive inglese, a Brecht-Weil e ai loro vari epigoni quali Dresden Dolls. E, tuttavia, la Antolini è solo se stessa. Di più: ogni composizione è diversa dalle altre, con l’aggiunta/sottrazione di sfumature, intensità, altezze, modulazioni, ritmi, influenze musicali sempre nuovi. L’artista compie una spietata critica di un mondo nel quale armonia e silenzio sono proibiti, dell’impossibilità di vivere pienamente la propria vita, tanto da augurarsi una seconda vita o una vita parallela, che, però, potrebbe esser anch’essa finta (Second Life). E, ancora, il vuoto (Total Blank), che forse causa la depressione oggi imperante.
O il bellissimo niente (Beautiful Nothing) che percepiamo dopo una giornata quasi mai appagante, come tutte le altre precedenti e che verranno. La soluzione è insita nel primo componimento del disco, Insilence, perché, come spiega la stessa autrice nelle sue note al disco: «Il silenzio inteso come uno stato di calma, di grazia e di consapevolezza. Un modo per difendere il proprio Io. Un modo per non cadere nella meccanicità e nell’adeguarsi per forza ad un modo di fare e di vivere che a volte non mi rappresenta. Non è un’esclusione ma piuttosto una sopravvivenza senza dover per forza fare gli eremiti, all’interno di questa società ma senza farsi mangiare, senza rinunciare alla propria verità e cercando di essere veramente autentici. Senza dover essere come gli altri per venire apprezzati. Senza dover riempire il tempo di un bellissimo niente. La bellezza del mondo è già dentro ognuno di noi».
Tuttavia, al di là del messaggio inviato, ciò che affascina e sorprende in Beatrice è la varietà sonora del suo lavoro, la maestria nel gestire soluzioni sempre diversificate, la qualità musicale, la duttilità della sua voce. L’ascoltatore colto e attento non potrà che rimanerne ammirato, lasciandosi ammaliare da un’esplosione sempre ben controllata di colori e prodigi, ma anche da infinitesimali ed eleganti interstizi, da incroci e sferiche vibrazioni, da sottofondi dolenti e amari controcanti: un’ininterrotta mormorazione – a volte ghigno o sberleffo – contro il devastante mondo contemporaneo. Oltre che restare a bocca (e orecchie) spalancate sull’abilità tecnica della polistrumentista. Non si può che concludere dicendo: “Ottima scelta, Vasco!”.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIII, n. 148, aprile 2018)