Il discorso di insediamento aveva già conquistato tutti: poi, 29 trofei, fino alla recente cessione
Quando nel 1986 Silvio Berlusconi si presentava al mondo rossonero, e non solo, con quelle parole cariche di ottimismo e sfumature da sognatore aveva già colpito e conquistato tutti. Intanto, dall’altra parte del Naviglio e dell’Italia, sorridevano all’udire quel discorso apparentemente più politico che sportivo, senza cogliere nel profondo il senso di quel messaggio e, soprattutto, del personaggio.
Oggi, quell’uomo, è semplicemente il presidente più vincente di tutti i tempi nella storia del calcio. Il Grande Milan di Berlusconi analizza la cronologia fondamentale di 31 anni di successi. Gli ultimi dieci, con soli tre trofei, hanno rovinato una media altrimenti “imbarazzante”, che ha visto il Cavaliere di Arcore arricchire la propria bacheca di 26 trofei in appena 21 anni. Dal 2007 in poi solo uno scudetto e due supercoppe italiane, l’ultima delle quali ha rappresentato il titolo conclusivo del grande Milan dell’era berlusconiana, giunto a dicembre a Doha, in Qatar, nel match vinto ai rigori contro la Juventus. Quel messaggio di benvenuto oggi appare come una profezia, l’idea di un uomo che ben oltre le vittorie aspirava a un modello di gioco e di presidenza mai visto prima.
Un visionario utopistico, che ha invece reso reali tutti i suoi sogni: quello di rendere il Milan uno dei club più titolati al mondo, con i giocatori più talentuosi del pianeta, senza necessariamente gli allenatori migliori del mondo. Perché il grande Milan è partito da un allenatore sconosciuto, Arrigo Sacchi, per poi proseguire con Fabio Capello, altrettanto poco referenziato come tecnico, dopo una grande carriera da calciatore. La storia proseguirà con l’outsider Alberto Zaccheroni fino a Carlo Ancelotti, eterno secondo alla Juventus e divenuto leggenda in rossonero.
Dietro queste scelte spesso impopolari c’è anche tutto il narcisismo ed egocentrismo di Silvio Berlusconi (vedi anche Berlusconi e il disturbo vincente. Intervista allo psichiatra Luigi Cancrini), che non ha fatto mancare ripetute interferenze di carattere tecnico e tattico. Consigli – tanto per chiamarli generosamente così – che ha spesso strategicamente dispensato attraverso i media, suo pane quotidiano: perché lui di calcio ne mastica, eccome, e non ha mai mancato di ripeterlo. Questa una delle tante peculiarità di un presidente che mai si era visto prima nel mondo del calcio. Gli otto scudetti e le cinque Champions League sono quasi marginali rispetto a ciò che l’ex n.1 del Milan ha portato nel calcio.
L’idea che a contare non fossero solo i risultati, che una società di calcio potesse essere traino di campagne che andassero al di là del pallone, che potesse rappresentare una leva per campagne elettorali, puntualmente vinte. L’idea che l’immagine della società fosse la più grande vittoria, a 360°. In sintesi, ha saputo monetizzare tutto questo ricavando una cifra fuori mercato per la cessione di un Milan lontano anni luce da ciò che di glorioso era sino a una decade fa. Su questo, oggettivamente e da qualsivoglia angolo sportivo e politico si guardi, Berlusconi è stato un n. 1: per capacità imprenditoriali, strategiche e comunicative.
Carmela Carnevale
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)