Attivista da trentotto anni, è stata deputato, presidente del Wwf, di Legambiente, e, dal 19 luglio 2008, è la portavoce della Federazione nazionale dei Verdi: a lei, Grazia Francescato, è affidato il compito, difficile e delicato, di rifondare il partito dopo la sconfitta alle elezioni politiche del 2008. L’abbiamo incontrata, in occasione della Festa dei Verdi, organizzata in Calabria, tra Rose, Cassano allo Ionio, Trebisacce, Corigliano Calabro e Roseto Capo Spulico.
Gentile, disponibile e autenticamente appassionata delle tematiche che, con serietà e rigore, porta avanti, Grazia Francescato ci ha lungamente parlato dei problemi dell’ambiente e delle prospettive future.
Riferendosi alla nuova direzione che intraprenderà la Federazione nazionale dei Verdi, lei ha dichiarato: “Dobbiamo uscire dal partito (attraverso una rete di movimenti ambientalisti, ndr) sennò dentro si soffoca, dobbiamo recuperare il senso del noi e il contatto con la realtà”. Non crede che questa scelta possa creare spaccature e frammentazioni all’interno della Federazione?
No. Io, tra l’altro, conosco molto bene la realtà dei movimenti: sono stata presidente del Wwf e di Legambiente. Conosco le realtà sul territorio. Con la mia dichiarazione volevo sottolineare che quando c’è una crisi, quando si riceve un colpo come quello ricevuto il 14 aprile 2008, o si riesce a far tesoro della lezione ricevuta, trasformando il trauma in catarsi e in rinnovamento, oppure si affonda definitivamente. E’ il momento di dirsi le verità scomode: noi Verdi abbiamo un pensiero forte. Abbiamo una visione del mondo molto solida e ben articolata. Però, c’è un lato debole di questo pensiero forte e siamo proprio noi stessi. Negli ultimi anni siamo stati troppo dentro ai Palazzi, alle istituzioni, e, pur essendo quelli i luoghi nei quali bisognava stare per raggiungere i nostri obiettivi, abbiamo finito per perdere il contatto con la realtà vera, quella fuori dai Palazzi. Io mi considero, più che altro, dopo trentotto anni di ambientalismo, un’antenna sul territorio, una persona che gira per capire i problemi del territorio. Perché le lettere, le telefonate, le relazioni non riescono a dare la misura della realtà. Bisogna uscire, andare sui luoghi, sentire gli odori, camminare, avere un contatto fisico con i luoghi. Bisogna parlare con le persone, vedere con i propri occhi e, soprattutto, ascoltare la gente.
Il nuovo corso dei Verdi è quindi rappresentato da un contatto più diretto con i cittadini?
Sì. Secondo me è importantissimo che i Verdi ricomincino, con umiltà, dal territorio. E sul territorio è fondamentale il contatto con i movimenti e i comitati dei cittadini. Voglio sottolineare che oggi, in tutta Italia, il 90% per cento dei comitati, dei gruppi, dei movimenti che si formano nel Paese hanno a cuore problemi ambientali: i rifiuti, le battaglie contro le turbogas, contro le centrali nucleari. Ciò che si muove sul territorio italiano, anche dal punto di vista culturale, quasi sempre ha a che fare con l’ambiente. Per questo motivo bisognerebbe smettere di guardare all’ambiente come se fosse una questione a parte, aggiuntiva, che si può prendere in considerazione a periodi alterni.
È possibile trovare un equilibrio tra economia ed ecologia?
Certo. Bisogna collegare sempre di più l’ambiente all’economia e alla società. La dimensione economica e quella sociale si possono collegare a quella ambientale. Faccio un esempio chiarissimo che riguarda l’occupazione: il lavoro è un grandissimo problema, e diventa sempre più importante averne uno dignitoso. Noi Verdi abbiamo già contribuito a dare all’Italia 344.000 posti di lavoro. Se consideriamo le persone che lavorano nei parchi, quelle che si occupano di turismo sostenibile, quelle che lavorano con le erboristerie e con le medicine non convenzionali (noi siamo stati i primi, e gli unici, a sostenerli) e quelle che lavorano nelle bonifiche dall’inquinamento, ci rendiamo conto del numero elevato di persone impiegate nel campo ambientale. Negli ultimi tempi, stiamo facendo un calcolo, settore per settore, di quanti posti di lavoro abbiamo già contribuito a produrre, e di quanti potranno essercene in futuro. Questa è una maniera molto concreta e utile, anche alla società, di coniugare economia ed ecologia. Io dico sempre, parafrasando Manzoni alla rovescia, che il matrimonio tra ecologia ed economia “s’ha da fare”.
Ha visto il documentario con Al Gore, Una scomoda verità?
Certamente. L’ho presentato molte volte in giro per l’Italia. Ho incontrato la prima volta Al Gore ad Austin. Mia sorella Donata è una psicologa, e insegna Psicologia all’università. All’epoca si era appena sposata con un texano, e lavoravano all’Università di Houston. Io andai a trovarli e loro mi portarono nell’università vicina, ad Austin appunto, dove c’era questo ragazzo, Al Gore, che era un giovane attivista ambientalista, insieme ad altri giovani ecologisti, che poi sarebbero diventati personalità importanti nel campo scientifico e politico. All’epoca non avrei mai pensato che Gore sarebbe diventato il vicepresidente degli Stati Uniti. Ma quello che mi preme dire è che lui è genuinamente interessato all’ambiente: sono temi che lo infervoravano già da quando era un giovane sconosciuto ad Austin. E’ un vero ambientalista. E da vicepresidente, anche se non ha avuto molto successo, ha sempre cercato di favorire politiche che legassero l’economia all’ecologia.
Nel documentario, Al Gore si sofferma sugli effetti del cambiamento climatico nel mondo…
Il cambiamento climatico è un grande banco di prova, perché ci toccherà fare delle cose che mai più avremmo pensato di fare. Noi ambientalisti, da trent’anni, sosteniamo che bisogna cambiare l’assetto energetico, abbandonando l’utilizzo di combustibili fossili, come il petrolio e il carbone, in favore di una maggiore efficienza energetica e delle famose energie rinnovabili. Beh, se saremo costretti a farlo, sarà per fronteggiare il cambiamento del clima, che è un problema molto pressante. E infatti, nell’ambito della nuova strategia europea sull’energia, lanciata dalla Commissione di Bruxelles, l’Unione Europea si impegnerà a ridurre le proprie emissioni di almeno il 20%; a incrementare del 20% l’efficienza energetica, puntando, entro il 2020, sull’utilizzo di energie rinnovabili, fino al 20% del fabbisogno europeo. E questi sono obiettivi piuttosto ridotti e poco ambiziosi.
Che tipo di atteggiamento stanno assumendo gli altri Paesi nel mondo?
L’anno scorso sono stata alla Conferenza di Bali, in rappresentanza del Parlamento italiano, e, durante la conferenza, persino la delegazione americana ha dovuto ammettere che era tempo di agire drasticamente per salvare l’ambiente, perché non si poteva più rimandare la questione. L’aspetto che mi ha maggiormente colpito è che sono state le delegazioni delle piccole isole a chiedere, con forza, un’azione planetaria sul cambiamento climatico, e questo perché Stati come le isole Samoa o le Maldive già si accorgono degli stravolgimenti in atto: vedono il mare che si alza sempre più, ingoiando porzioni consistenti del loro territorio. Ricordo anche un altro intervento, molto forte, del delegato dell’America latina, che è un’altra zona toccata dai cambiamenti climatici: infatti, i grandi ghiacciai della Patagonia cilena si stanno sciogliendo in maniera impressionante. Anch’io ho fatto dei viaggi in quelle zone (come inviata della rivista Airone e della trasmissione Geo) e nel giro di sette anni non si riconoscevano più i ghiacciai. E’ proprio in quel tipo di zone che si vede tangibilmente il disastro ecologico. Il cambiamento climatico, alla luce di tutto ciò, può essere un ottimo banco di prova per tentare un’unione tra economia ed ecologia, perché ci costringe, a rischio della nostra sopravvivenza sulla Terra, ad affrontare seriamente il problema.
Secondo lei, perché le energie rinnovabili fanno così fatica ad affermarsi?
Prima di tutto perché non c’è mercato. Quindi bisogna crearlo, anche attraverso incentivi statali. Noi abbiamo iniziato a percorrere questo tipo di strategia, e nelle due Finanziarie del governo Prodi siamo riusciti a far stanziare 1,5 miliardi di euro in più per l’ambiente e per la lotta al cambiamento climatico, favorendo e incentivando le energie rinnovabili e i biocombustibili (con grande attenzione alla sostenibilità di questi ultimi). Abbiamo anche lavorato al cambiamento dei trasporti, un settore che incide almeno per il 30-35% sulla produzione dei gas serra. Si tratta di una riconversione ecologica dell’economia. Noi ci stiamo provando, anche se c’è ancora un ritardo legislativo, finanziario e, soprattutto, culturale, perché la gente è abituata a produrre energia con il petrolio e con il carbone e, quindi, l’idea di sfruttare elementi naturali come il sole e il vento può sembrare utopistica, mentre invece non è assolutamente più così. Devo però evidenziare con chiarezza che, anche in questo campo, dobbiamo stare attenti all’utilizzo delle energie rinnovabili fatto “all’italiana”: io giro tutta l’Italia e spesso vedo realizzati parchi eolici un po’ a casaccio, soltanto perché ci sono stati degli incentivi. Dunque, siccome è sempre presente questo tipo di furbizia, dobbiamo stare molto attenti. Le energie rinnovabili rimangono una grande carta da giocare per il futuro: ormai non lo affermiamo solo noi ambientalisti, ma anche industriali come Pasquale Pistorio, che ha attuato nella sua azienda una politica che mira al risparmio energetico e all’utilizzo delle energie rinnovabili.
Cosa pensa dell’energia nucleare?
Noi riaffermiamo il nostro “no” al nucleare che, soprattutto di questi tempi, sta rispuntando in una versione buonista, poiché si sostiene che l’energia nucleare non produce gas serra, senza considerare però altri lati negativi di questo tipo di energia. Abbiamo, nel mondo, 453 centrali nucleari. Molte dovranno chiudere nel giro dei prossimi anni. Ci sono delle commesse nuove soprattutto in Cina (perché la Cina ha costantemente bisogno di energia e sta cercando di rilanciare il nucleare), però noi non siamo assolutamente convinti che sia questa la strada da perseguire. Prima di tutto perché, oggi, il nucleare dà al mondo solo il 6%25 di energia primaria: una percentuale indubbiamente inferiore al 20% necessario per lottare contro il cambiamento del clima. Sa quante centrali dovremmo costruire per raggiungere il 20% della produzione energetica? Dovremmo costruirne tre ogni mese, per sessanta anni… nel frattempo il cambiamento climatico avanzerebbe inesorabilmente, continuando a peggiorare. E, poi, c’è il problema delle scorie. Nessuno ha ancora risolto questo gravissimo problema dei rifiuti radioattivi. Basti pensare al caso di Scanzano e alla mobilitazione contro il deposito unico per le scorie. In Italia abbiamo ancora le scorie del vecchio nucleare. Abbiamo tredici siti principali, non si è ancora trovato un sito unico, e ogni volta che se ne parla c’è una reazione terribile da parte della popolazione. Sottolineo questo fatto per far capire che noi non siamo ancora riusciti a ricollocare le vecchie scorie del nucleare, figuriamoci quelle nuove. Anche gli americani, che, per accogliere tutte le loro scorie nucleari, hanno investito 8 miliardi di euro nel deposito di Yucca Mountain, nel deserto del Nevada, non sono ancora riusciti a sistemarle completamente.
A quanto pare l’energia nucleare comporterebbe parecchi risvolti negativi.
Sì. Infatti, c’è il problema delle scorie, quello della costruzione delle centrali, e poi il problema dei costi. Il nucleare ha costi altissimi: non solo bisogna costruire le centrali, ma, poi, quando è finito il ciclo dell’uranio, bisogna smaltirlo, e sistemare le scorie. Insomma, spese improponibili. E poi bisogna considerare che l’uranio non è una risorsa infinita: ne abbiamo ancora per trenta o cinquanta anni. Quindi, costruiremmo un’altra dipendenza da una fonte che noi, in Italia, non abbiamo. Come il petrolio e il gas. In Italia abbiamo una dipendenza geopolitica molto scomoda: per il gas, per esempio, dipendiamo per il 64% dalle importazioni estere, e per il 29% (anche il 30%) dalla Russia, dall’Algeria e dalla Libia. Tutti Paesi che ci danno qualche problema (e si pensi anche al caso della Georgia). L’Italia è il “Paese del sole”, ed è assurdo che non sfruttiamo questa risorsa fondamentale che abbiamo, e che è diffusa sul territorio. Sottolineiamo, con forza, che l’efficienza energetica, le energie rinnovabili e tanta ricerca indipendente sono le giuste fondamenta per costruire un nuovo corso energetico, senza bisogno di ricorrere al nucleare. Tra l’altro, mi interesserà capire dove il Governo attuale riuscirà a localizzare le zone per costruire le centrali nucleari, poiché credo che nessun comune voglia centrali nucleari sul proprio territorio, né voglia accoglierne le scorie.
Dunque, non c’è futuro per l’energia nucleare?
Ci vorrebbero quasi dieci anni per far decollare il nucleare. Il vero nemico del nucleare non sono i Verdi ma è il mercato. E’ il mercato che affosserà il nucleare.
Come mai un movimento come il vostro, che affronta temi cruciali per la vita del pianeta e delle persone, ha così poco riscontro in termini elettorali?
Io ho fatto la portavoce dei Verdi europei, perché il Partito verde italiano fa parte di una costellazione di quasi trenta partiti verdi europei, dislocati in varie zone, dalla Finlandia al Portogallo, dalla Germania alla Polonia. Nell’Europa centrale e in quella del Nord i partiti verdi raccolgono con facilità il 7%, l’8%, e il 14% dei voti; al Sud (Spagna, Italia, Grecia, Cipro), invece, prendono percentuali minime, tipo l’1 per cento. Credo che il partito verde, per essere davvero ambientalista, debba richiamare il cittadino alla responsabilità individuale. La gente dovrebbe chiedersi “cosa “io” posso fare per il pianeta?”, non soltanto delegare al governo, al comune e alle istituzioni in generale. Si tratta di un fattore culturale. Faccio un esempio: la raccolta differenziata comincia a casa. I popoli del Sud hanno più tendenza a delegare, e meno propensione a prendersi le proprie responsabilità individuali. Poi, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, ci sono degli elementi, come la presenza della camorra, della mafia o della ‘ndrangheta, che impediscono una libera scelta. In Italia, spesso, il voto è un do ut des: quasi un voto di scambio, non certo un voto d’opinione. Tra l’altro, noi ci stiamo impegnando per evitare che passi una nuova legge elettorale, che richiede uno sbarramento molto alto, che spazzerebbe via i piccoli partiti ed eliminerebbe, probabilmente, le preferenze. Lavoreremo perché i piccoli partiti vivano, per consentire ai cittadini di essere rappresentati da voci diverse.
Lei ha dichiarato che tra un anno lascerà la guida dei Verdi a un uomo e a una donna. Ci può spiegare i motivi di questa scelta?
Noi abbiamo giovani donne molto brave. A me piacerebbe moltissimo lasciare il posto a due giovani.
Ha lavorato come giornalista per molti anni, collaborando, tra l’altro, con giornali come Panorama, la Repubblica, Airone, e Natura oggi, e, in televisione, con la trasmissione Geo. Che ruolo può avere l’informazione nel veicolare messaggi e notizie sui temi dell’ambiente?
Oggi, purtroppo, è preponderante il giornalismo delle tre “p”: potere, pettegolezzo, e polemica. Questo è molto grave. Il giornalismo deve invertire la rotta. Possiamo fare tutti qualcosa. Dobbiamo, però, fare tutti un salto di qualità della coscienza. Giornalisti compresi.
L’immagine: Grazia Francescato, in una foto della stessa autrice dell’intervista.
Angela Luisa Garofalo
(LucidaMente, anno III, n. 36, dicembre 2008)