Muri ricoperti di scritte offensive e statue deturpate con bombolette spray nella Facoltà di Scienze politiche… Tra repressione delle autorità e barbarie
Di fronte a episodi di evidente teppismo la quasi unanimità dell’opinione pubblica si limita a prendere le distanze e a condannare inflessibilmente gli autori della colossale prova di inciviltà. È questo ciò che è successo il 20 maggio 2015, quando un gruppo di vandali ha danneggiato lo storico Palazzo Hercolani, che ospita la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna (strada Maggiore 45).
Nelle reazioni di studenti, forze dell’ordine e politici, hanno prevalso la deplorazione e lo sdegno, senza lasciare spazio a una riflessione più approfondita sulle ragioni di quello che non è un caso di barbarie gratuita. Il casus belli specifico è stato lo sgombero, con apposizione dei sigilli,dell’aula C della facoltà, gestita da circa vent’anni da un collettivo studentesco. Il collegamento tra i due eventi, lo sfollamento e gli atti vandalici, è evidente dal contenuto delle scritte rinvenute su muri e statue: «Volete sorvegliarci, ci avrete incontrollabili»; «Meglio teppisti che infami»; «L’aula odia, la polizia non può sequestrare». La Procura minaccia di seguire una linea dura e contesta agli autori degli imbrattamenti il reato di danneggiamento aggravato, previsto per i beni di valore storico come appunto Palazzo Hercolani, costruzione neoclassica risalente al 1785.
Tuttavia, la scelta di chiudere un’aula universitaria autogestita da vent’anni è stata una misura politica e non solo giudiziaria, sulla quale sarebbe interessante, oltre che doveroso, interrogarsi, abbandonando per un po’ i furori dello sdegno e il rischio di una riprovazione superficiale. Comprendere le motivazioni di un simile atto, in fin dei conti inutile e risibile rispetto all’enorme potere economico e politico dell’università, può significare elaborare strategie di previsione e soluzione degli scontri, anche indiretti, tra contestatori e autorità. Le gerarchie accademiche, invece, si schierano radicalmente contro gli studenti rivoltosi, spingendosi a fare improbabili paragoni con l’Isis. Proprio in questa polemica cieca, senza sforzo di contestualizzazione, sta l’incapacità di agire di una classe dirigente.
Il ritornello contro le scritte sui muri è uno dei più gettonati nell’ambiente bolognese e l’episodio di stretta attualità viene considerato come l’ultimo di un’esasperante serie di attacchi e sabotaggi nell’infinita lotta ai graffiti che lo scorso novembre ha interessato la zona universitaria di via Zamboni. Ma la sproporzione tra la bomboletta spray e le misure giudiziariecontro gli attivisti dei collettivi è allarmante: arresti domiciliari a cinque membri di Hobo, responsabili di contestazioni al ministro Marianna Madia a dicembre, manganellate per i fischi contro Matteo Renzi e Stefania Giannini alla Festa dell’Unità di aprile, fino ad arrivare al divieto di dimora per due militanti di Hobo e alla chiusura della famigerata aula C di Scienze politiche. Nel mezzo di questo scontro tra Davide e Golia, mentre ci si accinge a votare una delle più conservatrici riforme della scuola e il mondo universitario rimane bloccato nei suoi clientelismi e nei suoi privilegi, riflettere ed esercitare un pensiero critico, senza doversi schierare, diventa indispensabile per dubitare, con responsabilità e coscienza, su quali siano i vandali che ci circondano.
Le immagini: statue e muri imbrattati nella facoltà di Scienze politiche a Bologna.
Antonella Colella
(LucidaMente, anno X, n. 114, giugno 2015)
Caro Rino
sinceramente avrei qualcosa da ridire sull’analisi fatta nell’articolo relativo ai vandali di palazzo Hercolani e sugli occupanti l’aula C.
Credo però che poche righe non potrebbero esaurire la discussione. Se vuoi, potremo parlarne in occasione dei prossimi consigli.
Cordialmente, Loris.
Carissimo Loris,
l’articolo è firmato dalla redattrice Antonella Colella, che ha espresso le sue opinioni, che non necessariamente coincidono con quelle del direttore, visto che su “LucidaMente” è possibile esprimere le proprie idee senza censura.
Proprio oggi mi ha telefonato lo storico Marco Poli, anche lui con qualche osservazione da fare su un altro articolo, quello su Villa Aldini, pure questo non firmato da me, ma da un’altra redattrice, Elena Montaguti (donne particolarmente sfortunate, in questo numero…).
Rispondo a te come a lui: scrivetemi la vostra e sarà pubblicata in home page e nella newsletter della rivista.
Bologna con i gruppi dirigenti politici e amministrativi che si sono succeduti nel cinquantennio è diventata la Disneyland degli studenti e/o di quelli che si spacciano per tali, provenienti da ovunque nel mondo. Le università, Bologna compresa, debbono ritornare ad essere luoghi di studio e siccome credo che, stante la struttura oramai asfittica del centro storico di Bologna, o se ne vanno gli studenti o Bologna diventerà una specie di campus abnorme allontanando definitivamente i pochi cittadini bolognesi rimasti.
Pertanto, riassumendo: auspico una selezione severissima degli studenti in base ai risultati del corso prescelto, al luogo di origine e al casellario giudiziario.
Se questo vorrà dire un ridimensionamento del numero di esercizi pubblici che hanno fondato la loro ragione di essere proprio sugli studenti, che si cerchino (gli esercenti) altre fonti di reddito.
Un bolognese stanco e NON più tollerante vandalismi, sporcizia, violenze verbali e non, prevaricazioni, maleducazione, prezzi di servizi sempre in aumento a fronte di perdite di valore degli immobili.
La ricostruzione della giornalista Colella è difficilmente condivisibile. Mettere tutto insieme, dall’occupazione ultraventennale, ai fischi a qualche ministro incompetente, alle violenze e barbarie contro il patrimonio dell’Università e della città e voler comunque far passare gli autori di questi gesti come vittime sacrificali è, se non altro, fantasioso.
L’Università è un luogo di studio, di cultura, di dialogo. La cosa inaccettabile è che le gestioni che si sono susseguite non hanno voluto occuparsi prima della vicenda rendendo necessario l’intervento giudiziario; le aule vanno usate, magari anche occupate, ma da studenti che l’università la vivono e la usano per crescere, non per farci festini e altro. Se l’Università non insegna anche il rispetto delle regole, del vivere insieme, allora tanto vale chiuderla! Molto altro ci sarebbe da commentare, ma lo spazio è tiranno. Resto comunque a disposizione per altri commenti. Francesca R.
Gentilissima professoressa Rescigno,
grazie per averci scritto.
Le rispondo come direttore responsabile della testata:
l’articolo è firmato dalla redattrice Antonella Colella, che ha espresso le sue opinioni, che non necessariamente coincidono con quelle del direttore e degli altri redattori, visto che su “LucidaMente” è possibile esprimere le proprie idee senza alcuna censura.
Restiamo sempre disponibili ad ospitare opinioni diverse e per noi sarebbe un onore pubblicare un suo vero e proprio articolo su questo o altri argomenti.