Lettera aperta del senatore socialista Enrico Buemi ai parlamentari: “Va riformato anche il Consiglio superiore della Magistratura”
Essendosi LucidaMente più volte interessata alle tematiche legate alla Giustizia (e al carcere) in Italia (vedi, ad esempio: Le due caste più intoccabili di tutte; “Mio figlio è morto di malagiustizia”; Malagiustizia: “Tutti dentro!”; «Io e la giustizia italiana: dalla condanna per pedofilia all’assoluzione»), volentieri pubblichiamo la seguente nota fattaci pervenire dal senatore Enrico Buemi del Psi.
In tre note al parere espresso il 29 ottobre 2014, il Consiglio superiore della Magistratura mi gratifica di ben tre citazioni, sebbene nessuna di esse lusinghiera: sarei l’artefice del tentativo di introdurre la responsabilità diretta dei giudici nell’ordinamento italiano.
Il parere fa riferimento al testo del disegno di legge da me depositato al Senato un anno fa, quando già da due anni navigava per le aule parlamentari l’emendamento Pini alle varie leggi comunitarie che si succedevano nel tempo: un emendamento che, col voto favorevole della Commissione referente, prendeva spunto dalle condanne italiane a Lussemburgo per proporre la responsabilità diretta del giudice, secondo il meccanismo previsto per tutti i pubblici funzionari dall’articolo 28 della Costituzione. Si trattava di un orientamento tutt’altro che minoritario, se a voto segreto in aula alla Camera ha addirittura registrato un’approvazione di un ramo del Parlamento.
Per circoscrivere la portata di questo orientamento, il mio disegno di legge n. 1070 – confermato l’impianto della legge Vassalli, fondato sulla responsabilità indiretta – limitava la responsabilità diretta a due casi di assoluto ed evidente sviamento dal corretto uso del potere giurisdizionale: disattendere la consolidata giurisprudenza della Cassazione nell’interpretazione del diritto (salvo il caso di ignoranza inescusabile, ad esempio per improvvidi cambi di giurisprudenza) e negare in Cassazione il diritto al rinvio pregiudiziale su un punto qualificante del diritto dell’Unione.
Ricordo, a chi l’avesse dimenticato, che il primo caso di condanna italiana avvenne perché i giudici di Cassazione disattesero quello che, per loro, è obbligo e non facoltà, cioè investire Lussemburgo sull’interpretazione del diritto europeo, quando lo chieda una parte; anche qui, per non essere dirompente, limitai la responsabilità diretta al solo caso in cui gli “ermellini” ignorino una richiesta che trovi d’accordo sia le parti private che il pm. La Commissione giustizia, con un voto che mise insieme Pd e Movimento 5 stelle mentre ero in missione per conto della Commissione antimafia, respinse l’articolo 1, che limitatissima questa responsabilità diretta introduceva.
Mi adeguai, nella veste di relatore, alle decisioni della maggioranza, e proseguii nella parte successiva delle proposte del disegno di legge assunto a testo base, cioè quelle di snellimento e maggiore efficacia della responsabilità indiretta. Mi adeguai fino al punto di proporre il parere che invitava a stralciare dalla legge comunitaria l’emendamento Pini; in aula su questo il Governo ci chiamò addirittura a un voto di fiducia. Non credo, quindi, di essermi dimostrato insensibile alle esigenze della mediazione e del compromesso, che sono proprie della vita politica e della procedura parlamentare. Quando il Governo presentò il suo disegno di legge, a votazioni già iniziate in Commissione, fui proprio io a invitare tutti a tener conto della sostanza delle proposte del ministro Orlando, anche se formalmente non era più possibile congiungerle all’iter già in corso.
Ma la vita parlamentare implica mediazioni con altri modi di vedere l’interesse generale, legittimati dal voto popolare; non con le istanze corporative, di chi fa della sua professione non un’occasione per contribuire al benessere del Paese, bensì un fortilizio dentro il quale difendere rendite di potere consolidate. Ad esempio, proponiamo l’obbligo di motivare la sentenza, quando ci si discosta dalle Sezioni unite della Cassazione; per l’Associazione nazionale magistrati, invece, il precedente non vincola, anche contro la relazione dei saggi nominati dal Capo dello Stato nella primavera del 2013.
Secondo il parere approvato, «l’istituto della responsabilità civile non può essere utilizzato per mettere pressione ai magistrati al fine di aumentare la diligenza del singolo e la qualità della giurisdizione». Mentre la sfida della modernità mette pressione al Paese, la corporazione non vuole che si incrementi la qualità del servizio giustizia con la minaccia di pagare i danni: peccato che questa minaccia funzioni da sempre per i medici e gli ingegneri, che dispongono soltanto di organi di governo autonomo del loro ordine professionale. La magistratura vanta invece un organo di autogoverno e, mi pare, oggi si può apprezzare come la differenza non sia di poco conto.
Nel giorno in cui il deposito di un ricorso al Tar si mette in dubbio la stessa regolarità della composizione dell’organo Consiglio superiore della Magistratura – che in autodichia [il potere, conferito ad alcuni organi supremi dello Stato, di giudicare presso di sé i ricorsi presentati avverso gli atti d’amministrazione da essi medesimi posti in essere, ndr] ha escluso un componente, evidentemente non omologata alla lottizzazione partitica e probabilmente espressiva, su questi delicatissimi temi, di una posizione indipendente – si pone con urgenza non solo la questione della riforma della responsabilità civile, ma quella della riforma del Consiglio superiore della Magistratura.
Enrico Buemi – senatore del Partito socialista italiano
(LucidaMente, anno IX, n. 107, novembre 2014)