Un restauro rappresenta spesso l’umana illusione di restituire a noi stessi, che viviamo in un presente che avvertiamo banale, una frazione immacolata di un passato più aulico. Illusione, appunto, ovvero impossibile umano desiderio di rimbalzo in un tempo che non è più.
Quel che un restauro ci può restituire è solo la sopravvivenza del passato che persiste nell’assenza. Solo il nulla del vuoto delle scalinate, dei muri vacui, delle arcate desolate, dei soffitti glabri, della carenza di arredi originari, ci restituisce, ricostituita da flussi immaginativi, la piena sensazione di quel che è stato.
A Venezia l’edificio di Ca’ Foscari è stato recentemente restaurato. “Restauro conservativo” è stato definito. Ovvero un termine prudente, quasi un eufemismo, per definire un intervento indispensabile per evitare un catastrofico annichilimento.
Ca’ Foscari come metafora – Il palazzo veneziano è sito “in volta di Canal” – come si diceva un tempo -, cioè laddove il Canal Grande improvvisamente si torce, così che proprio da quella posizione si può ammirare la fantasmagorica schiera di case affacciarsi, dall’uno e dall’altro lato, sulla via d’acqua più bella del mondo, da Rialto sino alla chiesa di Santa Lucia. Esso non è uno dei tanti edifici di Venezia, ma assume un valore e rappresenta un significato peculiare, al punto da divenire di per sé metafora, prisma in cui si ritrovano i mille riflessi, storici, artistici, umani, della città d’acqua per eccellenza. Per la sua posizione – a tal punto privilegiata da obbligare il suo sorpreso ospite a subire la ridondante visione della potenza della Serenissima, sfolgorante di imbarcazioni, palazzi, genti e colori – non poteva che essere la naturale residenza di condottieri e di ambasciatori. Ca’ Foscari come metafora di Venezia, in quanto, nel microcosmo di una corte, di una scalinata, di un piano nobile, la dimora racchiude, esemplificandoli, i destini storici della città nobilissima. L’espansione nella terraferma, la potenza bellica, la crisi, la decadenza e il tentativo di riscatto si possono, dunque, leggere fra le crepe ricoperte dagli stucchi più o meno tempestivi di questo palazzo.
Da “casa dalle due torri”… – Era il 1429, quando la “casa in volta di Canal” fu acquistata dalla Repubblica perché divenisse residenza di Gianfrancesco Gonzaga, signore di Mantova e uomo d’arme, vice di quel conte di Carmagnola, capitano generale della Serenissima, la cui testa rotolò fra San Todaro e San Marco, come Manzoni ci rammenta e la storia ci tramanda. Godette poco o nulla del “dono” della Serenissima il condottiero mantovano, dal momento che un rapido voltafaccia, forse indotto dal cupo pensiero che anche il suo cranio proseguisse il macabro percorso iniziato dal suo capitano, lo fece schierare, qualche anno dopo, con i Visconti. La casa che sarà di Foscari fu, dunque, assegnata al nuovo capitano generale, Francesco Sforza, figura di spregiudicato avventuriero che, subentrando ai Visconti, divenne duca di Milano nel 1450. Il palazzo in quegli anni era molto diverso da come appare oggi. Ai due lati, proprio ai vertici che davano sul Canale, campeggiavano, infatti, due torri massicce, che attribuivano all’edificio la denominazione di “casa dalle due torri”.
…a palazzo dei Foscari… – Fu proprio il doge Francesco Foscari a cambiare l’aspetto del palazzo, forse per cancellare dalla memoria dei veneziani anche solo il ricordo di quell’edificio che per lunghi anni era divenuto albergo di uomini d’arme, condottieri e mercenari, i quali in più di un caso avevano tradito la Repubblica per darsi al nemico. E’ il 1452, quando l’anziano capo di stato compera il palazzo per renderlo sede nobiliare della propria famiglia. L’aspetto che il vecchio doge rende al palazzo rappresenta un taglio netto con il passato. Le due tozze torri medioevali scompaiono. Il palazzo adesso si staglia leggero ed elegante sul Canal Grande, anche per merito delle graziose polifore che incorniciano e ingentiliscono il primo e il secondo piano nobile. Al di sopra delle polifore di quest’ultimo si ripetono identici due altorilievi con le rappresentazioni di due putti alati che sorreggono lo stemma della famiglia Foscari. Il doge che volle lo Stato da terra, portando la guerra contro tutti i suoi vicini, riporta la metafora della sua politica anche nel “suo” palazzo. Nelle residenze nobiliari veneziani l’ingresso da terra è trascurato e spesso nascosto. Il doge Foscari pretende, invece, un ingresso da terra importante e prestigioso, che impreziosisce con una bella arcata archiacuta, sormontata ancora da un altorilievo (meno imponente di quelli della facciata, ma comunque apprezzabile) con due putti alati che sorreggono lo stemma di Ca’ Foscari, sovrastato da un terzo putto. L’altorilievo doveva essere dipinto: ci inducono a ritenerlo i segni di colore rilevati durante il restauro. Il cortile turrito cui si accede, e che circonda il palazzo da terra, può essere inteso anche questo come metafora dei complessi lavori di fortificazione e di edificazione a scopi bellici che il doge volle compiere nello Stato da terra.
…a caserma austriaca… – Grazie alla sua splendida ubicazione, la costruzione continuò ad essere destinata a residenza di ospiti prestigiosi. Il più rilevante dei quali fu il novello re di Francia, Enrico III di Valois, che nel 1574 fu ospitato dal doge Alvise Mocenigo, proprio in tale edificio. Per festeggiare l’evento furono fatti ardere una infinità di lumicini, forgiati in ogni forma, su tutte le finestre e i tetti delle case che davano sul Canal Grande, da San Marco sino a Santa Lucia. Il Sansovino, che assistette all’evento, ci dice che “perché tutti i lumi riflettevano nell’acqua con lo splendore, pareva che sotto il canale ci fosse un altro cielo stellato” (Francesco Sansovino, Venetia città nobilisima e singolare). Il palazzo seguì, però, la sorte di Venezia anche nella decadenza e, dopo la caduta della Repubblica, sotto gli austriaci, conobbe un degrado che sembrava non avere fine. Da teatro di dilettanti, a spazio per il gioco degli zuccoli (qualcosa di simile al moderno golf), sino a divenire rifugio di uccelli notturni. Ruskin, di passaggio a Venezia nel 1845, ricorda in Le pietre di Venezia come la dimora fosse divenuta deposito di macigni e di materiale per l’edilizia. L’edificio fu, quindi, durante l’effimera Repubblica di Manin, bombardato dagli austriaci. Ridotto, con il ritorno degli Asburgo, a piazzaforte militare, il nobile palazzo assorbiva ancora in sé l’infinita metafora di dolore e di abbandono che la città, un tempo “nobilissima”, doveva sopportare. Solo l’unione (1866) del Veneto all’Italia poneva fine alla sua umiliante sorte di caserma austriaca.
…e, infine, a Università degli studi – Nel 1868, con decreto reale, Ca’ Foscari divenne sede della Scuola superiore di commercio. Ancora una volta la città trasferiva nel palazzo “in volta di Canal”, in forma di metafora, la propria anima e la propria vocazione. In questo caso la metafora era il desiderio di recuperare un’antica tradizione commerciale, insieme all’aspirazione a riscattare un recente passato di umiliante sopraffazione. Ma l’arma del riscatto non poteva più essere la violenza bellica e la potenza marinaresca, bensì la cultura, le arti e la sapienza di cui la città, in ogni dove, appariva colma. Da tale aspirazione nacque la Regia scuola superiore, che divenne Facoltà di Scienze economiche e commerciali, cui si affiancò il Magistero di Lingue (1935). Infine, nel 1969, con l’istituzione delle due nuove Facoltà di Lettere e filosofia e di Chimica industriale, divenne Università degli studi. Come il palazzo abbia precorso la crisi strutturale della città, subendo indifeso l’arrembaggio del moto ondoso provocato dal disordinato percorso dei motoscafi – che hanno invaso, negli ultimi decenni, quella che Byron descrisse come la più bella via del mondo -, è storia recente. L’edificio rischiava seriamente un cedimento strutturale. Chi ha avuto l’ambizioso incarico di restaurarlo non ha ceduto, però, alla tentazione di inseguire l’impossibile ideale della restituzione del palazzo alle sembianze originarie, come le aveva concepite il doge Foscari. Ha provveduto, invece, a un restauro conservativo, rispettoso delle modifiche che la storia, nel corso dei secoli, aveva imposto alla costruzione. La narrazione completa delle vicende e del restauro di Ca’ Foscari, nonché la descrizione dalla sua arte, arricchita da stupende fotografie (tutte a colori), la potrete trovare in un preziosissimo volume di oltre duecentosessanta, patinate pagine: Ca’ Foscari: Storia e restauro del palazzo dell’Università di Venezia (a cura di Giuseppe Maria Pilo, Laura De Rossi, Domizia Alessandri, Flavio Zuanier, Marsilio, pp. XII-264, con 263 ill., € 58,00).
L’immagine: la copertina del volume citato.
Antonio Tripodi
(LucidaMente, anno II, n. 13, gennaio 2007)