Innumerevoli i vantaggi della marijuana terapeutica, ma la liberalizzazione è ancora lontana
È partita a fine febbraio la coltivazione di cannabis a scopo terapeutico sul suolo italiano. La marijuana è coltivata a Firenze, dove lo stabilimento chimico farmaceutico dell’Esercito ne produrrà una tonnellata all’anno grazie ai 55 mila metri quadrati di superficie destinata a questo scopo. Lo stabilimento, che gode già dell’autorizzazione a impiegare sostanze stupefacenti per la produzione di farmaci, sarà assistito dal centro di ricerca Cra-Cin (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per le colture industriali) di Rovigo. Dal 2002 i ricercatori della città veneta coltivano la pianta, ne selezionano le varietà e ne studiano le applicazioni in campo alimentare, cosmetico e nutraceutico.
Il via libera alla coltivazione di marijuana terapeutica risale al settembre 2014, quando i ministri della Difesa e della Salute Roberta Pinotti e Beatrice Lorenzin hanno firmato un accordo volto a ridurre i costi per i malati che necessitano questo tipo di cure. In Italia l’utilizzo di medicinali a base di cannabis è legale dal 2007, ma al momento l’iter per ottenere medicinali cannabinoidi è complesso e costoso e di conseguenza il ricorso al mercato illegale è comune. Il principio viene importato dall’Olanda, con un costo che si calcola sui 15 euro al grammo, mentre il costo finale del farmaco per il paziente raggiunge cifre astronomiche. A beneficiare delle semplificazioni e delle riduzioni di prezzo su tali medicinali saranno tra i 600 mila e i 900 mila pazienti: le malattie interessate vanno dal cancro all’aids, passando per sla, neuropatia, sindrome di Tourette e morbo di Chron. I medicinali cannabinoidi permettono a questi pazienti di alleviare il dolore nonché di ridurre spasmi, nausea e vomito.
Secondo la Coldiretti, i vantaggi di questa novità non interesserebbero solo i malati, ma anche gli orticoltori italiani. Il primo studio sulle potenzialità economiche e occupazionali della cannabis è stato presentato nell’ottobre 2014 al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio. Negli ultimi anni l’orticultura italiana ha subito un terribile calo, lasciando nelle serre abbandonate mille ettari di terreno dismessi. I dati dello studio mostrano che la coltivazione di cannabis a scopo terapeutico permetterebbe di recuperare questi terreni e assicurare una ripresa del settore per 1,4 miliardi di euro e 10 mila posti di lavoro, tra addetti alla coltivazione, alla trasformazione e al commercio.
Sebbene l’Italia abbia compiuto un passo avanti nella liberalizzazione della cannabis a scopo terapeutico, la liberalizzazione della cannabis a scopo ricreazionale è invece un orizzonte lontano. Il Testo unico delle leggi in materia di disciplina di stupefacenti e sostanze psicotrope del 9 ottobre 1990 sancisce una situazione di depenalizzazione, per cui la cannabis è illegale ma tollerata. Il possesso della sostanza per uso personale (determinato da quantità di principio attivo e modalità di confezionamento) è soggetto a sanzioni amministrative, come il ritiro della patente o del passaporto, mentre per lo spaccio si incorre in sanzioni penali, tra i sei e i dieci anni di carcere. A febbraio 2014 la legge Fini-Giovanardi, che aboliva la distinzione tra droghe leggere (tra cui la cannabis) e droghe pesanti, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, poiché ignorava i risultati del referendum popolare dell’aprile 1993. In questa occasione gli italiani si erano dichiarati a favore della non punibilità dei consumatori.
Gli effetti della Fini-Giovanardi mostrano il fallimento e l’insostenibilità delle politiche repressive. Negli anni in cui la Fini-Giovanardi è stata in vigore le carceri italiane hanno raggiunto la saturazione. Secondo il Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi, pubblicato nel 2009 dall’Associazione Antigone, «la metà dei detenuti stranieri, e quasi il 40% del totale dei detenuti, è imputato o condannato per i reati previsti dal solo articolo 73 – che sanziona produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope –, tra le migliaia di reati previsti dal nostro ordinamento». Tale periodo ha anche visto una drammatica riduzione dell’accesso alle misure alternative per i tossicodipendenti, per i quali il carcere è una condanna sicura alla recidiva.
Secondo la Global commission on drug policy, che si è riunita nel 2014, la guerra alle droghe e il proibizionismo hanno fallito. Negli ultimi anni, molti paesi hanno apportato delle modifiche alle loro politiche riguardo alla cannabis. La novità più eclatante è rappresentata dall’Uruguay, che dal 2013 ha istituito un mercato legale e controllato per la cannabis, la “marijuana di stato” e la possibilità di coltivazione a scopo non terapeutico. Lo scopo di questa riforma è togliere il potere ai narcotrafficanti e alla criminalità organizzata. Negli stati del Colorado e di Washington, la cannabis ricreazionale è legale dal 2012, con notevoli benefici economici. In Europa, Belgio e Spagna hanno visto la nascita dei primi “cannabis social club” nel 2005: i club permettono ai loro iscritti la coltivazione su piccola scala per consumo personale. Nonostante i pregiudizi diffusi, anche in Italia il cambiamento è possibile, e, come afferma il presidente della Global commission Fernando Henrique Cardoso (presidente del Brasile dal 1994 al 2002), «c’è un riconoscimento diffuso dell’inefficienza del sistema attuale, ma anche la consapevolezza che il cambiamento è sia necessario che raggiungibile».
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Camilla Marchioni
(LucidaMente, anno X, n. 111, marzo 2015)