Com’è cambiata l’Europa trent’anni dopo la fine della guerra fredda? La crescita di euroscettici, populisti e sovranisti
A novembre cade il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, l’evento che ha sancito l’inizio della conclusione della Guerra fredda e ha dato l’illusione della vittoria del pensiero unico occidentale. Tre decenni dopo – tuttavia – l’Europa si trova ancora molto distante da una propria visione unitaria.
La caduta del muro di Berlino, l’implosione del mondo comunista e la conseguente fine del conflitto bipolare rappresentano uno dei più importanti spartiacque della storia internazionale contemporanea, i quali effetti – nonostante i trent’anni trascorsi – sono tuttora in fase di evoluzione. L’Europa, che per cinquant’anni era stata il teatro e il campo di battaglia della Guerra fredda, il 9 novembre del 1989 ha visto i cittadini di Berlino est smantellare la barriera, fisica e ideologica, che aveva diviso il mondo in blocchi. La successiva riunificazione della Germania, inoltre, ha dato la certezza (illusoria) della definitiva consacrazione della superiorità valoriale occidentale e della vittoria dell’economia capitalistica, del libero mercato e della nascente globalizzazione, che, da quel momento, non ha avuto più freni alla sua rapacità.
In effetti, a trent’anni di distanza, il corso degli eventi ha mostrato come il superamento del bipolarismo non abbia portato a un nuovo processo di stabilità internazionale. L’esplosione dei regimi autoritari in quella che all’epoca era l’area di influenza sovietica e la nascita di una rete terroristica jihadista internazionale, anzi, hanno contribuito alla creazione di un perenne susseguirsi di crisi, alle quali gli Stati Uniti – da sempre leader dell’ordine politico ed economico occidentale – non sembrano più in grado di fronteggiare da soli.
L’Europa, dal proprio canto, si trova ancora nuovamente spaccata al proprio interno da politiche sovraniste ed euroscettiche. A seguito della caduta di Mosca, l’Unione europea si è velocemente mobilitata per permettere l’inclusione al proprio interno di quei paesi dell’Est che erano stati satelliti dell’Urss, sia per ricucire i rapporti politici con l’Europa orientale sia per il timore di un ritorno dell’influenza russa in quell’area. Tale mobilitazione, tuttavia, è risultata troppo frettolosa e non ha dato il tempo alle ex repubbliche comuniste di portare avanti quel processo di democratizzazione necessario per confrontarsi con gli altri stati occidentali dell’Ue. L’avvento di questi stati sul palcoscenico democratico durante gli anni più floridi del pensiero neoliberista – caratterizzato dalla più totale indipendenza del mercato da ogni sorta di intervento statale – ha reso, inoltre, molto più impopolare il perseguimento delle direttive europee comunitarie in materia economica e fiscale, creando così un forte sentimento di ostilità nei confronti di Bruxelles.
Per tali motivi, oggi all’interno dell’Unione europea emergono politici con valori completamente opposti ai principi fondamentali comunitari, come per esempio l’ungherese Viktor Orbán, contrario alla ripartizione dei migranti ed edificatore di muri per proteggere i propri confini nazionali, o il premier polacco Mateusz Morawiecki, promotore di politiche antiabortiste, entrambi membri, insieme a Repubblica ceca e Slovacchia, del Gruppo di Visegrad – la spina dorsale dell’euroscetticismo –, le cui politiche sono ben viste anche dall’Uk Indipendence Party – fautore della Brexit –, dalla Lega di Matteo Salvini e dal Rassemblement national (l’ex Front national) di Marine Le Pen.
Tutti questi partiti sovranisti, populisti ed euroscettici hanno visto incrementare il proprio successo in seguito alla crisi economica e finanziaria del 2008, enunciando come l’Ue fosse la causa dei mali di famiglie e lavoratori e auspicandone, presto, l’uscita. Rimane questo, forse, il lascito più importante e negativo di questi trent’anni dal crollo del muro. L’Unione europea, allora nascente, almeno per come la conosciamo ora, ha portato avanti – come obiettivo primario – una visione economica comune, composta dall’euro e dal libero mercato, ma non ha spinto, allo stesso tempo, alla concezione di un’unità sociale e politica, come, contrariamente, fece la Germania occidentale. Helmut Kohl – cancelliere della Germania Ovest dal 1982 al 1998 – ha conseguito l’impresa politica della riunificazione tedesca addossandosi il peso dell’enorme divario economico, ma ponendo come priorità la riconciliazione sociale tra i connazionali. La lezione di Berlino dovrebbe essere presa ad esempio sia dalla destra sia dalla sinistra moderata e filoeuropeista, perché – come ha insegnato la storia – i muri e le ostilità si combattono, e si vincono, solamente attraverso la solidarietà e la condivisione di valori comuni.
Le immagini: la costruzione del muro nel 1961; la caduta del muro il 9 novembre 1989; una targa commemorativa dove una volta sorgeva parte del muro di Berlino.
Alessandro Crisci
(LucidaMente, anno XIV, n. 167, novembre 2019)