Il leggendario cantautore bolognese ritorna con “Il grande freddo” (La Tempesta Dischi). Nove canzoni che ci riportano alle origini della sua arte musicale
Negli anni Settanta molti giovani, tra i quali chi sta scrivendo, anticonformisti e ribelli, malinconici e asociali, «son venuti su un po’ strani» (Quelli come noi, dall’album Aspettando Godot, 1972). E si sono rispecchiati nelle canzoni politico-esistenziali di Claudio Lolli, in particolare in quelle contenute nel già citato Aspettando Godot (vedi anche Le meschinità e la viltà dell’“italiano medio”), in Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita (1973) e in Canzoni di rabbia (1975).
Il successivo – e più famoso album di Lolli – Ho visto anche degli zingari felici (1976) non ci convinse del tutto, sia dal punto di vista musicale sia da quello contenutistico. Molti altri furono poi i dischi, gli esperimenti e le svolte musicali del cantautore bolognese. In essi egli ha spesso cercato di evitare la gabbia della canzone “impegnata” o “politica”, desiderando avvicinarsi alle passioni e ai sentimenti della “gente comune” (vedi, ad esempio, Villeneuve, in Antipatici antipodi, 1983, o Le rose di Pantani, testo di Gianni D’Elia, ne La scoperta dell’America, 2006). Ora, a ben otto anni dalla sua ultima incisione (Lovesongs, 2009), grazie a una campagna di crowdfunding, il musicista torna sulla scena con Il grande freddo (La Tempesta Dischi). Un titolo che richiama, non a caso, il celebre film del 1983 di Lawrence Kasdan: una rimpatriata di ex giovani ribelli, tra nostalgie, disillusioni, rimpianti, angosce e, soprattutto, il tempo e la realtà quotidiana che corrodono tutto.
In effetti, anche le nove tracce inedite che costituiscono il nuovo lavoro di Lolli si muovono tra vecchi fantasmi e una contemporaneità che sembra annullare ogni sogno e barlume di speranza, antichi e nuovi. Malinconiche liriche, senza più rabbia e tensione iconoclasta, ombre che si inseguono tra sentimenti e voglia d’amore («Quanto amore perduto negli autobus» dichiara la canzone iniziale, dallo stesso titolo dell’intero cd). Alcuni brani dell’album, infatti, sono le storie di personaggi disincantati, sebbene mai integrati e sempre alla ricerca di un Raggio di sole, l’ultimo componimento, una sorta di commovente recitar cantando.
In un’atmosfera crepuscolare e sommessa, intimistica e incerta, si staglia qualche figura femminile, unico presagio-illusione di calore e passione, tra passato e presente, memorie e ricordi. È significativo che questa nuova esperienza di Lolli sia nata insieme ad alcuni degli artefici di Ho visto anche degli zingari felici: Roberto Soldati (chitarre) e Danilo Tomasetta (sassofoni), del celebre Collettivo autonomo musicisti di Bologna (gli altri pregevoli strumentisti sono: Felice Del Gaudio, basso elettrico, basso fretless, contrabbasso; Pasquale Morgante, piano e tastiere; Lele Veronesi, batteria e percussioni). Ma non è propriamente un dejà vu: la musica e i testi, curati e suggestivi, hanno perso l’antica rabbia ed energia. I ritmi sono blandi, le metafore contenute, i paesaggi sfumati, così come le figure umane. Le luci appaiono fioche e radenti, i fondali si dissolvono e il grande teatro di una (e più generazioni) si sfalda per lasciare spazio a un mondo postumano costituito da macerie e macchine.
Le vite dei giovani “che credevano” son rimaste strozzate e rimane un’enigmatica danza di visioni perplesse. Il Sole, caldo e che offre speranza e fiducia, è lontano, tanto lontano, sempre più lontano, come lo si può vedere da un distante satellite di Saturno, Urano o Nettuno, perso nell’oscurità. Nella fredda tenebra dei nostri tempi, ben rappresentata da Lolli, risplendono i vivaci colori dell’artista salentino Enzo De Giorgi, che ha puntualmente trasposto in immagini l’intero disco, brano per brano. Tali finestre pittoriche, come le definisce lui stesso, reinterpretano i personaggi presenti nei testi donando loro nuova vita. Un sentito omaggio personale al cantautore, che, per De Giorgi, «è un faro nel buio di una società cieca e distratta, una luce onnipresente, che ha sempre irradiato la mia anima».
Le immagini: la copertina de Il grande freddo e due delle splendide illustrazioni di Enzo De Giorgi.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)
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