Provo ad andare al Cip di Bologna. Poco affollato. La sensazione è che sia un po’ fuori moda. Chiedo di una responsabile. Irraggiungibile! «Non ho tempo per un appuntamento. Scrivetemi per email. Cercherò di rispondere».
Tento. Vanamente. Forse è il caso di rivolgersi a un’agenzia interinale!La mercificazione del disoccupato
Ingresso in agenzia. Naturalmente affollata. Molto più del Cip.
Benvenuto cordiale. «Vorrei consegnare il curriculum vitae».
Lei: «Compili il modulo dei dati anagrafici e si metta in coda».
Lo compilo frettolosamente e studio attentamente il finto curriculum per calarmi nel personaggio. Diploma tecnico. Nessuna laurea. Esperienze varie ma poco qualificanti. Cameriere, bagnino, magazziniere, aiuto meccanico. Età 23. Nessun mezzo a disposizione. Assoluta urgenza di trovare un lavoro. Un qualsiasi lavoro!
Arriva il mio turno, mi accomodo:
«Buongiorno».
«Buongiorno».
«Sta cercando un lavoro in particolare?».
«No. Mi va bene tutto. Ho solo una certa urgenza».
«Vediamo cosa possiamo fare. Allora. Lei è automunito?».
«No».
«Uhm». Storce il naso.
«Ha fatto il magazziniere?».
«Sì».
«Dove?»
«Giù in Puglia».
Legge dei documenti.
«Ha fatto anche il cameriere?».
«Sì».
«Sempre in Puglia?».
«Anche in Romagna, nelle stagioni estive».
«Non ha molta esperienza. Le andrebbero bene lavori notturni?».
«Sì». Cerco di mostrarmi il più disponibile possibile.
Lei continua a leggere il curriculum. In modo molto distratto. Le arriva una telefonata… «No, non mi disturba affatto…». Poi chiude. Comincia a compilare un foglio. Nel frattempo azzarda altre domande:
«Lei sa usare un montacarichi?».
«Sì. Quando ho lavorato nei magazzini l’ho usato».
Poi di nuovo: «Il cameriere l’ha fatto anche qui a Bologna?»
«No, a Bologna no».
Poi viene una collega. Le chiede alcune cose. Lei risponde, ridendo. Chiede a un’altra collega seduta di fronte con un altro “cliente”:
«Dove vai in pausa pranzo?».
«Viene il mio ragazzo».
Poi mi fa compilare un altro modulo. Lei pinza alcuni documenti con lo sguardo rivolto verso la collega che si è seduta di fianco a lei.
In modo molto distratto mi domanda di nuovo:
«Lei è automunito?».
«No. Ho la bicicletta».
«Uhm».
«Va bene, le faremo sapere».
«Senta, ma ci sono possibilità di avere qualcosa a breve?».
Non risponde. Sorride ad una battuta della collega. Poi, dopo un po’, tutto d’un fiato:
«Guardi, non le posso dire niente. Dipende da quello che si libera. Può darsi tra un mese, può darsi tra sei mesi. Noi le conserviamo il curriculum. Se si muove qualcosa la contattiamo. Va bene? Grazie e arrivederci».
«Arrivederci».Che fine ha fatto quel curriculum?
Dopo quest’esperienza, tanto surreale quanto attuale, mi dirigo verso un’altra agenzia interinale. Questa volta da giornalista, nel tentativo di capire il “lungo” viaggio che ha appena intrapreso il mio curriculum vitae.
Entro, mi presento e chiedo di una responsabile. Si avvicina una ragazza che molto gentilmente si offre di rispondere alle mie domande. La prima è ovvia:
«Qual è il percorso che fa il curriculum vitae di un disoccupato, diciamo non particolarmente specializzato?»
Mah, è difficile che lo conserviamo.
«In che senso?»
Noi abbiamo molta più offerta rispetto alla domanda. Sette curriculum su dieci li cestiniamo subito. Ovviamente cerchiamo di trattenere quelli più gettonati.
«Che sarebbero?»
Dipende dalla politica dell’agenzia. Noi, come la maggior parte, abbiamo contatti prevalentemente con aziende specializzate in un settore. Quindi siamo più che altro interessati a laureati o persone comunque specializzate.
«Quindi disoccupati generici non ne trattate?»
Raramente.
Ho appena realizzato che il mio curriculum vitae appena lasciato non ha neanche iniziato il suo lungo viaggio.A guadagnarci, sicuramente, agenzie e aziende
L’intervista continua. Mi parla di tempi, di durate di contratti, di sovvenzioni. Mediamente i tre curriculum fortunati vengono “sistemati” nel giro di tre, quattro mesi. I contratti sono a breve termine, di sei, sette, otto mesi. Solo a volte rinnovati. I rapporti con le aziende possono essere generalmente di due tipi: in alcuni casi si tratta solo di forniture per l’immediata necessità. L’agenzia riceve la richiesta di un tot di persone con determinate esperienze e qualifiche varie e una volta conclusa la “trattativa” si procede al pagamento della commissione, già precedentemente stabilito. In questo caso l’agenzia funge solo da cercapersone, in quanto, dei colloqui e dei contratti, si occupa direttamente l’azienda interessata.
Nel secondo caso invece l’agenzia arriva a gestire tutto. Essa offre un servizio continuo di ricerca e selezione con un accordo finanziario a lungo termine. Dovrà interessarsi anche del colloquio e del contratto consegnando il pacchetto già confezionato.
In entrambe le situazioni è evidente che sia l’azienda che l’interinale ricavano giovamento finanziario da questa loro simbiosi. È infatti sempre più alto il numero di aziende che si rivolgono ad agenzie interinali, così come aumenta continuamente il numero di esse sul territorio nazionale (sessantatre solo nella provincia di Bologna). Segue, ovviamente, lo stesso trend crescente la percentuale di disoccupati nel Paese…
È di pochi giorni fa il dato Istat secondo cui ce ne sarebbero 300 mila in più rispetto all’ultimo trimestre.
Siamo in Europa?
37 milioni di precari in tutta Europa! Questo il risultato di uno studio effettuato dalla Ces, Confederazione europea dei sindacati.
Che il lavoro instabile sia un problema di tutto il vecchio continente è cosa nota. Ma che l’Italia venga presa come simbolo di questo fenomeno è quantomeno preoccupante. «La perversione (economica) del lavoro precario non è probabilmente meglio illustrata in nessuna altra parte che in Italia, dove il precedente governo Berlusconi ha introdotto un’ampia varietà di contratti di lavoro che permettevano agli imprenditori di destabilizzare i diritti fondamentali dei lavoratori (la Riforma Biagi del lavoro). Allo stesso tempo, la crescita della produttività oraria del lavoro è sostanzialmente diminuita».
Il dato allarma. Anzi imbarazza! L’Europa si mobilita, l’Italia no! La Svezia ha proposto un conto-investimenti a favore della formazione individuale. La Spagna ha varato l’accordo sociale sull’occupazione volto a promuovere e sostenere le assunzioni a tempo indeterminato. In Francia, dopo mesi di scioperi e lotte, sono riusciti ad abolire i Cpe, contratti di primo impiego. Belgio e Paesi Bassi hanno aumentato il numero di ore contrattuali minime. Anche il Regno Unito ha varato una serie di sanzioni “anti-precariato”: una normativa chiara che prevede criteri di distinzione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi; l’introduzione di un salario minimo statutario; il periodo di prova durante il quale i licenziamenti iniqui non possono essere contestati dal lavoratore diminuito da ventiquattro a dodici mesi.
Piccoli passi, forse troppo piccoli. Ma comunque sufficienti a gettare un’aria di ottimismo e di giustizia sociale, che in Italia proprio non si riesce a respirare.
Ieri, oggi, domani
Sono lontani i tempi in cui se studiavi avevi un posto buono. Se non studiavi si lavorava di più, ma avevi comunque il posto. I tempi dei sacrifici, dei denti stretti. Della fatica, a volte della fame. Ma poi arrivava la paga, la ricompensa, e si respirava di nuovo, si cominciava da capo, a denti sempre più stretti, ma con un nuovo traguardo. Lontano ma sicuro. Fisso. Nessuno (o quasi) poteva togliertelo.
Oggi è cambiato tutto. Oggi è un’altra era. L’era in cui quando pensi che finché non avrai un posto fisso non farai famiglia, subito dopo pensi che forse non farai mai famiglia. L’era in cui ti dicono che devi fare uno stage di sei mesi perché tu devi imparare il lavoro e loro devono vedere quanto vali. Poi dopo, quando, se, forse… L’era in cui, citando Umberto Galimberti, «Per oggi mangio, per oggi vivo. Domani? Meglio non pensare». Insomma l’era in cui l’Italia non è più una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Una volta aspettare il ventisette del mese era un’ansia, un’angoscia per milioni di italiani. Oggi l’angoscia è sperare di aspettarlo quel ventisette, perché un mese c’è, l’altro no. Domani? Meglio non pensare!
«Grazie e arrivederci»
A chi si deve appellare un padre di famiglia dopo l’ennesimo licenziamento?
A chi si deve appellare un laureato in Filosofia dopo tre anni di contratto in nero?
A chi si deve appellare un disoccupato di 32 anni che vive ancora a casa dei suoi, coi soldi dei suoi?
Oggi c’è una sola risposta, c’è una sola via, c’è un solo appiglio. Le agenzie interinali. È con grande speranza che ci entrano milioni di precari in tutta Europa. Ed è con grande amarezza che ne escono. L’amarezza di chi cerca di lavorare, di sentirsi cittadino, di sentirsi libero, e finisce per ottenere spesso, molto spesso, troppo spesso, la solita risposta. Con la solita freddezza e la solita insensibilità di chi, dall’altra parte della scrivania, tra una telefonata, una risatina e una chiacchierata, ti dice:
«Guardi, non le posso dire niente. Se si muove qualcosa la contattiamo. Va bene? Grazie e arrivederci».
L’immagine: annunci di un’agenzia interinale.
Simone Jacca
(LM MAGAZINE n. 5, 15 ottobre 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 34, ottobre 2008)