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Home IL LABORATORIO

È davvero così difficile vivere serenamente?

Paolo Maria Coniglio by Paolo Maria Coniglio
11 Gennaio 2013
in IL LABORATORIO, IL PIACERE DELLA CULTURA, ON AIR / CONSIGLI AL VOLO / PUBBLIREDAZIONALI, SALUTE-MEDICINA
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È davvero così difficile vivere serenamente?
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Gli uomini sono protesi alla ricerca della felicità, ma non sempre riescono a conseguirla. La ricetta migliore? Godere di una discreta salute, instaurare buoni rapporti con gli altri e accontentarsi di ciò che si possiede

Fin dall’antichità, filosofi e studiosi si sono interrogatisulla felicità, stato d’animo formato da fragilissimi equilibri e apparentemente così difficile da conseguire. Daniel Gilbert, meglio noto come “professor felicità”, psicologo sociale che insegna all’Università di Harvard, sostiene che, anche nei casi più catastrofici, le persone riescono a reagire molto meglio di quanto esse stesse si potrebbero aspettare. Infatti, dopo aver trascorso un periodo difficile, se riflettessimo su quanto abbiamo vissuto, ci meraviglieremmo della nostra, tutto sommato, positiva reazione.

Gilbert dice che gli esseri umani tendono a essere moderatamente felici, qualsiasi siano le loro sorti. Sembra essere una reazione di sopravvivenza del nostro corpo alle avversità della vita, tramite un’endorfina secreta al momento opportuno che induce una compensazione tranquillizzante. Epicuro scrisse che la felicità consiste nell’assenza di dolore fisico e psichico, che giunge solamente dopo un periodo più o meno lungo di attesa: la possiamo ricercare in qualcosa di esterno a noi, sotto forma di un traguardo, di una spesa importante o, più semplicemente, fumando una sigaretta in un dato momento o ascoltando un brano musicale che ci garba. È corretto, dunque, sostenere che la felicità è soggettiva ed è anche uno stato d’animo che si adegua ai tempi e alle condizioni in cui viviamo.

Se l’uomo, in passato, non fosse stato curioso, se si fosse accontentato di ciò che la natura gli aveva messo a disposizione, oggi non saremmo qui a scrivere su tablet, a inviare file, a mandare sonde su Marte o andare al lavoro con il treno. La felicità procurata da una scoperta è un’emozione cui l’uomo non ha mai rinunciato. Un bimbo trova la sua felicità scartando un pacco regalo, un carcerato nel vedere un pettirosso posarsi sulla finestra della cella, un anziano nell’accarezzare i propri nipoti: nei lager, per esempio, i prigionieri erano felici di ricontarsi, tutti, nella camerata, ogni sera. La felicità ha seguito l’evoluzione e le condizioni dell’uomo, tramite le sue innovazioni e i cambiamenti storici, presentando così molte facce, come sosteneva Bertrand Russell, nel famoso saggio La conquista della felicità (Tea).

Una manifestazione inquietante della felicità, passata perlopiù inosservata, accadde a Miami il 23 luglio 1997, dopo che nella sua houseboat si era suicidato con un colpo di una calibro 40 il serial killer Andrew Phillip Cunanan, che aveva assassinato Gianni Versace. Gli abitanti di Miami, appena appresa la notizia, si dettero ai festeggiamenti per l’intera nottata, dimostrando ai giornalisti che li intervistavano una felicità ritrovata. Erano ritornati in una situazione di stabilità sociale, che aveva innescato un’incontenibile esplosione di gioia. Forse l’accontentarsi delle piccole cose della quotidianità, senza proporsi grandi progetti e obiettivi faraonici, aiuta a vivere meglio, facendoci apprezzare di più ciò che abbiamo.

Cercare il successo nel lavoro può rivelarsi un’arma a doppio taglio: se l’obiettivo è raggiunto, aumenta la felicità, ma, se esso tarda a venire, diminuisce l’autostima, aumentano la tristezza, la malinconia e si finisce per cadere in depressione, il male silente del nostro secolo. Ogni essere umano ha un progetto di vita e l’aspirazione alla felicità è il comune denominatore alla base di tutti i progetti umani. Non dobbiamo trascurare l’importanza che rivestono i fattorie conomici, influenzando l’andamento familiare e l’affermazione sociale di un individuo. Il Nord del mondo ha parametri di misura della felicità totalmente differenti rispetto al Sud del mondo: il primo è legato ai beni materiali, il secondo più ai rapporti umani.

Per troppo tempo gli uomini hanno pensato che la felicità dipendesse dal livello dei consumi; per assicurarsene una fetta sempre maggiore, hanno dedicato al lavoro una quota sempre più alta del loro tempo. Così facendo, però, hanno finito col sacrificare le relazioni umane, che costituiscono invece il principale generatore di felicità. Non a caso, i popoli della terra più felici risultano essere economicamente più poveri, come i burkinabè o gli hunzà. La felicità è uno stato d’animo che dovrebbe appartenere a tutti, un patrimonio dell’umanità, da garantire per poter vivere meglio. Il segreto per essere felici, quindi, è un po’ di salute, buoni rapporti umani e sapersi accontentare di quello che si possiede, utilizzando parte del nostro tempo per fare ciò che ci piace particolarmente.

L’immagine: ritratto di Epicuro (particolare de La scuola di Atene, 1509-1511 circa, affresco, 500×770, Roma, Musei Vaticani) di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520); la copertina del libro La conquista della felicità (Tea) di Bertrand Russell; Allegoria della Felicità (1564, olio su rame, 40×30, Firenze, Galleria degli Uffizi) di Agnolo Bronzino (Monticelli, 1503 – Firenze, 1572).

Paolo Maria Coniglio

(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)

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Tags: autostimaBertrand Russellburkinabècunanandaniel gilbertdepressioneEpicurofamigliafelicitàfocushunzàlavoromalinconia
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