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Home ATTACCO FRONTALE

Cooperative dalle mani sporche

Rino Tripodi by Rino Tripodi
1 Settembre 2016
in ATTACCO FRONTALE, DALL'EMILIA-ROMAGNA, RECENSIONI
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Cooperative dalle mani sporche
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Un ritratto inedito di un semisconosciuto potentato economico italiano: “Coop connection” (Chiarelettere), il libro-inchiesta del giornalista Antonio Amorosi

Dici coop-cooperative e pensi: prezzi convenienti, economia al servizio del sociale, un buon posto dove mettere i risparmi al sicuro, occupazione, donne e immigrati non discriminati, garanzie per i lavoratori e per l’ambiente, solidarietà, fini sociali, case popolari, mutualismo, modello fieramente anticapitalista… I più storicamente preparati andranno indietro nel tempo, al socialista reggiano Camillo Prampolini e al suo movimento cooperativo (vedi Se in Italia avessero avuto più spazio i riformisti…).

COPCoop.inddO si tratta, invece, solo del più grande The Truman Show italiano? Tutto sdolcinato, ma tutto (o quasi) falso. E tutto molto ipocrita… «Un mondo dove quello che vedi non è mai quello che è». Chi sa che le coop, contrariamente alle altre società lucrative, pagano solo una parte delle tasse (a seconda che siano una cooperativa di consumo, di lavoro o agricola, le imposte vengono rispettivamente calcolate solo sul 65, 40 o 20% degli utili)? Come fanno le coop a raccogliere denaro dai risparmiatori e a giocare in borsa, se non ne avrebbero il diritto? Come mai cooperatori, funzionari di partito, amministratori, politici, sono “interscambiabili”? Cosa lega grande distribuzione, assicurazioni e banche? Sapete, per ogni posto di lavoro nella grande distribuzione, quanti se ne perdono nel commercio al dettaglio? E che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, icona delle lotte operaie, non vale per le coop? Prodotti alimentari venduti a un prezzo conveniente? Neanche questo è del tutto vero (vedi Dove fare la spesa per risparmiare).

Bene, forse è giunto il tempo di svegliarsi. Secondo il giornalista d’inchiesta Antonio Amorosi, il celebre film di Peter Weir costituisce la migliore metafora per cercare di comprendere gli enormi inganni e le grandi bugie celati sotto il bonario-buonista-menzognero-infido mondo delle cooperative. Lo spiega, con gran dovizia di riferimenti documentati, nel suo recente libro, uscito lo scorso aprile, Coop Connection. Nessuno tocchi il sistema. I tentacoli avvelenati di un’economia parallela (Chiarelettere, Roma, 2016, pp. 290, € 16,90). Prima di esaminare i contenuti-denuncia della pubblicazione, qualche cenno sull’autore può risultare importante per far capire al lettore la serietà, la fatica, il coraggio, la preparazione, che ha richiesto il lavoro da lui compiuto.

Namorosi[1]el 2004 l’allora trentaquattrenne Amorosi è nella Giunta Cofferati del Comune di Bologna. Il suo mandato è quello di assessore alle Politiche abitative. Potrebbe sembrare un assessorato di serie B. In realtà, da lì passano interessi ben maggiori di quelli di incarichi più prestigiosi. Amorosi, infatti, si dimette dopo solo 18 mesi per la scarsa trasparenza e gli evidenti favoritismi politici nell’assegnazione degli alloggi popolari. Comincia a capire che, nel bel modello bolognese ed emiliano, qualcosa non va e che nel glorificato meccanismo vi sono ingranaggi nascosti tanto ben oliati quanto poco puliti. Da quel momento in avanti si occupa della corruzione politica e della presenza della criminalità organizzata in Emilia-Romagna, scrivendo via via per varie testate. Con Christian Abbondanza è autore del libro Tra la via Emilia e il clan (2010), edito dalla Casa della legalità e della cultura di Genova (vedi La ’ndrangheta per noi, che viviamo a Genova).

Amorosi, dunque, da un lato ha acquisito una sicura competenza nel campo dell’illegalità diffusa, dall’altro da tempo ha dimostrato di essere attendibile, oltre che coraggioso. In Coop Connection parte da alcuni dati significativi: il mondo delle cooperative è, da Nord a Sud, «uno dei cardini dell’economia italiana che pesa 151 miliardi di fatturato, l’8 per cento del Pil, e che dà lavoro a un milione e centomila persone». La più nota, la Legacoop, che aggrega le imprese collettive “rosse”, da sola «è un colosso di quindicimila cooperative, circa 79 miliardi di fatturato», con «8,9 milioni di soci e 493.000 dipendenti». Dal 2011 l’allora presidente (dal 2002 al 2014) di Legacoop, l’imolese Giuliano Poletti, oggi ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, l’ha unificata con le coop “bianche” (Confcooperative, di matrice cattolica) e “verde-rosa” (Agci, di origine socialista e repubblicana). Ecco nata l’Alleanza delle cooperative italiane.

amorosiCosì, in piena crisi economica, mentre tutti collassavano, le coop sono cresciute. Oggi l’Alleanza «controlla il 34 per cento della distribuzione e del consumo al dettaglio italiano. Nelle sue mani c’è il 13,4 per cento degli sportelli bancari». Qualcuno a questo punto potrebbe dire: “Beh, il mondo cooperativo italiano è potente; e, allora, che male c’è?”. Le cifre, infatti, intendono dimostrare solo il peso economico delle coop. E nulla ci sarebbe di male se non che… Il problema non è il cosa, ma il come. Nel suo volume, capitolo dopo capitolo, Amorosi ci spiega che dietro questo immenso potere ci sono meccanismi perversi, al limite della legalità. Procedimenti talmente furbi e complessi che non si sa mai se questo limite venga superato o meno, e se la magistratura sia distratta o proprio non abbia elementi probanti su cui intervenire…

Per avere il quadro completo del complicatissimo The Truman Coop-Show è pertanto necessario leggere per intero, con pazienza, il libro di Amorosi. Che si divide in tre parti: Il sistema; I casi; Come siamo buoni. Ora noi cercheremo di stuzzicare il lettore con qualche sintetico spunto, indicandone di volta in volta il capitolo di riferimento in Coop Connection. Cominciamo dalla “gola profonda” che compare pressoché all’inizio del libro, nel capitolo La «voce segreta». Essa ci svela tante “curiosità”. Prima Repubblica: per ogni opera pubblica, sapete quanto, del 5% di “mazzette concordate”, andava alla Dc, quanto al Pci, quanto al Psi, e via via a scalare? Cosa sono le società cartiere? E i fondi carosello? Perché, se non hai una fondazione, «non sei nessuno»? Qual è stato lo scambio di favori Berlusconi-D’Alema?

amorosi (3)È vero che le coop non falliscono mai e che i risparmiatori-soci che versano il loro denaro in prestiti sociali, convenienti perché con un tasso maggiore rispetto alle banche e con costi minori, sono tutelati? Per saperlo, leggete il capitolo «No se pol rubar alla povera gente». Toccanti appaiono le testimonianze degli anziani soci, rovinati, delle Cooperative operaie del Friuli-Venezia Giulia, i quali avevano aperto da anni un libretto di prestito sociale. E come mai i crac della Coop costruttori di Argenta, della Di Vittorio di Fidenza, della Cesi di Imola, della Iter di Ravenna, e di molte altre ancora? E le vicende della Coopservice di Reggio Emilia o della Sacmi, ancora di Imola. Città, quest’ultima, che, come si dice nel capitolo Coop Valley, è quella al mondo con la più alta percentuale numero di cittadini iscritti alle cooperative (compreso il comprensorio, 70.000 su 113.000). Del resto, è solo dal 2004 che le coop devono produrre un bilancio annuale, e quasi tutte si affidano a Uniaudit, della quale la maggior azionista è il colosso assicurativo “rosso” Unipol. D’altra parte, «i fallimenti di grandi cooperative non sono spesso un fatto casuale, ma pilotato». E, leggendo il libro di Amorosi, sentirete parlare anche dei «mitici ragionieri delle coop».

Il meccanismo politico-economico-finanziario-amministrativo alla base delle coop, che viene disegnato nel capitolo La grande rete del potere, prende avvio subito dopo la Seconda guerra mondiale. Esso si sostanzia nello stretto legame e nell’interscambiabilità tra le figure e i poteri dei dirigenti delle cooperative, degli amministratori locali e degli uomini politici nazionali Pci-Pds-Ds-Pd. «Legacoop e Pci sono un tutt’uno» e i “compagni” sono persuasi che «acquistare una braciola coop o stipulare una polizza Unipol fosse un modo per finanziare il partito e la rivoluzione»; solo la prima convinzione è vera. Si mescolano così incarichi politici e posti di lavoro, edilizia popolare (o, meglio, speculazione edilizia) e finanziamenti al partito, appalti e imprese partecipate, fino ad arrivare, negli ultimi anni, ai rapporti con la criminalità organizzata, che vedremo tra breve.

amorosi (2)Nel corso degli anni il potere assunto dal mondo cooperativo rosso è talmente grande che si scatenano conflitti tra le varie realtà (leggere il capitolo La guerra per saperne di più su Bologna e gli “uomini del caminetto”, sullo scontro col Veneto, sul conflitto Cpl Concordia-Manutencoop, sulle indagini della magistratura). Ma gli aspetti peggiori del “sistema” dal punto di vista delle ricadute sulle persone comuni li troviamo nei successivi capitoli di Coop connection. In Nuovi schiavi invisibili si raccontano le allucinanti vite dei lavoratori precari e sfruttati, sottopagati («3 euro l’ora»), e – viva l’accoglienza e l’integrazione – degli immigrati. Tutto gestito con “impeccabili” meccanismi burocratici che rendono “legale” la nuova schiavitù (ad esempio, contratti fittizi, buste paga non corrispondenti al denaro versato al lavoratore in contanti, obbligo di diventare soci, ecc.). Ovviamente, niente ferie o riposi e poca sicurezza sul posto di lavoro. Un nuovo signoraggio-servaggio.

La seconda parte del libro di Amorosi si occupa de I casi. Si comincia da Giovanni Consorte, del suo progetto e del perché “vien fatto fuori”. Si prosegue con Hera, «la più grande impresa di Bologna per fatturato, primo colosso italiano dei servizi ambientali», la sua «montagna di rifiuti tossici cancerogeni» in centro città, con relative inadempienze, i suoi affari nella «sporca» Campania. Il capitolo successivo parla di Porte girevoli e la faida con i cattolici: «Errani contro Delbono, la storia mai raccontata». Con l’inchiesta giudiziaria Aemilia del 2015 entriamo nel rapporto, tutt’altro che recente, con le mafie (beninteso, «Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta», tanto per non farsi mancare nulla), con «Reggio Emilia gemellata con Cutro». Sugli affari delle coop in generale nel Bolognese, abbiamo l’azione e le denunce di coraggiosi uomini delle forze dell’ordine (vengono citati alcuni esempi), ma anche una certa «armonia» della magistratura del capoluogo emiliano col potere politico e cooperativistico.

Lamorosi abbondanza emilia clana terza e ultima parte della pubblicazione di Amorosi è Come siamo buoni, ovvero come il mondo delle coop «sa trasformare in ricchezza ogni debolezza sociale». Ad esempio, i servizi sanitari di integrazione a quelli pubblici, per i quali già paghiamo le tasse («la mutua coop nei centri commerciali»), «con la sanità che diventa una merce di consumo pari ad altre». Dalla penna del giornalista escono male anche Libera e il suo creatore, don Luigi Ciotti. Al di là di uno sgradevole episodio personale che ha coinvolto il sacerdote, ci sono i legami politici, il business dei beni confiscati ai mafiosi, una miriade di associazioni collegate, un presenzialismo spesso solo di facciata. L’ultimo capitolo del libro, Gli immigrati tanto «cari» alle coop, si sarebbe potuto collocare all’inizio. Infatti, proprio dalla clamorosa inchiesta Mafia Capitale sugli sporchi affari legati all’accoglienza dei migranti, molti hanno cominciato a porsi qualche domanda sulle cooperative e ad avere qualche dubbio sulla loro “bontà”. Centri di accoglienza, intermediazione culturale, cure sanitarie, istruzione per immigrati: tutto è un grande, redditizio business (vedi anche A chi i profughi? A noi!), essenzialmente finanziato dallo stato, cioè dai comuni cittadini che, per di più, devono subire disagi vari a causa di un’“emergenza” che fa comodo a tanti.

E, se tutto va bene e il presunto profugo – una bassissima percentuale – viene riconosciuto come tale, ecco pronta una manodopera «docile, a basso costo». E, così, il cerchio si chiude: «tutti i denti degli ingranaggi di questi mondi coop […] sembrano combaciare perfettamente in un unico disegno». Un discorso a parte merita Eataly (alleata con Slow Food), che, secondo Amorosi, spaccia cibi abbastanza “normali” per prodotti di alta gastronomia, a prezzi folli. Non mancano appalti e concessioni facilitate (vedi Mangiare a Bologna sarà più Fico?) e il solito sfruttamento dei dipendenti. Ma, come abbiamo scritto all’inizio, l’importante è crederci e illudersi. Oppure, “mangiare” al grande banchetto insieme ai signori di così benefiche cooperative.

Presentazioni del volume: http://www.antonioamorosi.it/2016/08/30/tour-coop-connection-presentazioni-nella-tua-citta/.

Rino Tripodi

(LucidaMente, anno XI, n. 129, settembre 2016)

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Tags: Amorosibolognacoopcooperativeeconomiaemiliafocuspolitica
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