Le novità dopo l’approvazione, nello scorso aprile, da parte del Governo Gentiloni, di otto dei nove decreti attuativi della legge 107, più nota come “Buona Scuola”. Meno prove, più legami con il mondo del lavoro, maggiore attenzione al percorso quinquennale. Le decisioni dell’esecutivo e le polemiche di sindacati, docenti, studenti e intellettuali
Inizieranno il prossimo mercoledì 21 giugno i penultimi esami di maturità delle scuole medie superiori italiane con la formula tradizionale. Infatti, dall’anno scolastico 2018-2019, con la riforma bis della “Buona Scuola” (Giannini-Renzi) da parte del Governo Gentiloni, varieranno le procedure per l’ammissione e la valutazione degli studenti. Così la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli dopo il via libera del Consiglio dei ministri dello scorso 17 aprile ai decreti attuativi della legge 107: «L’ampio confronto è servito a migliorare i testi, che qualificano ulteriormente il sistema di istruzione nel nostro Paese»
Ma che cosa cambia nello specifico, in particolare per i maturandi? «L’esame di stato conclusivo del ciclo di istruzione secondaria superiore», com’è ufficialmente chiamato, subirà un importante ridimensionamento. Le tre prove scritte diventeranno due (la prima prova scritta di Lingua italiana e il compito relativo alla materia d’indirizzo) e il punteggio massimo attribuibile a ognuna di esse aumenterà da 15 a 20. Scompare dunque la terza prova, il famoso “quizzone”. I criteri per l’ammissione all’esame, inoltre, diventano più articolati. Il percorso formativo dell’alunno inciderà di più: i crediti maturati negli anni del triennio, che dipendono dalla media finale di tutte le materie, salgono da 25 a 40. Necessaria la sufficienza in tutte le materie; i voti inferiori al sei, invece, permetteranno l’ingresso agli esami previa decurtazione di una parte dei crediti acquisiti.
Importante anche il rapporto con il mondo del lavoro: sarà indispensabile per l’ammissione redigere una relazione sull’alternanza scuola-lavoro, punto di partenza per la discussione orale conclusiva. Il temuto colloquio finale, dunque, diverrà una semplice esposizione del tirocinio svolto dallo studente e verrà valutata con un massimo di 20 punti, a fronte degli attuali 30.
Ultimo requisito necessario per poter concludere gli studi è il test Invalsi, una prova a carattere generale uguale per tutti i maturandi. Questa prova, che verrà sostenuta durante l’anno scolastico, permette al Ministero di elaborare dati e comprovare il livello ottenuto dagli studenti in ogni scuola del territorio nazionale. Immediate e durissime le repliche delle organizzazioni studentesche e sindacali (vedi anche, su LucidaMente: Legge 107: la distruzione della “buona scuola” pubblica; Renzi annuncia “la Buona Scuola”… ma chi sono i cattivi?). «Il governo non ascolta gli allievi», sostiene Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli studenti. Sul banco dei detrattori soprattutto le prove Invalsi, da cui potrebbe in futuro dipendere l’erogazione dei finanziamenti agli istituti scolastici. Dalla loro parte anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che afferma di essere «contrario ai test Invalsi come prerequisito per l’accesso all’esame di maturità con il risultato inserito nel curriculum del ragazzo».
Così come ben 80 accademici di tutto il mondo, secondo i quali la bruta quantificazione dei risultati è imperfetta e non può guidare le politiche scolastiche: perché test del genere, «mettendo l’accento così forte su quello che è misurabile, rendono invisibile ciò che misurabile non è. A scuola sono importanti anche lo sviluppo fisico, morale, civico e artistico di ogni ragazzo. E per queste discipline non esiste, sostengono i docenti, un test che certifichi la crescita del ragazzo».
Altro aspro terreno di scontro resta il metodo di reclutamento del personale docente, stravolto per la seconda volta in meno di due anni. Le organizzazioni sindacali, già protagoniste di scioperi e manifestazioni nei mesi passati, insorgono e chiedono chiarimenti, emendamenti e correzioni al testo di legge. Nascerà infatti una scuola di preparazione della durata di tre anni a cui accedere attraverso criteri non ancora specificati. Uno dei punti più contestati della riformaè il sostegno agli allievi disabili. Nuove assunzioni solo a fronte di pensionamenti e creazioni di corsi postlaurea per gli insegnanti delle scuole elementari. Il numero di ausiliari (personale Ata) verrà deciso dal dirigente scolastico, che valuterà anche le competenze nell’ambito del sostegno alla disabilità. I presidi acquisiscono dunque ancora più potere, in piena continuità con la riforma precedente voluta dall’ex ministra Stefania Giannini. In questo modo, però, si concretizza il rischio di gestire gli istituti come un’impresa privata, al cui capo spettino decisioni fondamentali.
La riforma si annuncia insomma foriera di grandi cambiamenti, sia in ambito scolastico sia nella relazione con il mondo del lavoro. Questo almeno fino alle prossime elezioni: un nuovo governo potrebbe infatti varare ulteriori modifiche, riportando ancora una volta il sistema dell’istruzione nell’alveo degli scontri politici.
Le immagini: la ministra Fedeli (fonte: anpri.it); logo del test Invalsi 2017; la ex ministra Giannini (fonte: OrizzonteScuola.it).
Gabriele Gelmini
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)