Dettagli sulla vita e le opere di un autore controverso in “Oltre la fiaccola. Appunti apocrifi sull’opera dannunziana” (Solfanelli) di Paola Ottaviano
È colmo di innumerevoli spunti informativi l’ultimo libro della psicocritica Paola Ottaviano, studiosa e cultrice dell’opera letteraria di uno dei massimi esponenti del decadentismo italiano, Gabriele D’Annunzio (1863-1938). Oltre la fiaccola. Appunti apocrifi sull’opera dannunziana (Solfanelli, pp. 128, € 11,00) fornisce riferimenti essenziali, preziosi e arguti su vita e opere del Vate.
Attraverso una variegata molteplicità di elementi contenutistici, l’autrice percorre, con marcato intento e disinvolta leggerezza, tratti salienti dell’opera dannunziana. L’esplorazione passa dai contrasti esistenziali che caratterizzano il rapporto uomo-donna alle tematiche dell’erotismo e della fusione con la “natura madre”, ineluttabilmente grande in quanto grembo accogliente di ogni fragilità umana. Cenni alla genialità travagliata di D’Annunzio procedono di pari passo coi riferimenti al ciclo nascita-morte-rinascita, in un costante viaggio tra opposti e alla continua ricerca di un approdo, o equilibrio insperato, sempre contrattato al cospetto di una sottesa percezione del rapporto intimo e profondo col proprio sé. E da un sé, impreziosito e salvato, grazie a un’immaginazione spinta e inesorabilmente protesa a un effettivo controllo della realtà, l’autrice porta l’attenzione sulla rilevanza e sui preziosismi del linguaggio simbolico, decisivo e implacabile nell’incarnare il perenne contrasto tra umane pulsioni e stasi-immobilità sociale.
L’esaltazione di sé e delle proprie doti creative sfida gli orli degli abissi, gli stessi abissi da cui nasce e si caratterizza, anche, il personaggio dell’eroe. Si tratta di un processo che imprime colore aggiunto alla massima estensione del decadentismo italiano, in cui la dimensione introspettiva, sorretta da una fragile eppur accentuata sensibilità, come da un’ampia solitudine esistenziale, comunque votata alla propria affermazione, si mitiga, riassorbendosi, col ricorso a un linguaggio sensuale ed estatico. E proprio da un linguaggio volto a costruire uno stile che sottolinea chiari i caratteri della differenza, sgusciano note di ammirazione, elargite, seppur cautamente, a rivendicare l’effettiva contrapposizione dei pochi eletti alla folla gregge.
In un’alternanza di sacro e profano, tesa ad altri approdi, primeggia l’audace tentativo di azzerare la distanza tra uomo e Dio, e s’insinuano passi, ricordi, sfumature che sfociano in intrecci spinti e originali. L’autrice, varcata la soglia di un sottile richiamo, rimanda alla centralità dei rapporti familiari per D’Annunzio, che incarnano i tratti nevralgici di un verismo autentico, costellato da irrazionalità individuale e trasposizioni esagerate, indicate o solo sfiorate, nel tentativo di sorreggere l’abbondante produzione di un inconscio alla continua ricerca di margini d’identificazione. Un inconscio proiettato in una miriade di specchi, e perennemente in bilico tra il bisogno di distaccarsi dalla moltitudine, anche delle proprie emozioni, e il costante inseguimento di sé.
Margherita D’Amico
(LucidaMente, anno IX, n. 101, maggio 2014)
Pezzo ben scritto, che si articola efficacemente a inquadrare, seppur in poche righe, la poetica e la visione filosofica di D’Annunzio.