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Dar Es Salaam, città a scomparti stagni

Dalla redazione by Dalla redazione
19 Gennaio 2009
in IL PIACERE DELLA CULTURA
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Dar Es Salaam è stata la capitale della Repubblica Unita di Tanzania finché Dodoma non ha preso il suo posto, ma resta la città più grande e popolosa del Paese africano. Nel 2005 contava quasi 2 milioni e settecentomila abitanti, ora ne ha quasi 3 milioni, ma, non essendoci anagrafe, non è possibile esserne certi.
Essa mantiene l’allure di una capitale, con le sue strade perennemente affollate, il caos tipicamente cittadino, e la grande quantità di negozi e servizi. Peraltro non bisogna pensare che sia una città all’occidentale: le strade secondarie sono sterrate e piene di buche, molte case e negozi sono in legno con tetti in lamiera e i black-out sono un problema quotidiano. I mezzi pubblici sono inconcepibili per l’europeo medio.
Eppure Dar Es Salaam, letteralmente “casa di pace”, è una città con tanti ricchi e tanti poveri che vi ruotano attorno. Politici e funzionari del governo vivono qui, nonostante il Parlamento abbia sede ufficiale a Dodoma. Il suo porto si affaccia sull’Oceano Indiano e da qui partono navi cariche di caffè, legname e cotone.

Una forte coesione etnica
In Tanzania vivono poco meno di 40 milioni di abitanti con più di 100 diverse etnie; le maggiori vantano circa un milione di persone.
La politica socialista di Nyerere, primo presidente e “padre fondatore” della nazione (a novembre c’è stata la festa nazionale per l’anniversario della sua morte) è stata disastrosa per quanto riguarda l’economia, ma efficace per l’unità tra etnie. Il “socialismo rurale” o ujamaa consisteva nella “villaggizzazione” del popolo tanzaniano. Si cercava di arrivare a un’autosufficienza economica basata su beni naturali locali coltivati e sviluppati attraverso villaggi collettivi dove i tanzaniani erano chiamati a lavorare, prima solo su base volontaria, poi forzata.
L’operazione è fallita a livello economico ma ha partorito una forte coesione nazionale. Per questo anche a Dar Es Salaam è difficile dire quali siano le etnie dominanti. Oltre alla componente naturalmente nera (più del 90%), c’è una forte presenza di asiatici, tanti indiani e sempre più cinesi, e di arabi. E molti occidentali.

Tra bianchi, neri e asiatici
La pianta della città è divisa in scomparti più o meno stagni.
Il quartiere asiatico, in cui la stragrande maggioranza dei negozi appartiene a indiani o arabi, è in pieno centro ed è tagliato da una via piena di bellissime moschee da una parte (non a caso denominata Mosques Street) e da templi indù da un’altra. Il quartiere Kariakoo è esclusivamente africano e vanta il mercato più grande della città, e si dice di tutta l’Africa orientale.
Poi c’è una penisola che si affaccia sull’Oceano Indiano, dove quasi tutte le strade sono asfaltate, al contrario di quelle del resto della città, e nella quale vivono soltanto bianchi. Funzionari di ambasciate di tutto il mondo, rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di organizzazioni internazionali. Le case qui sono aggregazioni con mura, guardiani e spesso piscina.

Locali notturni per bianchi
La situazione residenziale si riflette perfettamente nei locali notturni.
Ci sono una serie di pub ad esclusivo uso e consumo di bianchi, dove i tanzaniani servono ai tavoli; altri frequentati praticamente solo da neri, e un gruppetto di locali misti. Paradossalmente è in quest’ultimo che si concentrano le situazioni più degradanti.
Un esempio di locale per soli bianchi è l’Irish Pub. Di irlandese ha poco: è una terrazza che dà sul mare, con tavoli in legno e ferro battuto. L’interno ha un arredamento più massiccio, ma tanto non ci entra molta gente perché dal mare tira una bella brezza e chiudersi in una stanza sarebbe assurdo. Qui ci sono sempre solo bianchi. Italiani, americani, olandesi, inglesi, ma sempre bianchi. Si beve una birra, o si mangia qualcosa serviti dai tanzaniani. Niente caos né schiamazzo, tutto è ordinato e cauto.

Locali notturni per neri
Il Makumbusho è un locale per neri. Non è esattamente un locale, di giorno è un museo all’aperto, il Makumbusho Village Museum, che mostra le capanne tipiche dei villaggi tanzaniani.
Di notte, però, intorno alla pista da ballo si radunano tanzaniani di tutte le età e si ascoltano gruppi che cantano dal vivo sul palco, e ovviamente si balla. Signore con i consorti, vestite di tutto punto, con completi gonna e camicia coordinati. Ragazze con canottiere minime e jeans stretti o gonne corte e spalle nude. E uomini, ragazzi, signori, in giacca o jeans e maglietta. Ma tutti a ballare. I bianchi si contano al massimo sulle dita di due mani.
L’atmosfera è esattamente come si immagina in Africa: rilassata, unita, si sta tutti insieme, non c’è discriminazione da parte dei neri verso gli sparuti bianchi, anzi si scherza, si balla insieme.

Il paradosso dei locali misti
I locali dove si vedono sia bianchi che neri generalmente in ugual misura sono i peggiori.
Le tanzaniane sono vestite in modo provocante, prostitute spesso, o comunque in cerca di un bianco ricco da accalappiare. I maschi tanzaniani sono giovani in cerca a loro volta di bianche di mezza età. E il bianco medio approfitta della situazione. A Dar Es Salaam girano molti occidentali considerati ricchi, per lo più a ragione, o almeno benestanti, e rispetto a uno stipendio medio di qua non è difficile. Il salario si aggira intorno ai 100.000 scellini tanzaniani al mese, che sono pressapoco 70 euro, e qualunque bianco guadagna molto di più. E così in questi locali misti vedi ragazze ammiccare a uomini ma anche a donne! Pronte a tentare la loro sorte e liberarsi da una vita di miseria.
Perché a Dar Es Salaam i tanzaniani arrivano dai villaggi a cercare fortuna, attirati dalla presenza degli occidentali, e si espongono spesso a situazioni degradanti che in un villaggio non esistono. Selemani, ragazzone di Iringa ma che lavora da anni a Dar, mi dice che sono tantissime le ragazze che cercano di conquistare un bianco. Non è detto che siano prostitute, certo ci sono anche quelle, ma il più delle volte sono ragazze medie, che lavorano sì, ma con una paga risibile, e che quindi cercano di attrarre un uomo bianco. Durante la settimana risparmiano qualcosa per entrare nei locali dei bianchi, si vestono bene e provano a conquistarsi una vita di benessere.
In linea di massima, nonostante non ci siano episodi di ostilità razziale e l’atmosfera generale sia molto tranquilla a livello interetnico, le varie comunità di Dar Es Salaam tendono a non mescolarsi tanto. E questo si vede chiaramente negli spazi di condivisione, che di fatto appunto non si condividono!

L’immagine: area periferica di Dar Es Salaam.

Eva Brugnettini

(LM MAGAZINE n. 7, 15 gennaio 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)

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Tags: africanoasiaticibianchibrugnettinicaffècotonedar es salaamdodomalegnameneriNyerereTanzania
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