Nel suo saggio “Pensare altrimenti” (Einaudi) lo studioso torinese svela l’inganno della globalizzazione e del pensiero unico politicamente corretto
«La storia dell’umanità è storia di dissensi. Da sempre […] gli uomini si rivoltano». Questo è l’incipit di Pensare altrimenti (Einaudi, Torino, 2017, pp. 168, € 12,00) del giovane saggista e docente universitario torinese “marxiano” Diego Fusaro. E, in effetti, come si potrebbe negare che la storia dell’umanità nasca sempre da un moto di ribellione a un ordine prestabilito, a un diktat autoritario? Oppure dalla percezione che una verità data per scontata è una menzogna che si scontra con la limpida realtà?
Dalle religioni (Adamo ed Eva) ai miti (Prometeo), dagli eroi letterari (Ulisse) a quelli storici (Jan Palach), l’umanità procede grazie a un no di indignazione. Affinché accada ciò, occorre appunto sentire altrimenti: vedere, ragionare la realtà in modo diverso. Quindi dissenso (da dis-sentire, il contrario di cum-sentire, ovvero sentire come la massa amorfa) e, infine, ribellione. Purtroppo la maggior parte dell’umanità tende a essere dominata (lo affermava già nel 1576 Étienne de la Boetie nel suo Discorso della servitù volontaria). Va ancora peggio nell’epoca odierna, dato che l’attuale ordine economico e pensiero dominante fa credere a tutti di essere liberi. Sì, liberi di pensare e agire, ma solo secondo le modalità conformiste dell’ideologia del politicamente corretto (multiculturalismo; “nomadismo” indistinto di persone, idee, merci; indifferenziazione dell’identità nazionale, culturale, persino sessuale…).
E purché, soprattutto, non si mettano in discussione le magnifiche sorti e progressive del neoliberismo economico e della globalizzazione, dell’informatica e della telematica, delle migrazioni di milioni di persone, ecc. Una «mercificazione integrale a detrimento della vita umana e del pianeta». Il centro del discorso del libro di Fusaro, infatti, è la denuncia dell’attuale impossibilità del costituirsi del dissenso. Per raggiungere questo obiettivo, il potere «globalitarista» non adopera l’aperta violenza delle vecchie dittature o dei totalitarismi del Novecento, che lasciavano però, anche se represso dal terrore, un sentimento di ingiustizia e di rabbia negli individui. Oggi si dà per scontato che l’attuale sia il migliore dei mondi possibili, anzi il compimento (e la fine) della storia umana.
Apparentemente viviamo in regimi democratici. Ma la vera democrazia ha bisogno del dissenso. Invece, oggi il potere «non reprime, come in passato, il dissenso. Semplicemente, opera affinché esso non possa costituirsi». L’eventuale dissenziente è ostracizzato e ridicolizzato: non si discutono le sue contestazioni nel merito, ma lo si bolla come “fascista”, “razzista”, “populista”, “xenofobo”, “reazionario”, “passatista”. È lo psicoreato vigente nel regime totalitario del celebre romanzo 1984 di George Orwell. Chi contesta gli scandalosi privilegi e arricchimenti delle elite e delle caste ai danni dei cittadini comuni è un rozzo populista. Chi si pone il problema dell’arrivo di milioni di immigrati (che non possono trovare lavoro perché non ce n’è) senza alcuna intenzione né di integrarsi né tantomeno di assimilarsi con i “nativi” o denuncia la forte percentuale di criminalità fra di loro è bollato come razzista, fascista, xenofobo.
Chi fa notare le difficoltà di incontro, per non dire l’incompatibilità, tra cultura occidentale e cultura islamica è islamofobo (vedi Islamofobia, il bavaglio alla libertà). «Chi, poi, mette in discussione la grande narrazione dominante è silenziato come complottista». Chi pensa ancora, come da millenni, che possano esservi donne e uomini che si uniscono per formare una famiglia e allevare dei figli è omofobo. Inoltre, perseguendo la strategia della neolingua, narrata sempre in 1984: la precarietà vien chiamata flessibilità; opportunità la perdita del posto di lavoro o dover cambiare di continuo sede d’impiego, anche fuori dalla propria nazione; riforme «le distruzioni dei diritti»; governi tecnici quelli imposti dalla famosa trojka Unione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea; competitività il mercato selvaggio ai danni dei lavoratori; ottimizzazione delle risorse il via libera a sfruttamento e licenziamento dei lavoratori; privilegi i diritti sociali e dei lavoratori, acquisiti con secoli di lotte; maternità surrogata (piuttosto che il più crudo “utero in affitto”) lo sfruttamento del corpo di donne bisognose; buona scuola è la distruzione della cultura nazionale e dello spirito critico degli studenti; dialogatori gli imbonitori di strada sfruttati da società terze per le Ong; e continuano a essere chiamati ragazzi persone giovani e meno giovani, in maniera da lasciarle il più a lungo possibile in una condizione psicologica, e non solo, di immaturità e irresponsabilità.
Se non bastasse questo a rincretinire le masse, si usa l’inglese, che “abbellisce” il vero significato delle parole: austerity, bail-in, deregulation, fiscal compact, governance, mission, quantitative easing, spending review, spoils system, storytelling, startup, target. Così si riesce a fare accettare alle masse i salari da fame, la disoccupazione, la precarietà a vita, le pensioni assenti o in un’età pensionabile vicina al trapasso, la lenta rimozione di ogni sicurezza sociale: «L’uomo flessibile deve, per ciò stesso, essere senza identità, senza famiglia, senza coscienza oppositiva, senza radicamento territoriale, senza lavoro stabile: dev’essere ridotto ad atomo consumatore single e nomade, incapace di intendere e di contrastare l’alienazione e lo sfruttamento di cui è vittima, sempre pronto a migrare in nome della delocalizzazione della produzione». Tutto vien fatto passare come sfida della globalizzazione cui bisogna adattarsi (non c’è altra scelta), come opportunità, come “risorsa”.
In compenso, si fa per dire, spazio illimitato a oceaniche manifestazioni “cosmetiche” di centinaia di migliaia di persone, che non influiscono sulla realtà: per la pace, contro il “femminicidio”, per i diritti umani, contro il razzismo e il fascismo… Appunto, tra le denunce più coraggiose fatte da Fusaro vi è quella dell’antifascismo (vedi la ridicola proposta di legge Fiano), che già Amadeo Bordiga e Pier Paolo Pasolini avevano considerato «archeologico»: si combatte un nemico che non c’è, dimenticando che il vero nemico è il neocapitalismo. Del resto, è proprio la tradizionale sinistra che ha compiuto «l’odierna “macelleria sociale” all’insegna dei tagli dei diritti e dei salari» perché ‒ scrive icasticamente Fusaro ‒ «sul grembiule rosso delle sinistre appaiono meno visibili gli schizzi di sangue dei lavoratori e dei pensionati, dei precari e dei disoccupati».
Sinistre che sono pure le principali artefici del pensiero unico politicamente corretto, che costituisce l’ideologia di supporto della decostruzione del precedente mondo occidentale ai fini del nuovo ordine mondiale. Al riguardo, dopo aver smantellato la tradizionale opposizione destra/sinistra, Fusaro fa un’affermazione molto lucida e risolutiva: «Il pensiero unico delle oligarchie finanziarie transnazionali è di destra in economia (potere del denaro), di centro in politica (potere del consenso) e di sinistra in cultura (potere dell’innovazione del costume). Lo smantellamento progressista e di sinistra delle forme di vita tradizionali borghesi e proletarie, sempre in nome della modernizzazione, è, infatti, funzionale a un allargamento del mercato e del connesso potere della destra del denaro. […] L’omologazione di massa e il consenso universale si fondano sull’adesione al neoliberismo in sede economica e al pensiero unico politicamente corretto in ambito culturale». Come già denunciato ne Il tradimento di Federico Rampini, che abbiamo segnalato nel n. 134 di LucidaMente, gli intellettuali hanno da tempo raggirato le masse, smantellando col politically correct le differenze culturali tra nazioni, popoli, generi, individui e così agevolando la «cosiddetta globalizzazione».
Infatti, «il nuovo ordine mondiale classista non tollera Stati nazionali democratici e famiglie, lingue nazionali e culture, identità e comunità solidali, visioni del mondo plurali e prospettive critiche, moti contestativi verticali e coscienza critica di classe». Perché «solo chi dispone di un’identità culturale può rispettare quelle altrui e misurarsi dialogicamente con esse. Il rispetto dell’altro non può, allora, fondarsi sulla negazione del proprio. […] la vera apertura alle alterità non può essere nel vuoto, ma solo tra interlocutori che abbiano prospettive, cultura, radicamento, identità e, non da ultimo, qualcosa da dirsi». Fusaro auspica l’unione dei «dissenzienti diversi», ovvero di tutti coloro che si ribellano alla globalizzazione e al pensiero unico. Dunque, un libro “marxiano” da far leggere a chi ritiene che Renaut Camus, Renato Cristin, Richard Millet, Éric Zemmour siano pensatori reazionari…
Le immagini: Diego Fusaro e la copertina di alcune sue opere.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 142, ottobre 2017)
Sono completamente d’accordo col contenuto dell’articolo. Aggiungo, tanto per essere ulteriormente contro, che, quando decido di regalare denaro o beni durevoli e/o in natura, lo faccio con queste condizioni:
1° Solo a organizzazioni di cui posso verificare nella realtà quotidiana e concreta l’operato.
2° Solo a persone bisognose che conosco personalmente.
3° NO a collette televisive, stradali, organizzate da strutture ONU, contributi a partiti-religioni-stato, ancora peggio se tramite denuncia dei redditi.
4° NO alla carità pubblica forzata; la carità deve essere un fatto privato.
Sempre bravo Fusaro.
La propaganda antidissenso aumenta a dismisura durante l’amministrazione Obama, guai a criticare l’unico presidente nero della storia, e ha raggiunto il suo apice quando fu eletto Trump!
Erano in pochi ad osare a fare notare i disastri causati da Barack Hussein sotto la sua amministrazione: il raddoppio del debito federale, il rapporto Debt/GDP era stato raggiunto solo durante la seconda guerra mondiale, i disastri finanziari tipo tassi zero e QE applicati nonostante le banche fossero in salvo, l’acutizzarsi delle tensioni razziali, ma soprattutto il caos interno anche di matrice razziale causato dalle manifestazioni contro un presidente eletto democraticamente ma non accettata dai perdenti. La coda continua ancora oggi, con abbattimento delle statue dei sudisti, di Colombo e fino alla contestazione dell’inno USA da parte degli neri.