Nonostante – anche secondo l’Unesco – costituisca l’alimentazione più sana, le mode alimentari (e gli interessi economici) vanno in altra direzione
Dieta vegetariana. Dieta vegana. Dieta ayurvedica. O, sull’altro versante, pasti (o, meglio, “pastoni”) iperproteici killer importati dagli Stati Uniti. Proprio in Italia pare che la dieta mediterranea non sia di moda.
È primavera. Il sole comincia a riscaldare la terra e gli esseri umani. Abbandonate le diete grasse (relativamente adatte alla stagione invernale), cosa c’è di meglio che ricominciare a nutrirsi di cibi freschi, leggeri, saporiti, prevalentemente di origine vegetale? Vale a dire mangiare secondo la dieta mediterranea, un modello nutrizionale rimasto costante dall’antichità, costituito principalmente da cereali e verdure conditi con olio di oliva, seguite da una moderata quantità di pesce, latticini e carne, tutto con molti condimenti e spezie, più frutta fresca o secca, con accompagnamento di moderate quantità di vino.
Che tale modello alimentare sia il migliore al mondo non è un’opinione o un gusto, ma è stato ratificato il 17 novembre 2010 dalla quinta sessione del Comitato intergovernativo dell’Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, che ha inserito la dieta mediterranea appunto nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Oltre al cibo che la costituisce, la dieta mediterranea si caratterizza per essere anche stile di vita e armonia sociale, cultura, approccio valido per un’agricoltura e un’economia sostenibile: accurata preparazione e cottura; pasti consumati seduti a tavola concedendosi del tempo e chiacchierando amichevolmente; difesa delle tradizioni; alimenti provenienti dal territorio vicino, coltivati con amore.
La dieta mediterranea non va confusa con una generica “cucina italiana”. La gastronomia dell’Italia settentrionale (“padana”), caratterizzata essenzialmente dalla carne (spesso suina) cucinata alla griglia, con scarso utilizzo di verdure, comunque non speziate e non cucinate in armoniosi accostamenti, non ha nulla a che vedere con la dieta mediterranea. Semmai è accostabile alla dieta del Nord Europa e dell’America. Sembra quasi che, dopo aver espropriato il Sud Italia della sua storia, lo si voglia spogliare anche della propria gastronomia, pure sfruttando la tragedia dell’inquinamento ambientale (dovuto spesso a scarti industriali provenienti proprio dal Nord).
Ma a chi conviene diffondere un’alimentazione “non mediterranea” anche in tutto il nostro Paese? Verrebbe da dire ai cardiologi e ai dentisti, che vedranno sempre di più affluire nei loro ambulatori nuovi pazienti rimpinzati con carni di animali da allevamento (malati), salumi e insaccati vari, grassi animali, merendine zuccherate, bevande gassate dolcificate. Invece, la probabile verità è che dietro tutto questo vi siano interessi economici “forti”: aziende alimentari del Nord, grandi marchi, allevatori. Che magari sponsorizzano l’infinità di trasmissioni tv le quali propongono ai sempre più ignari telespettatori ricette “letali” a base di carni accompagnate da altre pesanti proteine come formaggi, burro, ecc. Tanto, a chi importa della salute del cittadino?
Per altri articoli sull’alimentazione pubblicati su LucidaMente, si clicchi sul link ALIMENTAZIONE-CUCINA-RICETTE.
Per la dieta mediterranea, vedi anche: dietamediterranea.iamb.it.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 100, aprile 2014)
Non ricordo la fonte, ma di recente ho letto che il consumo di carne in Italia è sceso ai livelli di circa trent’anni fa, per ovvi effetti della crisi. Un dato senz’altro generico, che andrebbe integrato con uteriori voci. Ma è probabile che il successo di blog culinari (GialloZafferano etc…) sia dovuto almeno in parte alla necessità di trovare soluzioni alternative a un regime alimentare iperproteico e costoso. Personalmente andrei cauto con l’equazione cucina settentrionale-carne suina; a ben guardare, la professione del “norcino” ha origine nel centro Italia, e non c’è bisogno di elencare i numerosissimi piatti di carne della cucina umbra,toscana,laziale. Senza contare che in alcune grandi città del Nord ci si sta via via abituando ad alcune soluzioni “cheap” della cucina etnica (non sempre salutari, ma è altro discorso). Credo che il discrimine alimentare più sicuro tra Nord e Sud riguardi l’utilizzo di burro e olio. Per esperienza, non è che alle sagre pugliesi di carne se ne mangi poca…
Caro Giulio, purtroppo in tutta Italia si mangia troppa carne.
La differenza (forse) è che al Sud si mangiano anche tanta frutta, verdure e ortaggi (preparati in maniera eccelsa), al Nord o non li si mangia o li si… griglia!!! (horribile dictu!).