Opera teatrale difficile da classificare, per l’assoluta originalità e l’ampiezza delle tematiche, trattate con forme innovative e dirompenti: è Agogno la gogna (pp. 50, € 6,00) di Alfonso Benadduce, autore finalista al premio Viareggio 2006. Di questa settima uscita della collana di poesia Le costellazioni sonore della inEdition editrice, ecco l’incipit.
Sullo sfondo di un paesaggio desolato vibra lontano una figura nera. Fremono le foglie, urlano gli uccelli e il triste sogno dell’acqua svanisce fra le terre. Si rivoltano i fiumi e col grondare delle tempie si macchiano le vesti, come di carta. Patire e mai morire. Crolla l’eterno, bruciano le notti. Il condannato avanza, trascina morendo la sua tragedia. L’orrore guadagna terreno. Dappertutto è rumore che gela, di muscoli, di ferraglie e di gemiti rabbiosi. L’odore pesto delle membra si spande tra le erbacce. Ma la bellezza come da carcassa sussulta ancora, emana costante una fragranza feroce. Vomitano i vermi. Tremano gli alberi trema la terra. Ma lui è forte, di carne dura, quella che più di ogni altra puzza quando brucia. Esuberante nell’occhio, scuro tra le ombre, vacilla su un sentiero pavimentato d’ossa, lastricato dei teschi degli umani. Barcolla e si dimena per conquistare il palco, quel punto del sublime dove la fine avrà il cominciamento.
Al centro lungo un viale di cipressi pullula il fango. Sotto i corvi la luce è scarsa, sembra un’alba o un tramonto. Una folla lamentosa si muove come una nebbia e prende posizione. Trionfa una marcia funebre beffarda. Luminosa, vedova e assassina, si avvia, reca in mano una corda. Gli uomini che la seguono in processione portano a spalla la gogna. Le prefiche oscillano ai lati coperte da capo a piedi con veli bianchi e veli neri. Becchina con il viso nascosto chiude la fila sollevando la fune e frustando lo sventurato, lui sgambetta. Non si sa se rida o pianga: cade, si rialza secondo le ferali note. Appeso al collo ha un cartello con scritto L’ARTISTA. Giunti sul ciglio di una fossa la folla cala la gogna.
L’artista
E’ questa la piazza del mio suicidio?
il luogo esatto per la mia imperfezione,
per il gesto malato che sono?
Piango onesto la mitica degenza
all’ombra di sospiri che non posso contenere
dentro il groviglio colossale
del disumano immane.
Offro riti rotti tra i rottami
parole aperte parte a parte
sangue rosso che mi lava
una fragile struttura
slogata dentro il corpo,
la mia natura fiacca,
venerea architettura.
E’ il momento di gridare al firmamento
di non tacere oltre i miei tormenti:
la bellezza, la sola bellezza
saprà ferirmi a morte.
(da Alfonso Benadduce, Agogno la gogna, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: Alfonso Benadduce in Agogno la gogna (foto di Barbara Chiarini).
Marco Gatto
(LucidaMente, anno II, n. 9 EXTRA, 15 dicembre 2007, supplemento al n. 24 dell’1 dicembre 2007)