Intervista all’astrofisico Massimo Capaccioli su asteroidi killer e teoria delle stringhe
Dopo la laurea in Fisica conseguita presso l’Università di Padova, nel 1974, a soli trent’anni, è stato nominato presidente del Working group on galaxy photometry della Commissione 28 dell’Uai (Unione astronomica internazionale) e nel 1991, a 47 anni, presidente della Società astronomica italiana per ben dieci anni. Dal 1993 è stato per tredici anni direttore dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte di Napoli. Attualmente è professore ordinario di Astronomia presso l’Università di Napoli “Federico II”. Questo, in breve, il ritratto dell’astrofisico Massimo Capaccioli, che abbiamo intervistato su tematiche quali: il numero dei pianeti del sistema solare, il lavoro dell’Unità astronomica internazionale, il pericolo di asteroidi killer per il nostro pianeta, la teoria delle stringhe.
Lei è stato componente attivo dell’Uai: quante volte si riunisce tale organizzazione? «L’Unione astronomica internazionale è una organizzazione che raccoglie astronomi di tutto il mondo. Si riunisce ogni quattro anni in luoghi diversi per una grande assemblea generale nella quale vengono prese importanti decisioni su nomenclatura dei pianeti, scelte decisionali generali sugli indirizzi dell’astrofisica, su alcuni progetti o per confrontarsi su alcune tematiche e raggiungere un livello di conoscenza maggiore».
Il 24 agosto del 2006 Plutone è stato declassato dall’Uai a nanopianeta. Lei era presente a quella sessione: ha condiviso o no la scelta fatta?
«In quell’occasione ero tra coloro che voleva che i pianeti restassero nove. La decisione di declassare Plutone è stata sofferta, perché nell’immaginario collettivo i pianeti erano nove. Dispiace tornare indietro, è come se una bella favola finisse. Come se venissimo a sapere che i sette nani in realtà erano sei. Per millenni gli uomini avevano conosciuto i pianeti fino a Saturno, poi si scoprì Urano e, il 1° gennaio del 1801, Cerere, scoperto dall’italiano Giuseppe Piazzi a Palermo. William Herschel – che aveva già rinvenuto Urano -, denominò “pianetino” quel nuovo corpo celeste, con una specie di disprezzo. In effetti Cerere è stato il prototipo di quei frammenti che viaggiano tra l’orbita di Marte e Giove e che tutti chiamiamo pianetini o asteroidi. Negli Anni Trenta del Novecento fu scoperto un pianeta piccino, Plutone, che era preferibile chiamare pianeta più che pianetino. Nel 1995 la scoperta oltre l’orbita di Plutone di corpi transnettuniani, anche di elevate dimensioni, creò una difficoltà enorme. Due le scuole di pensiero: ammettere il proliferarsi di pianeti o tornare indietro. C’è stato un acceso dibattito a Praga con grandi litigate. Alla fine è prevalsa una posizione intermedia».
Quanto la tecnologia è importante per lo studio degli astri?
«Il laboratorio dell’astronomo è la volta celeste, lontanissima e intoccabile. Lo svantaggio è che non possiamo influire sulla scelta dei fenomeni che vogliamo osservare. La tecnologia è fondamentale, ma in astronomia una macchina raffinata senza un buon pensatore non serve a nulla».
Sfatiamo le paure legate alla fine del mondo nel 2012 e al pericolo dell’avvicinarsi di un asteroide nel 2014: quali sono i reali rischi che corre il nostro pianeta?
«Ad oggi non conosco alcun corpo celeste che rappresenti un pericolo per la Terra. Il che non significa che non corriamo assolutamente pericoli. Gli asteroidi, le comete, cadono sulla terra da sempre. 65 milioni di anni fa alcuni meteoriti probabilmente causarono l’estinzione dei dinosauri. Ma in tal modo l’uomo si è potuto appropriare della Terra. Non c’è dubbio che la specie umana prima o poi debba aspettarsi un impatto, così come non c’è dubbio che chi vive ai piedi del Vesuvio debba attendersi una colata lavica. È importante operare una sorta di prevenzione. A tale scopo è stato realizzato un telescopio in Cile che osserva il cosmo e cercherà anche asteroidi killer. Sono rarissimi. Forse saremo in grado di deviare un asteroide killer e, se continueremo l’esplorazione del sistema solare, potremo portare nostri geni su altri pianeti. Allora, la nostra specie perirà forse sulla Terra ma continuerà a vivere su altri pianeti».
Condivide la teoria delle stringhe?
«La teoria delle stringhe nasce da un’idea geniale: utilizzare molte dimensioni nelle quali replicare quello che è il meccanismo di una stringa (o “string” in inglese: corda, vibrazione). Noi siamo convinti che il cosmo possa essere raccontato nelle sue diverse manifestazioni, dal più piccolo al più grande, attraverso fenomeni periodici, in un numero di dimensioni molto grande che possa consentire di costruire un modello che riproduca diversi gradi di realtà oggi rappresentata da modelli settoriali. È una teoria molto elegante ma difficile dal punto di vista formale, che ha iniziato a fare acqua e che, per l’estrema difficoltà formale insita in essa, è stata abbandonata. È un peccato perché i migliori cervelli della fisica teorica si sono cimentati nella teoria delle stringhe. Io stesso ho lavorato alla teoria delle stringhe cosmiche, e credevo di averne individuata una; ma non lo era, era solo un capriccio della natura».
L’immagine: Massimo Capaccioli in occasione della sua presenza a Lamezia Terme (Catanzaro) alla rassegna de Il Sabato del Villaggio (foto di Dora Anna Rocca).
Dora Anna Rocca
(LM MAGAZINE n. 16, 15 aprile 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 64, aprile 2011)
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