Francesco Bucci pubblica un’irriverente critica “testuale” a “Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante” (Società editrice Dante Alighieri)
Francesco Bucci, già autore di Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale (Coniglio Editore) nel 2011, dopo due anni torna a pubblicare, sulla stessa scia, un’analisi critica dei testi del fondatore de la Repubblica, per molti “faro” del panorama culturale italiano. Appassionato lettore di saggi, Bucci si districa tra i nodi insoluti dellamodernità e le fonti citate per sferrare gli attacchi al proprio bersaglio. Il libro Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante (Società editrice Dante Alighieri, pp. 160, € 14,50) rappresenta, come l’autore stesso lo definisce, un «documentato atto d’accusa» nei confronti dei «“crimini” contro la cultura perpetrati dall’“intellettuale universale”» (vedi anche: Fulvio Mazza, Scalfari: un intoccabile?).
A metà degli anni Novanta Scalfari − o, come l’autore lo chiama, ES − lascia il quotidiano da lui fondato per dedicarsi alla scrittura di saggi, forse perché «nella sua mente si deve essere accesa una luce che gli ha indicato un percorso difficile, che egli ha subito intrapreso con giovanile entusiasmo ed ancora prosegue con instancabile lena. L’idea luminosa deve essere stata quella di lasciare ai posteri un’immagine di sé più alta e nobile di quella del semplice giornalista». Il “nostro” ES inizia così a “filosofeggiare” sulla modernità, sulla morale e su altre questioni centrali dell’esistenza. Tuttavia, fa notare spesso Bucci, il pensatore-Scalfari si perde tra le proprie stesse riflessioni, fino a cambiare talvolta interpretazione e, di conseguenza, visione delle cose e del mondo. Egli stesso si definisce «dilettante» in L’uomo che non credeva in Dio, in quanto il giornalista non approfondisce i contenuti trattati, ma ha solo il compito di tradurre i linguaggi specialistici in una lingua comprensibile da tutti e possiede un’infarinatura di diverse tematiche: è, dunque, uno «specialista di dilettantismo».
ES ha a cuore il concetto di “epoca moderna” e la sua crisi, entrambi sviscerati a fondo nei propri scritti. Bucci si sofferma su tale argomento, scovando diverse incongruenze nel pensiero di Scalfari. In primis il giornalista non chiarisce mai, nei suoi testi, che cosa intenda veramente per “modernità”, limitandosi a indicare alcuni elementi che, secondo lui, la caratterizzerebbero. Anche vari autori vengono collocati in questo periodo storico, ma senza definirne il motivo. In un dialogo immaginario con Denis Diderot, incipit di Per l’alto mare aperto: storia della cultura, ES ce lo illustra così: «Un’epoca iniziata con Galileo e con Montaigne, ma che con voi e i vostri amici raggiunse il suo culmine e durò ben oltre, cambiando le sue forme e le sue tonalità, ma conservando l’ispirazione iniziale. Poi, come tutte le cose mortali, cedette il passo».
Tre date, dunque, e tre genitori diversi per la nuova era. Se nell’Incontro con Io ES retrocede l’inizio della modernità nel Quattrocento, proseguendo Per l’alto mare aperto si ritrovano le sue radici in Omero. Ma Bucci ci fa notare che, se questa età «è il viaggio verso la conoscenza, iniziato agli albori della civiltà greca, essa finisce con l’identificarsi con l’intera storia della cultura occidentale». Seguendo simili discorsinotiamo che sia la nascita sia la morte dell’epoca in questione scorrono sull’asse temporale a seconda degli articoli e dei saggi del giornalista: le date, infatti, cambiano di volta in volta. Se inizialmente sembra che la modernità non navighi in buone acque e anzi sia ormai naufragata, successivamente viene definita come un progetto incompiuto, al servizio delle fasce più deboli. E mentre dapprima essa si identifica con l’Illuminismo e con Friedrich Nietzsche, ritenuto da ES colonna portante della cultura del periodo, in seguito si identifica la morte della stessa con lo studioso tedesco, fino a che Scalfari ne posticipa il termine finale, dichiarando che gode di «buona salute».
Il maggiore abbaglio su cosa sia il “nuovo” pensiero riguarda proprio il far coincidere le idee di Nietzsche con l’Illuminismo, la modernità con la post–modernità. E mentre si riconosce l’immoralità del superuomo si vuole moralizzare questo filosofo a ogni costo, fino a definirlo «l’ultimo moralista di rispetto della modernità», nonostante egli stesso dichiari in Ecce homo: «Ho scelto la parola immoralista come mio distintivo onorifico: io sono fiero di avere questa parola per contrappormi a tutto il resto dell’umanità». Come noto, molti valori nicciani non si confanno a quelli propri dell’epoca in questione.
Componente costitutiva della cultura moderna è il romanzo. Di nuovo Bucci evidenzia l’incoerenza della teoria scalfariana, che dapprima ne fa coincidere la nascita con il Don Chisciotte, anticipandola poi di mezzo secolo. E se inizialmente il culmine viene raggiunto, secondo ES, da autori del calibro di Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, Marcel Proust, James Joyce, Lev Nikolàevič Tolstoj e Fëdor Michajlovič Dostoevskij, successivamente esso viene spostato agli anni della nascita della psicoanalisi. Si evincono«sei (o forse sette) teorie diverse, dunque, sulla natura, sull’origine e sulla storia del romanzo e tutte molto acute e ben argomentate. Anche se non collimano con la tesi più accreditata, che indica uno stretto legame tra nascita del romanzo modernamente inteso e affermarsi della borghesia, perché essa è al contempo protagonista e fruitrice del nuovo genere letterario».
Quella di Bucci è un’opera coraggiosa e meticolosa, di studio e analisi del percorso scalfariano, dalla sua carriera di giornalista a quella di saggista. Evidenziando la mancanza di basi solide nelle sue teorie, spicca per contrasto l’accurata ricerca bibliografica, l’indagine scrupolosa e la conoscenza accurata del Bucci autore di Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante.
Le immagini: la copertina del libro di Francesco Bucci, il logo della casa editrice e un ritratto del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno IX, n. 100, aprile 2014)