Il volume Eco Logo. L’industria italiana distrugge o difende l’ambiente? Le pagelle ambientali (Nuovi Equilibri Editore, collana Ecoalfabeto. I libri di Gaia, pp. 271, euro 12,00) di Stefano Apuzzo e Danilo Bonato pone un quesito fondamentale per i cittadini-consumatori affinché sappiano quali scelte fare nella vita di ogni giorno e per le stesse aziende che, promuovendo brand e politiche “verdi”, possono affermarsi sul mercato, tutelando il pianeta. Grazie ai contributi di alcune personalità di rilievo in campo scientifico, economico e ambientale, il libro offre spunti interessanti di riflessione sullo scenario che l’aumento della temperatura globale sta causando con sconvolgimenti ambientali e sociali inquietanti per i prossimi decenni. Lo fa con toni originali e di sfida, spiegando in modo accattivante, anche convincente, che fare impresa tutelando l’ambiente è possibile.
Nel volume gli autori Apuzzo e Bonato affrontano, sviscerandola, la spinosa questione sulla riduzione, da parte dell’industria italiana, del proprio impatto ambientale e delle emissioni di CO2. Eco Logo offre stimoli per leggere la natura e lancia provocazioni al fine di stimolare una competizione positiva tra chi ha comportamenti ambientalmente corretti e responsabili e chi no. Le imprese intelligenti oggi puntano sull’efficienza energetica perché (questo) permette loro di risparmiare sul budget. Ma non è solo una questione politica quella che riguarda la riduzione dei consumi, i risparmi economici e il rispetto dell’ambiente. Compromettere l’abitabilità della Terra e rovinare il futuro di tutte le generazioni che verranno dopo di noi è una questione di giusto o sbagliato.
«Se il successo o il fallimento di questo pianeta, e della specie umana, dipendesse da quello che sono e da quello che faccio, come sarei? E che cosa farei?» si chiedeva Buckminster Fuller, celebre per le sue cupole, come la Biosfera di Montreal, il quale credeva – erano solo gli anni Venti – che la società umana si sarebbe presto approvvigionata di energia principalmente da fonti rinnovabili, come l’energia solare ed eolica. Questo ci fa capire, come il libro tende a sottolineare, che l’azione individuale deve guidare quella dei governi, e gli americani da questo punto di vista hanno una responsabilità speciale e una leadership morale. La responsabilità per i danni alla natura è una precondizione per far sentire ai soggetti economici la propria imputabilità per i possibili effetti negativi delle loro attività sull’ambiente. Da qui nasce la considerazione che sia necessario cambiare atteggiamento per consentire un più elevato livello di prevenzione e di precauzione.
Sarà sempre più importante che Stati Uniti e Cina, i maggiori produttori di CO2, mettano in campo misure interne, in tempi rapidi, per ridurre le emissioni di gas serra. Seppure, come stabilisce il Protocollo di Kyoto, trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale, i paesi non sono tutti tenuti a rispettare gli stessi standard, siccome si tratta di un’emergenza planetaria, non possiamo, e non dobbiamo, cadere in errore. L’India e la Cina sono state esonerate dagli obblighi di ridurre le loro emissioni, ma insieme ad altri paesi non aderenti sono responsabili del 40% dell’emissione mondiale di gas serra; gli Stati Uniti hanno promesso un taglio di CO2 dell’80% entro il 2050 (Lester Brown dice il 90%!). La domanda chiave che ogni nazione dovrebbe porsi è dove vuole arrivare da qui a dieci anni. Sta nascendo una Terza rivoluzione industriale, come sostiene l’economista Jeremy Rifkin, che si pone come obiettivo la creazione di un regime di energia rinnovabile, verso un futuro sostenibile e non inquinante?
Il capitalismo può convivere con l’ambiente? Quid agendum, allora? Dalle riflessioni di un altro economista, Fabrizio Galimberti, emerge l’esigenza di definire obiettivi e target, stabilendo limitazioni ma soprattutto best practices per la produzione di energia e non solo nel settore pubblico ma anche in quello privato. Per questo serve una mobilitazione delle coscienze, che porti a soluzioni immediate quanto preziose e su misura. Il business per il clima sta giocando una partita che oggi mette in campo nuovi soggetti sociali. Le risorse del pianeta sono sufficienti a soddisfare i bisogni fondamentali della popolazione attuale e anche di una (un po’) superiore. È quindi fondamentale riequilibrare il rapporto tra i tempi storici delle attività umane e quelli biologici delle risorse della natura, ripensando a costi, capitale, concorrenza, consumi con una consapevolezza più attiva e non passiva da parte dei cittadini-utenti.
Le emissioni dell’Italia, anziché diminuire, sono aumentate di oltre il 10%, le calotte glaciali si riducono anno dopo anno, la temperatura globale media è salita di 0,6 gradi centigradi dall’inizio della rivoluzione industriale (e pensare che con l’aumento di un solo grado centigrado scomparirebbero i ghiacciai e l’80% delle barriere coralline, e aumenterebbe il rischio di malattie tropicali). Come può non essere una priorità per l’opinione pubblica e per le imprese avere a cuore questo tema e ripensare a Kyoto come un accordo globale? Basti pensare all’uragano devastante di New Orleans per avvertire seriamente l’esigenza di un piano sulla riduzione delle emissioni da attuare entro il 2012. Dopo aver letto il testo di Apuzzo/Bonato, il desiderio di salvare il pianeta, ognuno nel nostro piccolo, diventa impellente. Vivere e produrre a “impatto zero” secondo la filosofia di LifeGate people, planet, profit, un network di comunicazione e informazione pro ambiente, potrebbe essere un obiettivo possibile.
Ripensare al rapporto tra profitto ed etica nella “filosofia delle tre P” è solo uno degli esempi offerti da Eco Logo. I bisogni della gente vanno soddisfatti nell’ambito del pianeta, grazie al profitto, che non deve essere fine a se stesso, ma finalizzato a rispondere alle esigenze di tutti senza prescindere dalle necessità della Terra. Svariati altri case history dimostrano come sia possibile il risparmio energetico negli uffici (il caso di Banca Intesa San Paolo), con lo spegnimento dei computer lasciati accesi di notte e nei fine settimana. Ma il risparmio energetico non deve essere una scelta solo a favore dell’ambiente ma di noi stessi. Le statistiche dell’Ocse, l’Organismo per la cooperazione e lo sviluppo economico, mettono in guardia e lanciano numeri da brivido. Respiriamo una pessima aria a causa del traffico automobilistico e l’esigenza di auto che non inquinano è sempre più forte. Logistica intelligente e amica dell’ambiente, quindi, ma non solo: bioedilizia, bioarchitettura, nuovi modelli di sviluppo equi e solidali.
Segnali di speranza cominciano ad apparire all’orizzonte e le aziende virtuose hanno compreso che riciclo e riutilizzo rappresentano un vantaggio economico interessante, con progetti pilota che le rendono protagoniste di questa sfida colossale. La nuova cultura di impresa però deve tendere sempre più verso la logica “zero rifiuti” rinunciando alle dannose discariche ma con grande attenzione anche ai termovalorizzatori. Una questione di business, comunque, anche se “verde”, che sta conquistando i mercati mondiali.
L’immagine: la copertina di Eco Logo di Stefano Apuzzo e Danilo Bonato.
Viviana Dasara
(LM MAGAZINE n. 9, 15 ottobre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 46, ottobre 2009)