La raccolta degli interventi del direttore nel secondo trimestre del quindicesimo anno di pubblicazione di “LucidaMente”
Maggio-Giugno 2020 (nn. 173-174) – Per un nuovo avvio
Mentre l’Italia cerca coraggiosamente di riprendersi, anche la nostra rivista opera un restyling e prova a dare una mano…
Quando qualcosa va male (o molto male), la neolingua tecnocapitalista e politically correct usa i termini resilienza e opportunità. Drizzate le orecchie quando sentite queste e altre espressioni preconfezionate, come occasione, scommessa, sfida, risorsa, (ri)mettersi in gioco. Una sorta di sciocco mantra. Soprattutto, attenti alla parola riforme.
Traducendo la suddetta terminologia in un linguaggio umano e non postumano, significa che, in caso di crisi economica o altro evento catastrofico, come l’attuale pandemia, occorre fregarsene e sfruttare cinicamente l’evento. Noi comunque tifiamo per un’Italia che possa riprendersi. Senza retoriche vecchie e nuove. Non a caso, in questo drammatico, lungo periodo di crisi economica, la rivista LucidaMente ha inteso confermare la propria anima sociale. Come? Dando una mano piccola ma concreta ad aziende, negozi, professionisti, realtà associative, con un’iniziativa unica e solidale, un piccolo contributo a sostegno delle attività economiche nazionali prostrate dal lockdown. Infatti, fino a dicembre 2020 (senza alcun obbligo di rinnovo), la rivista ospiterà gratuitamente sulla propria home page i loghi-banner con relativi link di realtà produttive o professionali o anche associative del nostro paese. È sufficiente inviare il link allegando il proprio banner o logo in formato jpg orizzontale all’indirizzo redazione@lucidamente.com [vedi Un banner (gratuito) per le aziende contro la crisi da virus]. Dall’iniziativa sono ovviamente escluse aziende che hanno tratto vantaggi dall’emergenza coronavirus o delocalizzate all’estero.
Intanto, la nostra testata sta operando un piccolo cambiamento nella propria denominazione. È la terza vita nella storia della rivista. D’ora in poi si chiamerà LucidaMente 3000. E come sottotitolo: Pensieri divergenti. Il 3000 si riferisce al nuovo millennio – anche se non crediamo francamente di arrivarci – a indicare un’attenzione rivolta al futuro. Ma anche e soprattutto ai numerosissimi articoli finora pubblicati (più di tremila), spesso su posizioni diverse e articolate. Ecco perché il sottotitolo Pensieri divergenti: il nostro mensile telematico pubblica articoli con posizioni divergenti anche rispetto ad altri inseriti persino nello stesso numero, a certificare pluralismo e tolleranza per ogni idea di redattori e collaboratori. Però, più ampiamente, vogliamo sottolineare pure il fatto che da noi è dato spazio ad articoli contenenti notizie e opinioni divergenti rispetto al conformismo dilagante.
E, come di consueto, ecco la sintetica rassegna di alcuni degli articoli più interessanti pubblicati in questi mesi. Ancora su alcuni aspetti della pandemia si sono soffermati Chiara Ferrari con Shut in economy, l’economia dei reclusi (applicazioni di food delivery e servizi on demand ci permettono di consumare da casa: oggi necessità, domani nuova tendenza?), Elena Giuntoli con Infodemia, come difendersi (il coronavirus non è la sola minaccia in questo periodo: si aggiunge infatti il proliferare di fake news portatrici di pericolosi allarmismi e informazioni sbagliate), Edoardo Anziano con Ungheria e Polonia, come sfruttare la pandemia per una svolta autoritaria (lo stato di salute delle due democrazie aderenti al gruppo di Visegrád non è dei migliori e le direttive per il contenimento della Covid-19 rischiano di aggravare una situazione già precaria) e Mauro Dallezolle con il satirico anti radical chic Il virus? È fascista!
Chi vi scrive ha impiegato un mese per elaborare quattro imperdonabili articoli, collegati l’uno all’altro, per cercare di fornire un quadro generale del disastro in cui siamo piombati. Il mosaico è costituito da: I dodici passi verso la catastrofe (le delizie della globalizzazione, dalla caduta dell’Urss all’entrata della Cina nel Wto fino alla libera circolazione, anche dei virus; in mezzo disastri ambientali, l’inganno europeo, guerre, esodi, terrorismo, la Rete/Grande fratello); Cina, scacco matto in cinque mosse (come il gigante asiatico è riuscito in vent’anni ad avere nelle proprie mani il mondo intero, sottomettendolo senza sparare un colpo); L’Unione europea è fallita… anzi, no, è un successo (le varie tappe di un disastro per alcuni e di un trionfo per la Germania e altri paesi dalla cultura luterana e calvinista; un carrozzone dai costi elevatissimi; il famigerato Mes divenuto Recovery Fund e lo scontro Corte di Karlsruhe-Quantitative easing); Francesco I è contro il globalismo capitalista neoliberista o no? (in apparenza il pontefice è un baluardo in difesa dei poveri e dei dimenticati dallo sviluppo economico che arricchisce i pochi; in realtà, come afferma Marcello Veneziani, il suo messaggio fa comodo ai potenti del pianeta).
Bellissimi quattro articoli di denuncia. Silvia (Aisha) Romano e la galassia dei “cooperanti”, di Nicola Marzo, che, ascoltando il parere di Luciano Centonze, agronomo del Cefa di Bologna, ha inteso distinguere organizzazioni non governative, associazioni di volontariato nel mondo della cooperazione internazionale e attività non riconosciute. Eni, le sei zampe sull’Alma Mater, sempre di Anziano: inchiesta sui rapporti fra la multinazionale del petrolio e l’ateneo più antico e famoso del mondo, con master gratuiti… anzi, no. Alessia Ruggieri ha invece scritto Messico, Ciudad Juárez, dove il machismo uccide le donne (la località messicana è tristemente nota per essere la capitale dei femminicidi; qui, una società profondamente sessista e autorità corrotte non aiutano le vittime di violenze e torture, in crescita da anni) e Fortnite, da gioco a realtà parallela (miliardi di dollari guadagnati, milioni di giocatori iscritti, concerti di star internazionali: l’impero dei videogame non è mai stato così reale). Inoltre, abbiamo pubblicato la lettera aperta dell’associazione LiberaUscita al ministro della Salute Roberto Speranza (Disposizioni per il fine vita: l’importanza del fiduciario supplente); tra i tanti importanti firmatari, anche il presidente dell’Associazione LucidaMente, Nicola Marzo.
In ambito culturale, ricordiamo gli articoli della nostra Arianna Mazzanti, ormai sempre più specializzatasi nella settima arte: «Vorrei vivere nei film di Wes Anderson» e Il cinema è più forte del lockdown (qualche consiglio per gli appassionati, per fare il punto sui film protagonisti dei primi mesi del 2020 in attesa di poter tornare al cinema). Consigliamo un pamphlet: il neocapitalismo globalista è riuscito a distruggere anche le relazioni eterosessuali; per rimediare al disastro la giornalista Laura De Luca ha scritto un Manifesto per la liberazione dell’uomo, edito da il Giornale… con ironia, ma non troppo (Come recuperare un sano rapporto uomo-donna? Combattendo l’ideologia dominante). Per concludere, ricordiamo che giugno è il mese della nascita e della morte del nostro grandissimo poeta-filosofo: ateo, anticonformista, “conservatore”, acre, in anticipo sui tempi. Talmente trasgressivo da essere depotenziato e volutamente frainteso da cattolici, sinistre, scuola (Leopardi “cattivista”: un pensiero pericoloso e inesorabile).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XV, n. 174, giugno 2020)
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Marzo-Aprile 2020 (nn. 171-172) – Chi pagherà per tutto questo?
Le responsabilità cinesi sono evidenti, ma quasi nessuno s’azzarda a denunciarle, anzi l’Oms le copre. L’attuale crisi sanitaria ed economica è comunque il logico risultato di decenni di sviluppo completamente folle, a cominciare dalla distruzione dell’ambiente naturale
No, non “andrà tutto bene”. No, non “impareremo la lezione e saremo migliori di prima”. Anzi, nel migliore dei casi, l’umanità post coronavirus vorrà riprendere tutto com’era in precedenza; nel peggiore, sarà talmente tanta la miseria che si scateneranno rivolte, violenze, delinquenza. Solo la Cina si riprenderà come e meglio di prima; anzi, il suo Pil è già in rapida risalita. Così come non è vero che tutti sono diventati più poveri: pensate agli speculatori delle borse valori, alle aziende del food delivery o, più semplicemente, alla Gdo (grande distribuzione organizzata, cioè super e iper mercati). E Amazon? In questi giorni di sofferenze per gli esseri umani, Jeff Bezos ha guadagnato altri 24 miliardi di dollari, mentre gli stipendi dei suoi dipendenti sono da fame.
Non siete disgustati dalla valanga di buonismo zuccheroso quanto ipocrita che da mesi ci sta travolgendo sui mass media? Ormai non si guarda più in faccia alla realtà con coraggio e virilità, cercando di risalire alle responsabilità e guardando concretamente e pragmaticamente al probabile futuro da costruire evitando facili illusioni e cercando di cambiare tutto, o quasi. Il massimo di buoni sentimenti che io sono in grado di esprimere è questo: nel corso della Storia, dopo ogni brutto evento, la vita successiva è stata sempre più bella e forte di prima. È successo dopo la Seconda guerra mondiale, dopo terremoti, pestilenze, carestie, invasioni. Forse perché, dopo averla scampata, si apprezza di più la semplice esistenza e il ritorno alla normalità. Anche questa volta sarà così, perché no? Ma non diciamo che la pandemia Covid-19 è stata una fatalità. Sulla Terra non è caduto un meteorite o una cometa proveniente dalle profondità della Fascia di Kuiper o della Nube di Oort; non si è verificata un’immane tempesta solare; non si sono invertiti i poli magnetici terrestri; non è esplosa una supernova nelle vicinanze; il sole non si sta espandendo; non sono arrivati sulla Terra annientanti raggi cosmici proveniente da lontanissimi buchi neri, stelle di neutroni, da resti di supernova o dal decadimento della materia oscura. Tutti eventi che certamente accadranno, ma, al momento, con scarse probabilità e – speriamo – tra milioni di anni.
Invece non illudiamoci che l’epidemia da coronavirus sarà l’ultima catastrofe del mondo postmoderno. Affinché non si ripetano eventi disastrosi quali altre pandemie, guerre, nuove crisi economico-finanziarie, disastri ambientali, disordinate migrazioni di massa, occorrerebbe un’inversione completa dell’attuale modello di sviluppo, ormai a guida cinese: provateci voi, allora, a fermare la distruzione dell’ambiente, la deforestazione, il traffico degli animali, l’inquinamento e le polveri sottili, i cambiamenti climatici, la sovrappopolazione (quasi otto miliardi), la globalizzazione, la libera circolazione di miliardi di persone per tutto il pianeta (i soli “viaggiatori” erano 25,3 milioni nel 1950, nel 2015 sono stati un miliardo e 186 milioni!), il capitalismo finanziario cinico e selvaggio, la coerente e calcolata sordità di Ue, Bce, Fmi, Wto, lo scellerato euro.
Eppure, ci avevano raccontato e promesso che il nuovo modello globale avrebbe recato ricchezza, pace, benessere per tutti. Al contrario, gli unici ad averne tratto vantaggio sono stati lo spietato turbocapitalismo finanziario, le multinazionali, i potentati politici. Alle persone comuni son toccati miseria, tagli al welfare (tra cui la sanità, e oggi vediamo cosa significhi), insicurezza, disoccupazione, precarietà… e un’epidemia catastrofica. Da anni, infatti, scriviamo polemicamente sui danni provocati dalle scelte compiute sul piano economico-finanziario dalle élite per favorire la cosiddetta globalizzazione. Dietro il paradiso promesso con la libera circolazione di merci, capitali, beni, servizi, tecnologie, idee, persone, culture, costumi, ecc. ecc., finora abbiamo essenzialmente visto: aumento della disoccupazione; delocalizzazione delle aziende; sfruttamento e precarizzazione dei lavoratori; abbassamento dei salari medi; smarrimento della dignità di intere classi sociali quali piccola borghesia impiegatizia e proletariato industriale; perdita delle proprie radici culturali e dell’identità (di europei e immigrati) con conseguente reciproci alienazioni e spaesamenti; invasione non programmata di presunti migranti; aumento del potere delle mafie e della criminalità; studenti sempre meno preparati e più ignoranti; generale volgarità e degrado culturale; arrivo di piante e insetti aggressivi verso le specie autoctone… E, ancora, sovrappopolazione, inquinamento, catastrofi climatiche, disastri ecologici, guerre, terrorismo… Tutto ciò nell’esaltazione acritica delle sinistre, che, invece, per prime avrebbero dovuto opporsi a questo massacro sociale, economico e ora pure sanitario. Appunto, dulcis in fundo, la “libera circolazione” di malattie, virus, batteri, microbi vari, di cui il coronavirus è solo la punta dell’iceberg.
Al momento, le teorie più ragionevoli sulla diffusione del coronavirus sono due: la “fuga” dal laboratorio batteriologico di Wuhan per un “incidente” o il passaggio da animale selvatico a uomo (il cosiddetto spillover) nel mercato degli orrori di Wuhan, crudele e del tutto al di fuori da ogni parametro igienico-sanitario. C’è poi l’ipotesi intermedia che unifica le due: quella del virus “allevato su specie animali” finito accidentalmente dal laboratorio al wet market. A Wuhan, infatti, scrive Giulio Meotti (Coronavirus: Il grande insabbiamento della Cina), vi sono due importanti laboratori di ricerca sul virus: «Il Centro Wuhan per il controllo e la prevenzione delle malattie, che sembra sorgere a meno di un miglio dal mercato, e l’Istituto di Virologia di Wuhan, che ha un livello 4 di biosicurezza (BSL-4), ed è un laboratorio che si occupa dei patogeni più letali al mondo, situato a sole sette miglia dal mercato». Restano, pertanto, molti dubbi: «In uno studio del gennaio scorso, The Lancet ha rilevato che il primo caso di Covid-19 a Wuhan non aveva alcun legame con il mercato. L’articolo di Lancet, scritto dai ricercatori cinesi di diverse istituzioni, ha circostanziato che 13 dei 41 dei primi casi» non si potevano far risalire al famigerato wet market.
In ogni caso, la responsabilità del disastro spetta alla Cina, anche per i tardivi interventi sull’epidemia e la mancata tempestività dell’informazione al mondo sui terribili rischi incombenti. Si pensi che, basandosi su carte ufficiali del governo di Pechino, il South China Morning, quotidiano indipendente di Hong Kong, fa risalire al 17 novembre 2019 (ma c’è chi parla di settembre) i primi casi documentati a Wuhan di infezione da coronavirus. E già il 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie dell’epicentro dell’epidemia comunicano una «nuova forma di polmonite» all’ufficio cinese dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms): non si conosce la reazione di tale ufficio e se abbia trasmesso la segnalazione alla sede centrale di Ginevra. Intanto, medici, infermieri e giornalisti che si permettono di denunciare la situazione, muoiono o scompaiono. Oltre all’ormai celebre medico-eroe Li Wenliang, la dottoressa Ai Fen e molti altri che hanno parlato o sapevano troppo.
Non si tratta di complottismi vari, ma, semplicemente, della realtà cinese della terribile distruzione di foreste [Perché il coronavirus (e perché in futuro ce ne saranno altri)], della cattiva gestione delle risorse ambientali, del prelievo di fauna selvatica (pipistrelli, armadilli, animali esotici) per ricerche batteriologiche o per immondi commerci. E, come abbiamo visto, di insicuri laboratori che forse si occupano di armi batteriologiche, dei mancati controlli sanitari presso il wet market di Wuhan, del tardivo allarme della Repubblica popolare cinese, per non dire delle ridicole cifre ufficiali sul numero delle stesse vittime cinesi (Coronavirus, «in Cina pile di urne cinerarie». Crescono i dubbi sul numero dei morti a Wuhan, in corriere.it). Ma anche l’Oms se n’è stata ben zitta prima di comunicare il pericolo. Domanda spontanea: ma a cosa servono l’Onu e le sue innumerevoli branche quali Fao, Unesco, Unchr, Unicef, ecc.?; non impediscono guerre, fame, ignoranza, discriminazioni, migrazioni irregolari, epidemie). Il 14 gennaio l’Oms afferma che le indagini preliminari condotte dai cinesi «non dimostrano la diffusione tra umani» del virus. Il 22 il direttore generale dell’Oms, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, dichiara che «le misure prese dal governo cinese contro il coronavirus sono impagabili». A fine gennaio, dopo un incontro a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping, Ghebreyesus elogia «la dedizione con cui la Cina sta contenendo il virus, e la sua trasparenza. […] Le sue azioni hanno effettivamente contribuito a prevenirne la diffusione in altri Paesi» (sic!).
Meno positivo il trattamento che l’Oms riserva agli Stati uniti, accusati di alimentare «paura e stigma» per aver bloccato l’arrivo dei voli dalla Cina. Persino a metà febbraio gli «esperti» dell’Oms, reduci da un sopralluogo, elogiano Pechino per aver «dispiegato il più ambizioso, agile e aggressivo sforzo di contenimento della storia». Solo quanto la tragedia è sotto gli occhi di tutti, l’11 marzo l’Oms è costretta a dichiarare la “pandemia”. Ma chi è l’ineffabile Ghebreyesus? Cinquantacinque anni appena compiuti, è stato eletto nel 2017 grazie al decisivo appoggio di Pechino. E subito è stato fortemente criticato per la vicenda Robert Mugabe. Infatti, il presidente dello Zimbabwe, deceduto nel 2019, viene designato “ambasciatore di buona volontà” per l’Oms. Ciò avviene sebbene osservatori neutrali denuncino, al di là delle numerose violazioni dei diritti umani da parte di Mugabe, che il sistema sanitario dello Zimbabwe sia qualitativamente molto peggiorato sotto il suo regime, tanto che egli stesso non utilizza il sistema sanitario nazionale per curarsi, ma si sposta a Singapore.
La Cina dovrebbe quindi pagare per la catastrofe planetaria da essa provocata, perlomeno in modo colposo. Non si tratta di fantasiosi processi di Norimberga, ma di una reale violazione delle International health regulations, cioè delle norme legali a protezione della salute internazionale degli abitanti (umani) del pianeta. Al contrario, il colosso asiatico capitalista-comunista ha costruito una colossale campagna di disinformazione, a cominciare dal materiale sanitario, non sempre di buona qualità, che l’Italia ha comprato a caro prezzo (3-4 volte del valore pre epidemia), e invece fatto passare come donazione umanitaria. Tale propaganda, degna dei peggiori regimi comunisti del passato, sta rafforzando il peso del gigante giallo, anche perché, come detto all’inizio, l’economia cinese ha già ripreso a girare e gli effetti della pandemia sul Pil saranno ridicoli rispetto a quelli che subiranno nei prossimi mesi Europa, Usa e, soprattutto, Italia (il nostro Christian Corsi ne ha scritto in La Cina e la pandemia: le responsabilità da non dimenticare e le strategie politico-economiche imperialiste).
Mi ripeto: se riusciremo a uscire da quest’incubo e saremo ancora abbastanza lucidi da ragionare, dovremo pensare a far pagare il conto a chi ci ha ridotto così, dovremo mettere in discussione distruzione degli habitat naturali terrestri, globalizzazione, modello di sviluppo capitalista neoliberista, euro, libera circolazione, imperialismo cinese, Unione europea, speculazione borsistica, che sono la catena causale che ci sta distruggendo. Ma vedo che tra la gente comune nessuno ha capito… E tra le persone “colte”, vale a dire l’intellighenzia politically correct di regime, c’è voglia di nascondere la sporcizia sotto il tappeto (vedi questo articolo da linkiesta.it). Rimettere tutto in discussione potrebbe comportare soluzioni dolorose, ma non certo più della realtà che stiamo vivendo e del disastro economico che ci attende. Del resto, l’insieme di ciò che ci è stato imposto negli ultimi trent’anni ha dimostrato di essere negativo, anzi catastrofico. Perché seguitare ancora in una tale direzione?
Per provare a parlare della tragedia che stiamo attraversando, LucidaMente si è mobilitata come non mai, pubblicando un gran numero di articoli e uscendo ben quattro volte in marzo e aprile, sia coi numeri 171 e 172 della normale serie mensile, sia con due supplementi (LM EXTRA 36 e LM EXTRA 37). Oltre agli articoli già citati, cerchiamo di riassumerne in breve qualche altro sul focus di questi mesi. Anche Elena Giuntoli ritiene che l’attuale emergenza coronavirus sia la conseguenza di un sistema sbagliato, per cui è il momento giusto per riflettere e modificare molti nostri stili di vita (L’era delle scelte). Come parecchi altri italiani, chi scrive questo editoriale si è posto un problema: Ma è vero che per Covid-19 si muore più in Italia che altrove? Roberto Giovannini ha esordito sulla nostra rivista trasmettendo sensazioni, riflessioni, storie, interviste, voci della gente comune dalla città della Ghirlandina (Modena, diario dall’epidemia). Altri esordi quelli di Federico Bertoni (Didattica a distanza, cinque scene e cinque punti), docente ordinario di Teoria della Letteratura presso l’Università degli studi di Bologna, e di Mauro Dallezolle [Adolescenti di oggi (e di ieri)], entrambi sui problemi dell’insegnamento in tempi di chiusura di tutte le scuole.
Se esiste il problema dello studio a distanza, ancor più grave è quello del lavoro. Chiara Ferrari ha ascoltato la voce ansiosa di tanti operatori del capoluogo emiliano, tra chi chiude e chi no, chi fa smart working e chi rimane senza impiego (Il lavoro ai tempi del coronavirus, cosa sta succedendo a Bologna?). Dei problemi legati al lockdown e dei possibili sostegni psicologici hanno scritto Alessia Ruggieri (Emergenza coronavirus: distanziamento sociale e avvicinamento… “social”?), Isabella Parutto (Coronavirus e quarantena: vademecum digitale contro la noia) ed Emanuela Susmel (Reclusi in quarantena: qualche idea per combattere panico e noia). Infine, in questo periodo di informazione unilaterale e di mancanza di spazi di dibattito, abbiamo ospitato alcune riflessioni da parte di LiberaUscita, Associazione laica e apartitica per il diritto a morire con dignità sulla possibilità, per il malato affetto dal virus e senza speranza, di non essere curato e quindi non volersi sottomettere all’accanimento terapeutico (Scegliere chi curare o far scegliere al malato? Covid-19 e autodeterminazione terapeutica). In poche settimane abbiamo perso libertà e diritti. Anche quello di morire come ci pare?
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XV, n. 172, aprile 2020 – supplemento LM EXTRA n. 37, Speciale Coronavirus2)